antibuonismo nazionalrazzista

Antibuonismo nazionalrazzista

L’antibuonismo nazionalrazzista consiste in primo luogo nel creare i buonisti e nel colpirli

Da molti anni si sente parlare di buonismo e oggi assistiamo ad una sorta di antibuonismo nazionalrazzista. Avevo chiamato nazionalrazzismo (sul blog Politica e conflitto, in una serie di post, che vanno da (il)legalità nazionalrazzista a Nazionalrazzismo) quell’insieme di organizzazioni, per lo più politiche, che contano su un rilevante supporto mediatico,  impegnate nello stimolare e sfruttare la xenofobia, onde trasformarla in odio per i migranti e utilizzarla come mezzo per la conquista del potere politico.

Dopo i migranti il peggior nemico dei nazionalrazzisti sono quelli che essi accusano di essere buonisti. Dopo i migranti? Be’, forse, a ben vedere sono proprio i buonisti coloro contro cui i nazionalrazzisti conducono grossa parte della loro battaglia.

I migranti, ancora una volta, sono soltanto uno strumento della lotta politica del nazionalrazzismo.

Gli immigrati vengono colpiti dalla propaganda e, in particolare dall’antibuonismo nazionalrazzista, per due principali ragioni:

  • Individuare un nemico tangibile e facilmente riconoscibile contro cui far convergere delusioni, frustrazioni, angosce e insicurezze, pregiudizi e fobie degli italiani, serve a distrarli dalle vere cause del disagio e delle diseguaglianze e permette facilmente di proporsi come loro difensori
  • Mettere in condizioni di svantaggio competitivo gli avversari (politici e non solo), ridicolizzandoli e delegittimandoli, proprio attraverso un’articolata crociata antibuonista.

La natura strumentalmente conflittuale del termine buonista

Non sono stati i nazionalrazzisti ad inventare la parola buonismo. Il termine fu coniato da Ernesto Galli della Loggia e si prestò subito ad essere usato per stravolgere la realtà.

Impiegata inizialmente per smascherare sarcasticamente l’atteggiamento ipocrita di chi finge di comportarsi da persona buona per mero opportunismo, la parola è stata utilizzata per ribaltare il senso delle azioni altrui e delegittimarle. Così diventa “buonista” chi ha fiducia nel prossimo, chi pensa che ci si debba rivolgere all’altro educatamente, rispettandolo e cercando di capirne il punto di vista.

Ha scritto Michele Serra:

«serve a ridurre ogni moto di umanità o di gentilezza a un’impostura da ipocriti, e di conseguenza ad assolvere ogni moto di grettezza e di disumanità»

Da sempre in un conflitto giocato sul piano verbale capita che, per mettere l’altro in posizione svantaggiata, si distorca il suo ragionamento, facendolo diventare assurdo, inopportuno, ecc.: è una tattica vecchia come il mondo, di cui la crociata antibuonista del nazionalrazzismo si serve copiosamente e con egregia efficacia.

Nel caso dell’antibuonismo nazionalrazzista l’obiettivo è il seguente: far passare chi non è razzista come se fosse una persona che, per idiozia o per malafede, considera tutti i migranti dei modelli di virtù.

L’ antibuonismo nazionalrazzista capovolge significati e pensieri

Importa poco che chi è favorevole all’accoglienza e all’inclusione dei migranti abbia una rappresentazione non idealizzata di tali persone.

In fondo è sufficiente costringerlo a giocare in difesa. Basta riuscire a farlo apparire propenso all’idealizzazione.

Come? Il gioco è facile, facilissimo. Basta attaccare i migranti, con comunicazioni diffamanti e denigratorie, intrise di violenti pregiudizi, demonizzandoli di continuo, cosicché l’avversario, nella dinamica reattiva del “gioco” in corso, si trovi costretto a comunicare un’ovvietà: cioè che non sono mostri ma esseri umani come tutti gli altri.

A quel punto il gioco è fatto. L’ antibuonismo nazionalrazzista agilmente distorce il ragionamento altrui e lo ripropone come se fosse una continua glorificazione del migrante. In tal modo gli è facile sostenerne la falsità.

