La mediazione familiare, tra obbligatorietà e dovere di informazione

L’avvocato è un mediatore di diritto!

È il tormentone che spesso ci si sente ripetere…però… può definirsi anche mediatore familiare?

L’ovvia risposta – e cioè NO – non è così scontata per gli avvocati c.d. “divorzisti” o “familiaristi”…

Spesso se, gestendo una separazione o un divorzio in qualità di avvocato,propongo al collega di controparte di inviare in mediazione familiare i due rissosi clienti separandi o divorziandi, ricevo una risposta che pressappoco fa così: “La facciamo già noi, la fatica di mediare”; spesso affiancata/rafforzata da un “e poi, diciamo loro che hanno un altro costo da affrontare?”.

Spesso il riscontro è accompagnato anche da un linguaggio non verbale di insofferenza, che delinea e sottintende la forte resistenza che purtroppo ancora c’è negli ambienti forensi nei confronti della mediazione familiare.

Ed allora, quanto c’è di pregiudizio e quanto c’è di ignoranza (nel senso di non conoscenza) in materia di mediazione familiare tra gli operatori del diritto?

Ancora oggi, purtroppo si riscontra una diffusa ignoranza/disinformazione in materia, anche da parte degli addetti ai lavori.

Ciò, in parte, è anche colpa del panorama normativo italiano, piuttosto povero in tema di mediazione.

Ad esempio, l’art. 155 sexies c.c. (abrogato e, sostanzialmente, ripreso nell’art. 337octies c.c., ex art. 106, d. lgs. 154/2013), II co., prevedeva che: “qualora ne ravvisi l’opportunità il Giudice sentite le parti ed ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”.

Con tale norma il legislatore ha introdotto un nuovo potere discrezionale del Giudice; tuttavia non ha introdotto in maniera esplicita ed inequivoca l’istituto della mediazione familiare; a testimonianza di ciò la norma suindicata parla di “esperti” e non espressamente di “mediatori familiari”.

Altri riferimenti alla mediazione familiare si trovano nella, L. 154 del 4.4.2001 recante “ Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”, che in materia di protezione contro gli abusi familiari: ha novellato il c.c., inserendo gli artt. 342bis cc

Parlando di mediazione in senso più ampio, è noto a tutti che il D. Lgs 28/2010 riformato (L. 98/2013), al suo articolo 5 co I bis elenca una serie di materie per le quali la mediazione è obbligatoria costituendo condizione di procedibilità della successiva (eventuale) domanda giudiziale; ebbene, tra queste materie non rientrano quelle del diritto di famiglia.

Dunque, ancora troppi avvocati mostrano una mal celata diffidenza nei confronti della mediazione familiare.

Un po’ vedono l’intervento del mediatore come un affronto al loro operato; non è poi esclusa una certa rivalità: il mediatore potrebbe sottrarre possibile clientela. C’è poi una sorta di delirio di onnipotenza – sia tra gli addetti ai lavori che tra i clienti –  che vuole che un avvocato sia onnisciente, anche in ambiti di materia che non gli competono….

Vero è che la mediazione familiare viene ignorata e/o sottovalutata anche dagli addetti ai lavori; non vi è insomma sufficiente contezza del fatto che la mediazione familiare sia uno strumento che, invece, faciliterebbe la comunicazione tra i confliggenti ed il raggiungimento di accordi in tempi brevi, eliminando così le lungaggini processuali di cui tanto ci si lamenta.

Uno strumento che, proprio per le sue caratteristiche peculiari, non può minimamente entrare in concorrenza con la professione dell’avvocato.

La mediazione familiare NON è uno strumento volto alla riappacificazione dei confliggenti; piuttosto mira al raggiungimento (o comunque al tentativo) di accordi che tutelino soprattutto gli interessi della prole, attraverso tecniche peculiari di tale istituto, quale, ad esempio, l’ascolto empatico.

Sarebbe auspicabile, e lo dico prima di tutto come avvocato, che si giunga presto ad una definizione più solida del ruolo professionale del mediatore familiare.

Non credo tuttavia che ciò debba passare attraverso l’obbligatorietà della mediazione familiare prima della instaurazione del giudizio di separazione o di divorzio.

Quanto meno, non senza gli opportuni distinguo.

Oggi riterrei invece fondamentale approfondire altre tematiche collegate alla mediazione familiare, quali:

  • la sensibilizzazione degli operatori del diritto alla cultura della mediazione;
  • la formazione e la specializzazione dei magistrati e degli avvocati e, più in generale, di tutti coloro che si occupano della crisi familiare.

Ancora oggi la stragrande maggioranza delle coppie, coniugate o meno, che inizia un procedimento contenzioso (di separazione o di divorzio) NON conosce l’istituto della mediazione familiare.

In alcuni casi lo conoscono (sanno che esiste) ma poco/nulla sanno della sua natura, delle sue finalità e di come si svolge l’intero percorso.

