Obiettivi dell’antibuonismo nazionalrazzista

Obiettivi dell’antibuonismo nazionalrazzista, intesi come bersagli e come fini

L’espressione “obiettivi dell’antibuonismo nazionalrazzista” rinvia ad un duplice significato della parola obiettivo. Cioè, gli obiettivi come risultati perseguiti dall’azione polemica svolta, in chiave antibuonista, dal nazionalrazzismo; e gli obiettivi dell’antibuonismo nazionalrazzista intesi come bersagli di un’azione di tipo conflittuale-offensivo.

Avevo proposto il termine nazionalrazzismo in riferimento a quell’insieme di organizzazioni, per lo più politiche, impegnate a proporre un’identificazione tra razza e nazione italiana, a stimolare la xenofobia e a trasformarla in odio per i migranti, per sfruttare questi sentimenti ai fini della conquista del potere politico[1].

Gli obiettivi dell’antibuonismo nazionalrazzista in termini di bersagli sono tantissimi: gli immigrati (tanto i cosiddetti migranti economici, quanto i rifugiati e i richiedenti asilo), i nomadi, tutti coloro che non si allineano al pensiero nazionalrazzista e ancor di più tutti coloro che vi si oppongono. Ma tra questi bersagli, alcuni sono più attaccati di altri.

In particolare tra le persone più note, gli obiettivi dell’antibuonismo nazionalrazzista più frequentemente colpiti sono la presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e Papa Francesco.

 

Papa Francesco, Mattarella e Boldrini sono in cima alla lista degli obiettivi dell’antibuonismo nazionalrazzista

Nei confronti della Boldrini il livello degli attacchi in molti casi è davvero di una bassezza sconsolante. Si va dagli insulti e dalle minacce, quasi sempre a sfondo sessuale (e sarebbe da ricordare che già Grillo l’aveva presa di mira, quando aveva chiesto: cosa le fareste?) ad altre aggressioni in cui il livello di violenza non si abbassa, ma semmai si fa più contorto: ad esempio, le viene rinfacciato l’attentato di Barcellona; le viene addossata da Giorgia Meloni la colpa per le violenze commesse dal branco di Rimini, mentre, sempre rispetto a tali crimini, un sindaco leghista di un comune ligure posta sui Facebook la proposta di mandare il “capo” di quegli stupratori a casa sua. L’elenco potrebbe continuare, ma mi pare che siano più che sufficienti gli esempi citati.

Anche rispetto agli attacchi a Mattarella mi limito a ricordare quelli della Lega Nord e di Casa Pound seguenti alle sue parole sulla tragedia di Marcinelle (ho già citato questa polemica in un altro post sul tentativo del nazionalrazzismo di sviluppare un conflitto razziale in Italia) e quelli del segretario della Lega che lo accusa di essere complice degli scafisti.

In entrambi i casi la “colpa”, la “provocazione”, del capo dello Stato sarebbe stata quella di paragonare i milioni di migranti italiani che cercarono lavoro all’estero (in Belgio nel primo caso, in Argentina rispetto alla seconda polemica citata) con i migranti che arrivano in Italia oggi.

Ma i nazionalrazzisti, che tanto insistono sulle nostre radici cristiane, tratto considerato come caratterizzante la cultura occidentale, l’identità europea e la “razza italiana”, non provano minor risentimento verso il pontefice.

La sua netta, e ribadita più volte, presa di posizione contri i muri – a partire da quelli proposta da Donald Trump -, il suo costante ricordare che assicurare l’accoglienza dei migranti significa mettere in pratica valori cristiani, il suo continuo, implicito, opporsi alle campagne d’odio e alle generalizzazioni svolte da movimenti xenofobi e razzisti, lo mettono al primo posto del risentimento nazionalrazzista. Come dimostra, tra i tanti esempi, il servizio trasmesso da Piazza Pulita, giovedì 5 ottobre su La 7.

Infatti, nelle affermazioni di Papa Francesco il nazionalrazzismo trova una potente e profonda smentita di un aspetto fondamentale della sua propaganda: la difesa dei valori occidentali e dell’identità cristiana. Tanto che all’interno del nazionalrazzismo si arriva a dire che “il prossimo” di cui parla il Vangelo è solo colui che è vicino e non è l’altro in generale.

Gli obiettivi dell’antibuonismo nazionalrazzista sono criminalizzati

Sono in molti in politica a tentare di delegittimare l’avversario. Si può anzi dire con minima approssimazione che è un modo di condurre la dialettica politica che accomuna tutte o quasi le forze politiche[2].

Sotto questo aspetto, la tendenza dell’antibuonismo nazionalrazzista alla criminalizzazione degli avversari non pare proprio essere una novità assoluta.

Nulla di nuovo sotto il sole, dunque? Sì, certo. Ma anche nulla di bello sotto il sole. E poi vi è una differenza. Forse più di una.

