Il “sequestro emozionale” del conflitto e l’ “intelligenza emotiva” della mediazione

Lo psichiatra Bessel Van Der Kolk sostenne che, di fronte a certe situazioni di natura minacciosa, come quelle conflittuali, si verifica una sorta di “sequestro emozionale” o “amygdala hijack”. In particolare, nell’amigdala, cioè quella parte del nostro cervello in cui si attivano risposte istintive ed emozionali a certi stimoli, scatta l’allarme e si ha il rilascio di adrenalina e cortisolo. In altri termini, l’organismo si predispone a reagire, irrigidendo i muscoli, tendendo i nervi e alterando la pressione e la circolazione sanguigna, tanto che ci accorgiamo che, in quelle circostanze il collo e la mandibola si tendono, abbiamo una certa sensazione di calore diffuso, anche a livello lombare, mentre sentiamo il sangue affluire alle guance.

Il “sequestro emozionale” durante il conflitto

Ma, mantenendo per un attimo in vigore, un’impropria distinzione tra corpo e mente, la reazione dell’amigdala, si fa sentire anche al livello di quest’ultima, procurando, appunto, il suddetto “sequestro emozionale”.

Tale sequestro agisce sulle nostre facoltà intellettuali, incidendo, ad esempio, in termini negativi sulla nostra memoria e sulla nostra capacità di organizzare i pensieri e la loro esposizione verbale.

Nelle situazioni conflittuali, in effetti, non è raro riscontrare come proprio ciò che ci servirebbe di più, ovvero una certa capacità nel verbalizzare argomenti, sentimenti e ragioni, diventa fallace o addirittura latitante. Quando, come suole dirsi, ci va il sangue alla testa, il nostro eloquio ne risente, diventiamo confusi e anche la nostra capacità di ordinare i ricordi zoppica. Accade che aggiungiamo dettagli imprecisi, ricordiamo fatti o particolari diversi da quelli accaduti, rammentiamo male le esatte parole dette da altri.

L’esplosione del conflitto, dunque, incide sulla nostra capacità di impiegare al meglio la nostra intelligenza. Ma ad essere toccata è anche una particolare forma di intelligenza, la cosiddetta “intelligenza emotiva”.

L’intelligenza emotiva di Goleman

Nel 1995  Daniel Goleman, nel proporre la sua teoria dell’intelligenza emotiva, specificò che essa non va confusa con il QI (quoziente intellettivo) e che, a differenza di quello, ha una maggiore attinenza con il latino intelligere, cioè, “intŭs legĕre”, capire le cose che stanno dentro, sotto, oltre, la superficie. Secondo la sua teoria, l’intelligenza emotiva, che va intesa come la capacità di rilevare le proprie emozioni, di gestirle, di motivarsi, di riconoscere le emozioni altrui e di dare luogo a rapporti interpersonali di qualità, si fonda su cinque pilastri:

L’intelligenza emotiva si basa su cinque pilastri: la self awareness, che è la capacità di essere consapevoli di ciò che si prova, cioè dei proprio sentimenti e delle proprie emozioni; la self regulation, che consiste nella capacità di gestire sentimenti ed emozioni; la motivation, la quale va intesa come attitudine ad assumere comportamenti e atteggiamenti conformi alla propria autonoma volontà e non alle aspettative o alle indicazioni di altri o ai condizionamenti di particolari situazioni; l’empathy, vale a dire la capacità di sentire e riconoscere emozioni e sentimenti altrui; la socialization, che, può essere considerata la capacità di declinare, in pratica, le suddette quattro disposizioni nelle situazioni di tipo sociale.

Gli effetti del conflitto sull’intelligenza emotiva

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Una condizione conflittuale particolarmente accesa tra due o più persone, è esperienza comune, vede intaccate le capacità cognitive ed emotive dei suoi protagonisti. Sul primo registro, capita frequentemente di realizzare in seguito, se ci si prende la briga di ripassare certi passaggi degli scontri, di avere detto cose che, in altri momenti non si sarebbero dette e neppure pensate; ci si accorge, poi, di aver svolto ragionamenti dalla logica stiracchiata, di avere proposto argomenti traballanti e avanzato prove tutt’altro che conclusive a supporto delle proprie tesi urlate, delle proprie dimostrazioni, in realtà non così compiutamente dimostrate, delle proprie convinzioni, aventi, in effetti, non pochi risvolti dogmatici. Sul piano emotivo, ci si avvede di avere perso il controllo sulle proprie reazioni emotive, di essersi scaldati troppo. O, magari, di aver perso l’uso della parola, di essere rimasti ammutoliti, congelati (nel 18° appuntamento di Note di mediazione, Daniela Meistro Prandi si è soffermata sugli aspetti e sui risvolti dell’emozione della paura nella mediazione dei conflitti e nel 19° video ha preso in considerazione la rabbia).

