Intervista a Monica Cristina Gallo: i conflitti all’interno del carcere e la necessità dell’Ascolto e della Mediazione
Nella ventisettesima puntata di Conflitti in corso, abbiamo fatto un’intervista a Monica Cristina Gallo, da poco riconfermata nel ruolo di Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Torino, mediatrice familiare e mediatrice penale (formatasi presso di noi in un Master di Mediazione Familiare e Penale da lei seguito alcuni anni fa); già Presidente dell’Associazione Culturale Lacasadipinocchio con sede operativa proprio presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno.
Come ci spiega la Garante dei detenuti della Città di Torino, sono diversi i tipi di conflitto che coinvolgono le persone private della libertà: ci sono i conflitti con la famiglia, quindi con persone che sono all’esterno del carcere, e ci sono quelli interni al luogo di detenzione, a partire dalle tensioni con coloro che condividono la stessa cella. Poi ci sono i conflitti che coinvolgono il personale di custodia.
«Laddove non si è privilegiata la cosiddetta “sorveglianza dinamica”, che prevede un contatto diverso col detenuto, che si avvicina al trattamento e che non è tanto custodiale, ma si verifica una vera e propria custodia, la persona che subisce questo eccesso di sicurezza ha dei momenti in cui non riesce assolutamente a tollerarlo»
Poi, come può capitare a chiunque, c’è il «conflitto sanitario», cioè quello tra professionista della salute e paziente. Ma in tal caso con differenze rilevanti: quando si è reclusi la decisione di sottoporsi a delle analisi, di farsi vedere da uno specialista, ecc., non dipende da una scelta del malato, ma dalla valutazione e dalla decisione dei sanitari interni al carcere, spesso assunte con tempistiche esasperatamente lunghe per il detenuto.
«In questo tempo di attesa», lungo e vuoto com’è il tempo in carcere, «il detenuto rimugina sui suoi malanni e i sintomi finiscono coll’essere amplificati». Ciò costituisce un’altra rilevante fonte di conflitti.
Questi e altri contrasti e disagi vengono portati all’attenzione della Garante dei diritti dei detenuti, che, nei colloqui con questi ultimi, in primo luogo, come ci racconta, s’impegna ad ascoltare. Ascolta e rispecchia, cioè, riflette e restituisce alla persona ascoltata emozioni e sentimenti e, così facendo, in molti casi, la aiuta a mettere a fuoco la vera portata e l’autentica radice del conflitto: spesso la disperazione, il dolore, l’angoscia e la mancanza delle cose della “vita fuori”.
Le considerazioni di Monica Cristina Gallo, com’è ovvio, non possono non toccare anche il tema della mediazione dei conflitti interni al carcere, che, sostiene, sarebbe un’utilissima risorsa, purtroppo sottovalutata o addirittura ignorata e, pertanto, non implementata. Ma la Garante sottolinea, con amarezza, che anche la mediazione familiare trova scarsissima implicazione.
Naturalmente, le riflessioni di Monica non possono non includere aspetti ancora più vasti e profondi, come il linguaggio e il modo in cui i luoghi di detenzione sono pensati e rappresentati e il tema del rapporto tra il carcere e la società in cui quello è, anche territorialmente, inserito.
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