Spesso mediazione familiare e terapia di coppia vengono confuse ed interscambiate.

Ed allora se un obbligo c’è, oggi, è quello di INFORMARE.

Anche in tal senso la normativa aiuta poco.

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È un dovere deontologico per l’avvocato informare il cliente della possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita (v. art. 2, D.L. 132/2014, conv. dalla L. 162/2014).

È del pari obbligatorio, in tema di mediazione civile e commerciale, che l’avvocato informi l’assistito per iscritto.

Nulla è invece previsto per la mediazione familiare, se non nel caso in cui si sia raggiunto un accordo a seguito di negoziazione assistita.

L’art. 27 del Codice Deontologico Forense prevede un obbligo deontologico di informazione da parte dell’avvocato; il professionista al momento del conferimento dell’incarico, deve informare il cliente della possibilità di avvalersi del procedimento di negoziazione assistita e, per iscritto, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione; deve inoltre informarlo dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge.

Tali scarni riferimenti normativi non paiono allo stato congrui a rendere sufficientemente edotti gli utenti dell’istituto in esame.

Questo soprattutto se si valuta che alla scarsa informazione delle parti si affianca la ancora più inquietante scarna informazione di molti avvocati.

A ben vedere, l’obbligo informativo prevederebbe anche che, oltre ad informare dell’esistenza dell’istituto della mediazione familiare, si spiegasse in maniera completa in cosa lo stesso consista.

È pur vero che il decreto di fissazione dell’udienza presidenziale contiene l’invito a rivolgersi eventualmente alla mediazione familiare; tuttavia in tal caso l’avviso appare tardivo o comunque già compromesso; i coniugi sono già in fase contenziosa; il ricorso di separazione o di divorzio è già stato depositato, magari dopo mesi di scambi di lettere tra avvocati (che spesso e volentieri hanno contribuito ad accendere animi già bellicosi).

Cosa può fare il Giudice rispetto al conflitto che stanno vivendo i coniugi?

Egli può dedicare del tempo a sentire le parti liberamente (sempre però un tempo coerente con l’iter processuale), può dare indicazioni circa i principi di diritto che regolano la materia, può, anche con l’aiuto degli avvocati, suggerire una soluzione conciliativa, può ottenere, nel migliore dei casi, un accordo che consenta di trasformare il rito da giudiziale a consensuale.

In caso contrario deve pronunciare un provvedimento che autoritativamente regola la vita della famiglia e dei figli dopo la separazione.

Ma il Giudice NON opera direttamente sul conflitto, non è il suo ruolo e non ne ha neppure la capacità.

L’unica possibilità effettiva che le parti hanno di riappropriarsi della loro funzione genitoriale consiste nel seguire un percorso di mediazione familiare.

Dunque, per tornare ad una logica di obbligatorietà, gli avvocati che si dedicano al diritto di famiglia dovrebbero informare in maniera corretta ed esaustiva della possibilità di avvalersi della mediazione familiare.

Il messaggio della necessità della mediazione familiare dovrebbe giungere alle coppie in crisi prima dell’accesso all’autorità giudiziaria, prima che il conflitto si radicalizzi, anche prima che gli avvocati avviino le trattative per un accordo.

Ed invero non sempre gli avvocati hanno un approccio corretto nelle cause di diritto di famiglia; spesso ci si pone fin da subito in una logica di scontro, di affermazione delle posizioni e delle rivendicazioni del proprio assistito e trascurando le richieste della controparte; in una posizione di vittoria e di sconfitta.

Peraltro anche il “giuridichese” non aiuta; il coniuge, negli studi dell’avvocato diventa “la controparte”; se da una parte si “vince” la causa, dall’altra parte addirittura “si soccombe”; al professionista si da la “procura alle liti”

Il tutto in netta contrapposizione con la logica della mediazione familiare, che opera in una posizione di “win-win”, con particolare attenzione ai figli che, non avendo una loro voce all’interno del processo, ne subiscono spesso le conseguenze.

Il Tribunale di Torino ha aperto un apposito sportello di mediazione al suo interno, che prevede degli incontri informativi con l’utenza in tema di mediazione familiare. Ma non tutti gli utenti sono messi in condizione di conoscerne l’esistenza e dunque di usufruirne.

Alla radice di tutte le problematiche legate all’obbligatorietà che ruotano attorno alla mediazione familiare, sarebbe necessario in  primis un mutamento radicale della coscienza sociale, a partire dagli operatori: ben possono avvocati e mediatori familiari lavorare insieme, ciascuno offrendo all’utenza le proprie competenze, per offrire un apporto professionale completo.

Monica Checchin

Tratto dalla relazione di Monica Checchin  nel convegno Le nuove frontiere della mediazione. Il futuro della mediazione in una società sempre più “arrabbiata”

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