Com’è noto, l’escalation conflittuale si palesa su molteplici registri personali e interpersonali (si potrebbe dire, intra-psichici e inter-psichici), tra di loro collegati. Ed è a tale livello che, se vogliamo utilizzare a fini descrittivi le suggestioni provenienti dai contributi di David GolemanBessel Van Der Kolk, che la nostra intelligenza emotiva subisce degli effetti e si verifica il sopra citato sequestro emozionale.

Il sequestro emozionale e la de-umanizzazione dell’altro.

Nella progressione del conflitto, infatti, accade che l’altro cessa di essere una persona con la quale si interloquisce per diventare un nemico: da soggetto umano in carne e ossa, dotato di pensieri, interessi, sensibilità e sentimenti, diventa qualcosa di assai poco concreto. Diventa un nemico. Ai nostri occhi e alle nostre orecchie, assume forme e suoni più o meno mostruosi: è l’entità che ci infligge sofferenze evitabili, ingiustificate e crudeli; è l’essere che ci perseguita e cospira contro di noi; è la causa dei nostri disagi, guai e dolori. Non abbiamo più nulla da dirgli, se non rinfacciargli le sue colpe. Non ha più niente da dirci, perché ogni sua parola è un concentrato di falsità, un distillato di distorsioni. Non ha alcuna maggiore conoscenza da trasmetterci, poiché il suo rapporto con i fatti è contraddistinto dall’assenza o dalla manipolazione. Non può insegnarci nulla, perché è un concentrato di ottusità, allergica alla verità. Non ha nulla su cui farci riflettere, perché nella sua comunicazione la buona fede, la trasparenza e l’onestà non hanno mai fatto capolino. Non può commuoverci, perché, in realtà, la sua sofferenza ha la consistenza di una simulazione mal recitata, i suoi lamenti riguardano danni in realtà non sofferti e, in ogni caso, pienamente meritati, anzi cercati. Non abbiamo più nulla da aspettarci, se non un ulteriore, e più devastante, male, che presto o tardi la sua cattiveria ci infliggerà.

Il conflitto e il sequestro emozionale  delle capacità dell’intelligenza emotiva

Va da sé, a ben vedere, che, in tali circostanze, fatichiamo parecchio non soltanto a cogliere cognitivamente la prospettiva dell’altro ma anche, e ancor di più, a metterci emotivamente nei suoi panni. Il sequestro emozionale, infatti, come incide sulla nostra consapevolezza  e sulla nostra gestione delle emozioni e dei sentimenti che stiamo vivendo, così inibisce o annulla la capacità di sentire e riconoscere le emozioni del nemico. Del resto, in tali condizioni, i nostri comportamenti e atteggiamenti non sono il frutto di una nostra autonoma determinazione, ma sono il risultato del condizionamento operato dalla dinamica conflittuale.

Lo scioglimento del sequestro emozionale da parte della mediazione dei conflitti

Rispetto alla dinamica de-privativa, caotica e costrittiva del sequestro emozionale procurato dall’escalation del conflitto, la mediazione può fare qualcosa. Se declinata, infatti, con la dovuta attenzione agli aspetti emotivi e affettivi, la mediazione ha una notevole capacità di ripristinare le libertà che il sequestro emozionale ha sottratto alle persone coinvolte nel conflitto.

Il mediatore, infatti, come abbiamo tante volte ricordato in questa rubrica, Riflessioni, non si limita a udire, ma ascolta. Cioè, comunica ciò che ascolta, ciò che avverte, in termini emotivi, da coloro con i quali si relaziona. Il suo ascoltare, quindi, è un comunicare. Quando il mediatore dice ad un confliggente che “lo sente” arrabbiato (oppure angosciato, deluso, stanco, addolorato, triste…) agisce proprio a rinforzo della self awarness. E il graduale e progressivo ripristino di quella facoltà, che il conflitto aveva sequestrato nel confliggente, insomma, la sua riattivazione, grazie alla messa in pratica da parte del mediatore della propria capacità empatica, costituisce la premessa anche per la liberazione dell’empathy, della motivation e della  socialization.

Affinché tale capacità della mediazione di agire sul sequestro emozionale si verifichi, naturalmente, occorre che l’empatia del mediatore non sia condizionata dal fine conciliativo che eventualmente lo muove. Cioè, occorre che il mediatore (come abbiamo sostenuto nel post L’empatia non è una passeggiata) sappia accogliere e riconoscere anche emozioni e sentimenti pervasi di ostilità, di rigidità e di chiusura al dialogo e perfino al confronto.

Alberto Quattrocolo

 

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