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La mediazione dei conflitti in pillole

“L’effetto di una mediazione consiste nell’arrivare a “sentire l’altro”, a comprendere empaticamente la sua verità”. A. Quattrocolo

Perché Me.Dia.Re.

Nelle società complesse come la nostra, le occasioni d’incontro tra generazioni, generi, opinioni e culture diverse sono sempre di più. Al progressivo manifestarsi delle diversità e delle contraddizioni corrisponde il crescere dell’incertezza: lo sconosciuto, l’altro da sé incuriosisce ma fa anche paura, confonde, mette in discussione e ridisegna i confini del noto.

Spesso la perplessità o il disorientamento prodotti, invece di incontrare possibilità di evoluzione, degenerano in frustrazione e rabbia, dando luogo anche a violente esplosioni di collera, di fronte alle quali risulta impossibile distinguere le cause dagli effetti, o comprenderne le ragioni reali.

D’altra parte, il conflitto è irrinunciabile. Costituisce una modalità relazionale “naturale” e svolge una essenziale funzione di segnale: ci informa che qualcosa non va, o non va più, e che occorrono dei cambiamenti.

La mediazione dei conflitti si propone allora come innovativo strumento di gestione della conflittualità, in cui le parti possono avere accesso alla conoscenza, alla comprensione e all’accettazione della diversità dell’altro. Durante la mediazione, alla presenza di un terzo neutrale che ha il compito di favorire la circolazione del flusso comunicativo, le parti hanno la possibilità di elaborare le ragioni del loro aspro contendere, e di giungere in piena autonomia, attraverso il reciproco riconoscimento, alla formazione di accordi.

Tanto più significativi, se sorti all’interno di una relazione trasformata. In questi casi, il conflitto può diventare un’occasione preziosa per ricostruire o per modificare i rapporti con gli altri e, in qualche misura, anche un po’ con se stessi.

Quale mediazione

Nel modello di mediazione scelto da Me.Dia.Re., quello della mediazione trasformativa, il mediatore siede tra le parti non per giudicare, né per imporre delle soluzioni, ma per accompagnarle nel confronto, consentendo l’espressione non soltanto dei “fatti” proposti nelle diverse narrazioni in conflitto, ma dei loro significati, nonché dei bisogni e dei vissuti delle persone, al fine di riattivare i canali di comunicazione.

Da questo punto di vista l’effetto della mediazione non è tanto il mero accordo tra i confliggenti, quanto il ristabilirsi di una comunicazione, grazie al riconoscimento reciproco che trasforma la relazione, procurando la responsabilizzazione delle parti in merito al conflitto ed alla soluzione eventualmente trovata.

Lo strumento principale adottato nella mediazione trasformativa è quindi l’ascolto. L’espressione dei vissuti, la comunicazione della rabbia, dei dolori e delle angosce ad essa sottostanti, consente alle parti coinvolte di spiegarsi, di superare i ruoli con i quali si sono presentati o in cui sono stati incasellati dalla controparte. In quest’ottica, ascoltare, non significa cercare a tutti i costi una soluzione, né tentare di ‘guarire’ l’altro dalla sua emozione, ma, anziché eludere la sua sofferenza, aiutarlo ad affrontarla, comunicandogli che non è solo e che si è disponibili ad avvicinarsi ai suoi stati d’animo, senza censurarli né giudicarli.

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