Un’altra ipotesi di reato per la Raggi, nuova indagine a Napoli per violazione della legge elettorale e archiviazioni per “Mafia Capitale”. Altre considerazioni sulla “politica difensiva”

Si apprendono nell’arco di una manciata di ore notizie sulle archiviazioni di Nicola Zingaretti (presidente della Regione Lazio), Gianni Alemanno (ex sindaco di Roma), del consigliere regionale Eugenio Patanè e di altri circa 110 indagati e quelle sull’iscrizione nel registro degli indagati del consigliere comunale del PD Salvatore Madonna, per violazione della legge elettorale (nove persone sarebbero state candidate a loro insaputa alle ultime lezioni comunali in una lista civica a favore della candidata del PD Valente). Quasi contestualmente perviene la notizia di un avviso di garanzia per la sindaca di Roma, indagata per abuso di ufficio, in concorso con Salvatore Romeo.

Non sappiamo se e come tali fatti verranno commentati nei prossimi giorni, ma qui non ci si occupa del merito di simili fatti, bensì di altri aspetti: in particolare, in tal caso, di quelli connessi al conflitto e ai suoi effetti.

Tra questi, va segnalato che uno dei costi dello sfruttamento delle vicende giudiziarie, all’interno del conflitto politico, è certamente sopportato dalle persone che finiscono in tale tritacarne (si pensi al caso di Ilaria Capua o a quello di Federica Guidi).

Proseguendo il ragionamento svolto in un altro articolo, relativamente a possibili analogie con quanto accade in rapporto al contenzioso per “malpractice sanitaria”, si possono ravvisare reazioni emotive e situazioni di fatto non tanto dissimili da quelle sofferte da professionisti della sanità coinvolti in procedimenti giudiziari. Avendo ascoltato medici accusati di malpractice e avendo svolto la supervisione a favore di team aziendali di Ascolto e Mediazione dei Conflitti, che avevano svolto tali colloqui nelle aziende sanitarie pubbliche di Emilia Romagna, Piemonte e Lombardia, in alcune pubblicazioni dedicate al tema della gestione dei conflitti in sanità, e in Elementi di vittimologia e di Victim Support (Giusio M., Quattrocolo A., 2013), si è fatto notare che, convenuti davanti a un Tribunale civile o imputati in un processo penale, essi sentono che ad essere messo in discussione non è soltanto il singolo intervento, ma l’intera carriera professionale, anzi la loro stessa moralità. Il medico accusato, anche nel caso di un’assoluzione successiva, ritiene spesso di aver subito un danno permanente all’immagine. Un danno, che nessuna iniziativa giudiziaria nei confronti del suo accusatore potrà risarcire completamente. Tante volte, come accade al politico indagato, è messa in risalto dai media la notizia delle accuse rivoltegli, ma raramente la stessa enfasi è accordata al suo proscioglimento. Come talora succede al  politico rispetto al partito o alla schieramento di cui fa parte, anche il professionista della salute accusato di malasanità, spesso si sente tradito dai vertici dell’ente cui appartiene (l’Azienda Sanitaria): infatti, non è raro che l’Azienda Sanitaria, ad esempio, per le richieste risarcitorie collocate nei limiti della franchigia, decida di procedere al risarcimento, senza o contro il parere del o dei professionisti il cui comportamento sarebbe stato lesivo: le strutture sanitarie e le compagnie di assicurazione, infatti, dato l’elevato rischio di una pronuncia sfavorevole in sede civile, per l’estrema difficoltà di provare in giudizio la correttezza di tutte le condotte effettivamente realizzate, per ragioni economiche, molto spesso preferiscono accordarsi con la controparte e liquidare il danno lamentato, anche se ritengono che non sussista alcuna responsabilità del professionista e/o dell’organizzazione. Analogamente, non è raro che il partito, soprattutto i suoi vertici, prenda le distanze dall’esponente politico indagato. Per costui, dunque, si tratta di entrare in una sorta di limbo (a detta di coloro che ci sono stati, poco gradevole, in verità), per il partito, a volte, sembra che si tratti di evitare che quella vicenda giudiziaria diventi un’arma formidabile nelle mani degli altri avversari e così, si cerca di prevenire e contenere gli effetti dannosi. Quest’ultimo aspetto parrebbe essere un effetto del conflitto che condiziona le condotte e gli atteggiamenti delle parti, le quali sono indotte dalla dinamica conflittuale ad adottare reazioni intese a ridurre le possibilità di essere ferite dalla controparte. Ma assai spesso si tratta di una situazione di scacco matto: perché per il partito/movimento allontanarsi dal proprio amministratore indagato può essere considerato impossibile e ingiusto, non solo perché si ha fiducia nella sua innocenza, ma anche perché il farlo vorrebbe dire ammettere l’errore dell’intero partito o della sua leadership per la fiducia riposta in quella persona; il non farlo significa procurarsi come minimo l’accusa di arroganza e incapacità di ammettere gli errori, ma in presenza di toni polemici più esasperati, le contestazioni delle controparti politiche si sostanziano per lo più in accuse di omertà, connivenza, ipocrisia, doppiopesismo, spregiudicatezza, indifferenza al tema della legalità e della moralità della politica, ecc. (a titolo esemplificativo si pensi al diverso atteggiamento avuto dai diversi partiti e dai diversi giornali per le vicende che interessarono Piero Marrazzo, prima, e Silvio Berlusconi poi)

