La mediazione familiare è laica
Non sarebbe male sottolineare ad ogni occasione che la mediazione familiare è laica. Non sarebbe inutile farlo anche e soprattutto nell’attività di promozione.
Nello svolgere quest’ultima, infatti, solitamente si mettono in rilievo degli aspetti molto importanti: la mediazione familiare consente di gestire il conflitto con una spesa molto contenuta rispetto ai costi del contenzioso giudiziario; hai dei tempi assai più brevi del procedimento giurisdizionale; restituisce agli attori del conflitto il potere e la responsabilità di assumere delle decisioni su aspetti fondamentali della loro esistenza, anziché delegarli ad autorità terze; previene o contiene gli effetti lesivi sui figli di una conflittualità esasperata e permanente tra i genitori…
Ebbene, tutti questi elementi portati a supporto della promozione della mediazione familiare, per quanto veri, rischiano di lasciare sullo sfondo il loro intento relazionale di sciogliere dei blocchi. Quali? Be’, quelli della diffidenza e della paura degli attori del conflitto (di qualsiasi conflitto) nei confronti della prospettiva della mediazione. Una diffidenza, a ben guardare, che spesso si nutre del sospetto che essa possa non essere laica. Cioè, che intenda imporre alle parti in conflitto una qualche propria superiore norma morale. Ad esempio, quella per la quale il conflitto è sinonimo di Mal, mentre la pace, quindi l’accordo, è sinonimo di Bene.
Sono blocchi connessi all’irrigidimento delle contrapposizioni, all’escalation del conflitto, all’inclinazione dei suoi protagonisti a cercare una vittoria campale e definitiva nelle aule dei tribunali civili o, perfino, penali. Ma sono anche blocchi collegati alla convinzione di essere dalla parte giusta – o, almeno, quella meno sbagliata – e di aver subito più torti di quanti ne sono stati inflitti. E, se parliamo di mediazione familiare, tra gli ostacoli alla ricezione della sua offerta, non bisogna nasconderselo, c’è spesso anche la convinzione di ciascun confliggente di essere un genitore decisamente più adeguato della controparte. Sicché, la proposta della mediazione familiare, vissuta come un iter teso a stabilire o a far rivivere una co-genitorialità, può suscitare un moto di rifiuto, proprio nella misura in cui è questa co-genitorialità prospettata a far paura e a suscitare rabbia e preoccupazione.
Insomma, i vantaggi della mediazione vengono posti in risalto da noi mediatori familiari, come avviene per altri tipi di mediazione (penso ad esempio a quella civile e commerciale), con l’obiettivo e con la speranza che i diretti interessati riconoscano come essa sia per loro più vantaggiosa della contrapposizione guerreggiata.Tuttavia, proprio alcuni di questi vantaggi, nei frequenti casi di conflittualità più profonda e risentita, possono essere avvertiti e intesi come elementi minacciosi.
C’è, quindi, una tensione di fondo, in moltissime situazioni, tra l’offerta della mediazione familiare e il conflitto che quella si propone di gestire.
Se e quando ciò accade, si è in presenza di un fatto insopprimibile e ineludibile, che può determinare un rifiuto dell’offerta mediativa, proprio nella misura in cui non si è raggiunti dal messaggio che la mediazione familiare è laica.
Perciò, è davvero un peccato che non si veicoli anche un altro messaggio, mentre la si promuove o la si propone. Un messaggio, in effetti, che risponde al senso profondo e ai presupposti di base della mediazione familiare. Di tutta la mediazione familiare, quale che sia la scuola di pensiero, la pratica applicativa, il modello teorico-operativo adottati.
La mediazione, infatti, in tutti i suoi eterogeni paradigmi, si fonda sul presupposto della a-valutatività.
Quest’ultima, quindi, come noi di Me.Dia.Re. abbiamo già osservato più volte in diverse pubblicazioni, in post pubblicati sulla rubrica Riflessioni del nostro sito (ad esempio, questo), e anche in molti video di Conflitti in corso, (come il 29°), non significa soltanto non giudicare chi ha torto e chi ha ragione, ma significa ancor prima non giudicare negativamente i confliggenti per il fatto che sono in conflitto. E ciò vale anche per i genitori.
In breve, e per concludere: la mediazione familiare è laica perché è a-valuativa ed è a-valuativa perché è laica.
La mediazione familiare è laica, infatti, se e in quanto si fa carico delle persone, non lasciandosi vincolare da un qualche principio di fede che cerca di imporre, sia pure con dolcezza, ai suoi fruitori; non è portatrice di una morale superiore. Pertanto, è anch’essa in qualche modo figlia di Emmanuel Kant, nel senso che anche per il mediatore familiare gli esseri umani con cui professionalmente interagisce sono un fine e non possono essere mai trattati come un mezzo. Neppure, per raggiungere un fine che è costituito da altri esseri umani, cioè i figli (vale a dire, il loro benessere, inteso come salvaguardia dagli effetti dannosi del conflitto nella coppia genitoriale).
Quindi, anche l’eventuale morale sottesa alla mediazione familiare (o, per meglio dire, la principale ragione della sua esistenza: prevenire e contenere la sofferenza dei figli dovuta alla conflittualità tra i genitori) dev’essere a misura d’uomo e non il contrario. Del resto, Gesù aveva chiarito che il sabato è fatto per gli uomini e non gli uomini per il sabato.
Alberto Quattrocolo
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