Per forza ci riesce! Essendo esseri umani, coloro che emigrano possono essere simpatici o antipatici, gentili o egoisti, socievoli o scontrosi, educati o maleducati, pigri o infaticabili, onesti o disonesti, di mentalità aperta o chiusa.

Il cosiddetto buonista questo fatto lo dà per scontato, come dà per scontato che si tratti di esseri bipedi e implumi. Ma è proprio grazie a questa mancata evidenziazione di un aspetto ovvio che l’antirazzismo cala il suo asso. Stravolge l’osservazione altrui e poi ne “dimostra” l’infondatezza, l’erroneità.

Se poi gli antirazzisti si permettono di porre in rilievo che dietro l’immigrazione vi sono ingiustizie secolari, che i rifugiati sono vittime di atrocità indescrivibili, ecco che l’antibuonismo nazionalrazzista si scatena.

Infatti, ancora una volta, distorcendo il ragionamento antirazzista (cioè la banale osservazione della realtà), lo accusa di dipingere rifugiati e richiedenti asilo, non come vittime, ma come santi martiri e di descrivere anche i cosiddetti migranti economici come pellegrini in odore di santità.

Ancora una volta, la razionalità è messa all’angolo.

Dire che una persona è vittima di un’ingiustizia, infatti, non significa affatto volerla ritrarre come bella, buona e cara. Una vittima di una violenza è una vittima di una violenza, punto e basta. Anche se è considerata da qualcuno antipatica come la puzza e brutta come la fame.

L’articolo 10 della Costituzione italiana riconosce il diritto d’asilo allo straniero cui nel suo Paese è negato l’esercizio delle libertà democratiche riconosciute nel nostro. L’art. 10 non dice che l’asilo è concesso solo a condizione che lo straniero richiedente sia beneducato, gentile, riconoscente, operoso, ecc.

Se la bevono in tanti, anche gli “insospettabili”, questa assurdità dell’accusa buonista

Francesco Francio Mazza su Linkiesta offre uno spunto interessante parlando di quelli che chiama “Uomini buoni” e “Ultras identitari”.

Condivido il disgusto per la strumentalizzazione delle vicende atroci patite dalle persone aggredite e violate, cui si riferisce nell’articolo, ma mi pare che il ragionamento di Mazza induca a riflettere su di un rischio: quello di stravolgere non tanto o soltanto il significato delle parole, ma soprattutto il pensiero e i sentimenti degli interessati.

Intravvedo questo rischio, quando:

  • si definisce “uomo buono” – come se fosse affetto da un difetto cognitivo (cioè come se la denominazione completa fosse “troppo buono”), come se fosse soggetto da un condizionamento ideologico -, chi evidenzia l’assurdità di porre in risalto la nazionalità dell’autore di un reato o di una vittima
  • si accostano le persone non razziste a coloro che considerano la nazionalità del reo un’aggravante e ritengono la non italianità della vittima come un elemento attenuante o come una circostanza che rende il fatto immeritevole di attenzione.

Cosa c’entra la bontà con il non essere razzisti? Non si tratta forse di banale buon senso? Non si tratta di stare dentro i valori che, si dice, innervano la cultura occidentale? Perché il non discriminare dovrebbe essere sinonimo di buonismo?

La polemica antibuonista, nazionalrazzista o meno che sia, in sostanza sostiene che il cosiddetto buonista nasconde i problemi che l’immigrazione porta con sé.

Se qualcuno li nega o li minimizza, certo svolge un’operazione intellettuale sbagliata e disonesta. Ma un conto è riconoscere tali problemi, illustrare il disagio che ne deriva, un altro è demonizzare.

Non è da buonisti – cioè da idioti o da ideologicamente strabici – riconoscere che uno stupro è uno stupro. Chiunque sia l’autore e chiunque sia la vittima.

La logica discriminatoria dell’antibuonismo

Non è da  buonisti affermare che le vittime sono tutte uguali e nessuna è più uguale di un’altra (in riferimento ad altri aspetti discriminatori avevo scritto un altro post relativo alla pericolosa tendenza a fare graduatorie di vittimizzazione: Nessuna vittima è più uguale di un’altra).