Dunque, se il politico indagato fa, o se è invitato a fare dal suo partito, il cosiddetto “passo indietro”, in verità, ciò dovrebbe corrispondere ad una semplice e doverosa assunzione di responsabilità politica da parte del singolo e/o della sua organizzazione. Ovvero, si fa o si chiede il passo indietro, se il politico indagato, alla luce di una valutazione nel merito sul suo operato di tipo politico risulta inidoneo. Marginalmente si annota che tale valutazione dovrebbe essere indirizzata anche ai non indagati.

Però, non si può escludere che, talora, in presenza di indagini della magistratura, sia un’istanza di politica difensiva a svolgere un ruolo determinante nel portare al passo indietro, laddove la valutazione politica sull’amministratore, parlamentare, ecc. sia, invece, di segno positivo. Si tratta, in simili casi, di una scelta che, sì, è tesa a prevenire le conseguenze politiche negative della vicenda giudiziaria, ma che ha ricadute personali per i soggetti coinvolti e produce effetti sui loro rapporti con la forza politica cui appartengono e con le altre. Inoltre, si profila anche un costo per la comunità.

Perché, talvolta, non è di poco conto anche per i cittadini il costo derivante dalla richiesta di dimissioni e/o dall’ostracismo inflitto al politico capace ed efficace nella sua opera, poi riconosciuto giuridicamente immune da ogni responsabilità. Se si perde un politico o un amministratore bravo, la comunità subisce un costo correlato ai mancati vantaggi che la sua opera avrebbe potuto procurare. E soprattutto vi è un altro ancor più costoso prezzo: l’allargamento della lacerazione del rapporto di fiducia tra politica e società. Analogamente a quanto può accadere in relazione al conflitto tra paziente e  medico, ciò che si spezza è il legame.

Infatti, si è già detto che ad incidere sul rapporto società-politica non sono soltanto i troppi fatti corruttivi ma anche la loro manipolazione a fini politico-conflittuali.

Si potrebbe obiettare che la causa principale di tale perdita resta il comportamento illegale acclarato di molti politici malfattori. Probabilmente è così, ma non si può escludere che un ruolo concausale non marginale lo abbia anche questo aspetto del conflitto politico.

In conclusione: si tratta di una perdita che sta interessando o che potrebbe interessare sostanzialmente tutte le forze politiche. E, nella logica del conflitto, il fatto che il numero degli indagati o condannati sia più alto per una forza politica e più basso per l’altra rileva solo entro certi limiti e, tendenzialmente, soltanto per i militanti e i simpatizzanti, ma conta assai poco per coloro il cui cuore non batta per questo o quel partito.

 

Alberto Quattrocolo

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