conflitto

La prima vittima del conflitto è la verità

Si dice che la prima vittima del conflitto sia la verità.

Ciascuna delle parti è convinta di averne il monopolio e rigetta i contenuti e gli argomenti della controparte, in quanto falsi. Essere dalla parte della verità, del resto significa anche essere dalla parte giusta, cioè della giustizia. Quindi, anche se si dovesse mentire, inventando dei fatti o alterandone la dinamica o il significato, magari nel tentativo di persuadere altre persone della validità e giustezza delle proprie idee e comportamenti, ci si può sentire, comunque, dalla parte della verità: infatti, la menzogna proposta verrebbe considerata solo come uno strumento al servizio del superiore fine della vittoria sulla controparte, che costituirebbe l’affermazione della giustizia sull’ingiustizia, del verso sul falso…

Se ciò è vero, a ben vedere, è perché ad essere ucciso dal conflitto è anche il dialogo. Anzi, ancor di più: perfino il confronto risulta compromesso, quando non del tutto soppresso.
Se si vuole gestire un conflitto altrui, come accade nella mediazione (che sia un’attività di mediazione familiare o di mediazione penale, o di conflitti sorti in ambito organizzativo-lavorativo, sanitario, sociale, scolastico, ecc.), occorre far sì che le parti (le persone) coinvolte abbiano la possibilità di esprimersi, di raccontare e di raccontarsi, e di sentirsi comprese.

Cioè, di essere liberate dal fardello di dover dimostrare la natura obiettiva e indiscutibilmente vera della loro verità.

Se ciascuna parte ottiene da chi gestisce il conflitto soltanto di essere udita, ma non sentita, è assai improbabile che si ristabilisca un confronto. E ancor più arduo è che si giunga ad un dialogo e, a seguito di questo, a quell’autentico riconoscimento reciproco tra le persone, che l’escalation del conflitto aveva seppellito sotto strati di paure, ostilità, risentimenti, pregiudizi, angosce, perdite e tristezze.
Tuttavia, se ciascuna delle persone in conflitto si sente ascoltata e, quindi, riconosciuta dal terzo (mediatore), non essendo più impegnata nello sforzo di farsi capire, di argomentare e di persuadere, avrà maggiori possibilità di svolgere un confronto con la controparte. Un confronto, in realtà, che è suscettibile di assumere le forme del dialogo.

Tratto dalla relazione di A. Quattrocolo (“La Mediazione Sanitaria, Penale e Organizzativo-Lavorativo”) al convegno “LA MEDIAZIONE A 360°. Presso l’Arena Samsung di Piazza della Repubblica, Milano, 18 ottobre 2017

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