Mentre, mi pare, significa essere buonisti (cioè, ipocriti) con gli uni e cattivisti con gli altri:

  • considerare le vittime italiane come più vittime delle persone straniere offese dagli analoghi crimini
  • e ritenere i criminali stranieri più colpevoli degli italiani autori di reati analoghi.

Forse, il punto è che, come proponevo in un vecchio post (La politica della scorrettezza politica), l’antibuonismo è diventato di moda. Si ha orrore della correttezza politica. E, per paura del biasimo collettivo, si finisce con il non accorgersi, nel conformarsi al dogma della scorrettezza politica, di assumere atteggiamenti che sono scorretti sotto ogni profilo.

Però, andando al di là del ragionamento svolto da Francesco Francio Mazza, viene da chiedersi: perché il timore di apparire buonisti induce ad essere offensivi solo verso alcuni gruppi di persone? Tendenzialmente verso quelle che sono in posizione svantaggiata e hanno più difficoltà a difendersi?

Chissà perché il conformismo antibuonista non crea alcuna difficoltà ad essere accondiscendenti e collusivi, o almeno comprensivi e tolleranti, verso chi si comporta come una canaglia.

Buonisti con le canaglie e cattivisti con i poveri diavoli. Come dire: vigliaccheria, meschinità, opportunismo.

Che siano diventati virtù i vizi che metteva alla berlina la grande commedia all’italiana degli anni d’oro del nostro cinema?

L’ antibuonismo nazionalrazzista cavalca l’accoglienza che non funziona e predica il mors tua vita mea

L’ antibuonismo nazionalrazzista, del resto, non si applica soltanto ai fatti di cronaca nera. Per l’ antibuonismo nazionalrazzista tutte le volte che si segnalano problemi di mancata inclusione, di critica integrazione, ciò equivale a dimostrare che l’accoglienza in sé è generatrice di disagi, scontenti, devianze, ecc.

Il carattere assurdo più che drastico delle “soluzioni” proposte dall’antibuonismo nazionalrazzista

Ed ecco che si parla si falsa accoglienza. Invece di formulare proposte per migliorare la situazione, si demonizza l’accoglienza tout court.

Con lo stesso criterio ogni volta che un parto va male si dovrebbe mettere in discussione l’ostetricia come professione. Ogni volta che si verifica un errore giudiziario o che un contenzioso dura oltre l’umanamente tollerabile (il che accade in una grandissima parte dei casi) si dovrebbe mettere in forse l’esistenza dei tribunali. Ogni volta che si verifica un’infezione in corsia si dovrebbero chiudere gli ospedali.

L’antibuonismo nazionalrazzista non riesce a superare la logica per cui “la tua morte è la mia vita”

Inoltre l’ antibuonismo nazionalrazzista non si sofferma neppure un secondo a mettere in discussione il criterio mors tua vita mea sotteso al principio “prima gli italiani”.

Del resto, come accennato nel precedente post su questo blog, (il)legalità nazionalrazzista, l’ antibuonismo nazionalrazzista mette in pratica quel criterio disumano ogni volta che cerca di impedire, con la violenza, ad una famiglia di immigrati di prendere possesso di una casa di edilizia residenziale pubblica legittimamente assegnatale. E poco importa all’ antibuonismo nazionalrazzista se queste persone hanno acquisito la cittadinanza italiana, quel che conta è cacciarle via, per “difendere” gli occupanti abusivi di “pura razza italiana”.

Non viene mai in mente che il problema possa essere anche affrontato in termini diversi dalla “logica” del chi butto giù dalla torre? Evidentemente no.

Sarebbe troppo buonista andare oltre questa ristretta prospettiva?

No, semplicemente, rivelerebbe alla radice il controsenso intrinseco all’antibuonismo nazionalrazzista. Oppure il suo, forse inconscio, rifarsi ad una sorta di darwinismo sociale, o ad un  homo homini lupus in versione 2.0?