Normalmente si criminalizza il partito dell’avversario, richiamandosi a comportamenti, indagati o giudicati dalla magistratura, realizzati da personalità di primo o di secondo piano di quel partito.

Il nazionalrazzismo, invece, criminalizza gli avversari politici non in virtù di reati commessi da parlamentari dei partiti presi di mira, ma di illeciti compiuti da altri, che non c’entrano nulla.

Così le brutalità commesse a Rimini da un gruppo di giovani e giovanissimi di origine straniera sono attribuite a colpa della Boldrini. Della violenza commessa ai danni dell’operatrice di un centro di accoglienza per richiedenti asilo, nella retorica nazionalrazzista, sono responsabili i buonisti dei partiti di sinistra. Ancora, del mancato pagamento di biglietti ferroviari o di altri mezzi di trasporto pubblici da parte di alcuni immigrati, sarebbero complici, secondo gli slogan del nazionalrazzismo, la Boldrini & Company.

L’antibuonismo nazionalrazzista usa i fatti di cronaca per dare addosso agli avversari politici

Riguardo a quest’ultimo proposito è interessante un passaggio compiuto da Calderoli alcune settimane fa.

In linea con una comunicazione secondo la quale, se l’autore è un immigrato il reato è meno grave rispetto a quando è italiano colui che ha commesso lo stesso tipo di crimine, si tratti di una rapina, di un furto o di uno stupro (ho già commentato su questo blog la strumentalizzazione nazionalrazzista degli stupri e, più in generale, la sua doppia morale), Calderoli ha proposto il suo commento ad un’aggressione commessa da un migrante ai danni di un autista di autobus a Parma. Nel pezzo “Migrante picchia l’autista del bus”, del Corriere della Sera del 31 agosto, viene riportata una sua affermazione:

«È a persone come queste che si vuole concedere la cittadinanza?»

Non è una battuta particolarmente originale, essendo tale messaggio stato speso più e più volte rispetto ai fatti di Rimini di quest’estate. Ma mi pare costituire la sintesi perfetta non solo della doppia morale nazionalrazzista, ma anche della sottigliezza della sua crociata antibuonista.

Infatti cosa c’entra l’aggressione all’autista di un autobus o la commissione di brutalità e stupri da parte di immigrati con l’approvazione al Senato del disegno di legge sulla cittadinanza, già votato alla Camera?

Nulla. Ma la battuta funziona. Funziona perfettamente. Permette, infatti, di addossare la responsabilità dell’aggressione all’autista non soltanto a chi l’ha compiuta ma anche agli obiettivi dell’antibuonismo nazionalrazzista. Inoltre permette di aggravare la “colpa” di costoro, di criminalizzarli, per il fatto che sono favorevoli alla legge sulla cittadinanza, come se il favore per tale norma significasse essere disponibili a promuovere altre aggressioni ai danni di conducenti o stupri ai danni di donne italiane, comunque occidentali, da parte di immigrati.

 

La logica emotiva dell’antibuonismo nazionalrazzista

Quella proposta di legge prevede la concessione della cittadinanza ai bambini e ai giovani nati e cresciuti in Italia da migranti regolari[3]. Quindi non ha la minima attinenza con il fatto citato polemicamente da Calderoli. Ma per il “pensiero” nazionalrazzista la mancanza di nessi logici non è un problema. La mancata adesione al piano di realtà delle sue campagne d’odio non vale a scoraggiarlo, né d’altra parte serve ad ostacolarle.

Gli obiettivi dell’antibuonismo nazionalrazzista, infatti, vengono colpiti da comunicazioni denigranti e criminalizzanti che non hanno un gran rapporto con i fatti e con la logica razionale, ma ce l’hanno, strettissimo, con la logica di quelle emozioni negative che il nazionalrazzismo vuole alimentare e diffondere.

Secondo il ragionamento proposto da Calderoli, come da altri esponenti della Lega, incluso il leader, i diritti spetterebbero unicamente ai gruppi di persone che a suo giudizio mostrerebbero di meritarseli. E tra questi, ovviamente, non figurano gli immigrati.

Proviamo ad applicare questo principio verso gruppi diversi da quelli contro cui si scaglia sistematicamente il nazionalrazzismo.

Vediamo un po’: a Ibiza, 15 giorni prima che venisse picchiato il conducente di Parma, un suo collega è stato picchiato da una coppia di turisti inglesi. Ibiza dovrebbe chiudere le frontiere agli inglesi, specie se entrano in coppia?

Veniamo all’Italia e agli italiani.

Utilizzando la logica di Calderosi, in primo luogo, il reddito di cittadinanza andrebbe escluso a priori considerando quanti sono i falsi poveri italiani.

Poi non si dovrebbero neppure prendere in considerazioni aumenti salariali rispetto ai dipendenti pubblici, considerando che non pochi “furbetti del cartellino” sono stati colti sul fatto.