L’ antibuonismo nazionalrazzista stigmatizza l’accoglienza che funziona

Del resto alla crociata antibuonista del nazionalrazzismo non piace neanche l’accoglienza che funziona.

Anzi, questa soprattutto le sta sull’anima. Infatti, uno dei messaggi su cui insiste con particolare sistematicità e veemenza è proprio quello teso a far sorgere invidia, rabbia e senso di impari trattamento negli italiani rispetto alle garanzie offerte ai rifugiati e ai richiedenti asilo.

L’antibuonismo nazionalrazzista recita più o meno sempre lo stesso copione  –  proposto del resto anche da quelli che in un precedente post avevo chiamato socialrazzisti (vi avevo dedicato anche La violenza dei socialrazzisti e Conflitti, rabbia e frustrazione sullo sfondo del socialrazzismo): i rifugiati e i richiedenti asilo sono trattati troppo bene, sono viziati e non se lo meritano, mentre gli italiani emigrati all’estero tiravano la cinghia e andavano via per lavorare e non per poltrire.

Piccole dimenticanze dell’ antibuonismo nazionalrazzista

L’ antibuonismo nazionalrazzista, in primo luogo, finge di scordare che l’accusa  di pigrizia, da parte degli altri popoli, soprattutto nordici, gravava sugli italiani tutti, inclusi e per primi quelli emigrati. Al pari di questo stereotipo era altrettanto diffusa la rappresentazione dei migranti italiani come esportatori di criminalità, soprattutto organizzata, e come portatori di una cultura pericolosamente arcaica e retrograda, impossibile da integrare con quella nordamericana o nordeuropea.

In secondo luogo, l’antibuonismo nazionalrazzista trascura il non tanto piccolo dettaglio che i nostri connazionali emigrati nel ‘900, tolti quelli in fuga dal fascismo durante il ventennio e tolti gli ex gerarchi fascisti nell’immediato dopoguerra, erano tutti “migranti economici”.

Come lo sono oggi i nostri giovani, che, formatisi qui, vanno a cercare lavoro all’estero (il che, secondo Confindustria, ci costa circa 15 miliardi all’anno, un punto percentuale di Pil annuo).

Ma nei loro confronti l’antibuonismo nazionalrazzista non pronuncia parole di rimprovero. Per fortuna, aggiungo io. Ma chissà che un domani, andando al governo, il nazionalrazzismo non possa tacciarli di antipatriottismo.

Un altro dettaglio trascurato dall’ antibuonismo nazionalrazzista

Secondo la propaganda nazionalrazzista, i richiedenti asilo, i rifugiati o i titolari di protezione internazionale o umanitaria, dunque, sarebbero troppo coccolati nel nostro Paese (che i nazionalrazzisti accusano di essere irrimediabilmente buonista).

Ebbene i rifugiati sono persone che fuggono dalla guerra o che sono state seviziate, torturate, picchiate, stuprate, discriminate o incarcerate perché non aderenti o non conformi ad una certa “ideologia”. Persone che hanno visto le loro case e i loro cari saltare in aria o che hanno assistito allo sgozzamento, alla decapitazione, alla fucilazione, allo stupro, alla castrazione, oppure al rogo di coniugi, sorelle, fratelli, genitori, amici, colleghi e vicini.

Secondo l’ antibuonismo nazionalrazzista si stava meglio quando si stava peggio

In terzo luogo, per l’antibuonismo nazionalrazzista evidentemente è un male se ai migranti di ieri non era offerto nulla, mentre ai richiedenti asilo di oggi è offerto un supporto.

Chissà, forse per l’antibuonismo nazionalrazzista andrebbe biasimato anche il fatto che un tempo la sanità pubblica non esisteva, mentre gli infortunati di oggi, almeno, possono andare gratis in un pronto soccorso. Forse per l’antibuonismo nazionalrazzista la scoperta degli antibiotici costituisce un’ingiustizia, in particolare verso tutti coloro che per via delle infezioni morirono o subirono amputazioni prima che, nel 1928, Alexander Fleming scoprisse, un po’ casualmente, la penicillina.

Alberto Quattrocolo

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