Perché discutere sulle indennità di invalidità e sulla loro inadeguatezza, visto l’elevato numero di falsi invalidi? E come può venire in mente di ridurre le tasse alle imprese grandi, medie o piccole, al lavoro autonomo tutto, data la mostruosa dimensione dell’evasione e dell’elusione fiscale?

Ancora seguendo lo schema nazionalrazzista: perché conservare il diritto di voto ai cittadini delle regioni, delle provincie e dei comuni in cui Cosa Nostra, ‘ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita sono nate (una bella fetta del Sud Italia)? Perché riconoscere ancora l’elettorato passivo e attivo a coloro che risiedono in comuni in cui queste organizzazioni criminali operano, prosperano e si radicano (il resto del Sud, il Centro e il Nord Italia).

Rispetto a questo mostruoso fenomeno Made in Italy, come la mettiamo?

Noi italiani, residenti nel Bel Paese, come gruppo, abbiamo dimostrato tutti di meritare la cittadinanza?

Sì, anzi no, ma non importa. Perché le colpe di alcuni non devono ricadere su tutti gli altri.

Ma se utilizzassimo l’impostazione di Calderoli, pensando ai tanti comuni, anche al Nord, sciolti per mafia, ai tanti casi di voto di scambio, all’omertà che permette alle mafie di spadroneggiare senza farsi notare troppo, di sfruttare, di abusare, di estorcere, di commettere violenze e omicidi, di ammazzare l’economia e di schiacciare la libertà di tanti, tantissimi di noi, potremmo provocatoriamente chiederci: è a persone come queste che vogliamo lasciare il diritto di cittadinanza?

 

Gli obiettivi dell’antibuonismo nazionalrazzista come fini

In realtà, è ovvio che l’antibuonismo nazionalrazzista limita agli immigrati la sua tendenza (razzista) a considerare come rivelatori di caratteristiche intrinseche di un intero gruppo i comportamenti negativi di alcuni suoi membri.

È un classico del pregiudizio che le scorrettezze commesse dal membro del gruppo A (in-group) sono viste dagli altri membri come non rappresentative delle qualità dell’intero gruppo.

Mentre, se ad agire male è un membro del gruppo B, out-group rispetto al gruppo A (il gruppo esterno per antonomasia, in tal caso: gli stranieri), quella condotta viene considerata da quelli del gruppo A come rappresentativa del carattere deviante di tutti i membri di B.

Tuttavia, generalmente, il pregiudizio per lo più è inconsapevole, mentre qui la tattica comunicativa è assolutamente premeditata.

Il nazionalrazzismo, infatti, si guarda dal seguire la stessa logica rispetto ai reati e alle altre scorrettezze poste in essere dagli italiani.

Se ne astiene non non perché quella logica è illogica, assurda e grottesca, ma perché l’ultima cosa che il nazionalrazzismo vuole è irritare gli italiani, gli elettori italiani.

Al massimo può rimproverare loro di essere da sempre troppo buoni, ma anche in tal caso, blandisce un potenziale elettorato, tentando di convincerlo di appartenere alla nobile quanto fantomatica “razza italiana”.

 

Alberto Quattrocolo

[1] Sono ormai diversi i post dedicati sul blog Politica e conflitto al nazionalrazzismo (gli ultimi quattro sono antibuonismo nazionalrazzista, (il)legalità nazionalrazzista, La strumentalizzazione nalzionalrazzista degli stupri, Doppia morale nazionalrazzista. In precedenti post, invece, avevo definito socialrazzismo quel razzismo, più o meno spontaneo, che si sviluppa in chi, pur non essendo un militante, un sostenitore o un elettore di forze politiche nazionalrazziste, manifesta odio verso gli immigrati, in particolare sui social, essendo convinto che l’immigrazione costituisca una minaccia per la sicurezza degli autoctoni tanto sul piano delle protezioni sociali, che sarebbero dissanguate dai costi per l’accoglienza e l’integrazione, quanto su quello dell’ordine pubblico e della legalità.

[2] Più volte in questo blog, ho segnalato che vi è anche una tendenza alla personalizzazione degli attacchi e alla de-umanizzazione dell’avversario. In molti casi, avevo rilevato nel mio piccolo, la competizione politica è giocata anche sul piano della criminalizzazione, facendo anche largo, e poco corretto uso, delle iniziative giudiziarie a carico di avversari politici. Avevo espresso una certa preoccupazione in ordine alla triplice possibilità derivante da tale dinamica relazionale nell’ambito del conflitto politico:

[3] Il disegno di legge prevede che: può diventare cittadino italiano chi è nato in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. Occorre che la dichiarazione di volontà di un genitore, o di chi esercita la responsabilità genitoriale, sia presentata al comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età. In assenza della dichiarazione, chi vuole diventare cittadino italiano può farne richiesta entro due anni dal raggiungimento dei 18 anni di età. Lo straniero nato e residente in Italia legalmente senza interruzioni fino a 18 anni, può chiedere la cittadinanza non entro uno ma entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.

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