Intervista ad Eleonora Ferraro: il conflitto e la Coordinazione Genitoriale

Abbiamo intervistato Eleonora Ferraro, educatrice, life and family coach, mediatrice penale e coordinatrice genitoriale (per sapere di più sula sua attività si può guardare la pagina Instagram laiutoquieora), in questo 38° video della rubrica Conflitti in corso, per farci spiegare le principali caratteristiche di un importante strumento di gestione dei conflitti tra i genitori separati o in via di separazione. Oltre alla mediazione familiare, infatti, esiste anche la Coordinazione Genitoriale, che ha un approccio decisamente pragmatico e un fine decisamente importante:

«L’obiettivo finale è fare in modo che il bambino non soffra per la sottoposizione al conflitto dei due genitori, che, però, litigano in quanto ex-coppia e non in quanto ex-genitori. La Coordinazione Genitoriale, come il Coaching, è una metodologia pratica. Aiuta a trovare delle soluzioni concrete rispetto ai problemi su cui i genitori litigano invece di collaborare per risolverli»

 

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Intervista a Silvia Griglio: dentro una comunità mamma-bambino

La dottoressa Silvia Griglio, psicologa della Cooperativa Il Ricino (di tale cooperativa avevamo intervista anche la presidente, Federica Castellaro, sulla gestione dei conflitti in una cooperativa sociale e Antonella Pisegna, consigliera d’amministrazione, sulla delicata funzione dell’educatore), in questa intervista della rubrica Conflitti in corso, ci conduce all’interno di una realtà particolare, quella di una comunità mamma-bambino, dove sono accolti nuclei inviati dai Servizi Sociali a seguito di situazioni di pregiudizio per i minori e per le donne, tanto che un’alta percentuale di inserimenti è caratterizzata da invii prescritti dal Tribunale dei Minori. Spesso, infatti, si tratta di situazioni in cui le donne erano vittime di violenza e i loro figli vittime di violenza assistita, quando non anche di violenza diretta, oppure di abusi sessuali. Come spiega Silvia Griglio,

«in tali casi il tribunale decide di fare un inserimento di questo tipo più che altro perché sia valutata la capacità della madre di tutelare i figli. E questo crea già dei problemi nei vissuti di queste donne, perché, oltre ad essere vittima di un  maltrattamento anche molto grave perdurato anche molti anni, si trovano messe in discussione da parte del tribunale, che dice: “andiamo a capire se come e quanto si può aiutare questa donna ad essere più tutelante verso i propri figli”. In altri casi, si trattava di presunti abusi sessuali da parte del papà o di qualche altro parente nei confronti dei bambini. Poi vi sono altre condizioni di trascuratezza sempre nei confronti dei figli… Quindi, il conflitto all’interno della comunità è presente spessissimo. Le mamme, quando arrivano, non sempre hanno capito bene perché sono state mandate nella comunità e sono in conflitto col tribunale, con i servizi sociali e anche con le nostre educatrici che hanno certamente una funzione di supporto, ma che hanno anche il dovere di scrivere delle relazioni per l’autorità giudiziaria su quanto osservano. E naturalmente questo doppio ruolo dell’educatore è difficile da gestire, dal momento che si entra in un rapporto molto intimo, che è quello di una mamma con un bambino».

La situazione relazionale descritta da Silvia Griglio, pertanto, è particolarmente complessa e altrettanto ricca di potenziali risvolti conflittuali. E interessanti, sotto questo profilo, sono anche le sue considerazioni sulla funzione dell’educatore come figura che, attraverso l’esempio della propria condotta, dimostra come il conflitto non significhi necessariamente interruzione del rapporto e non sia sinonimo di violenza, specie se viene gestito in una prospettiva, costruttiva, di chiarificazione. Del resto, riflette, anche l’educatore può nella comunicazione dare luogo a dei “non-detti” e in tal caso, un valido strumento per rendersene conto è la supervisione svolta da chi ha una specifica competenza nella gestione dei conflitti.

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Intervista agli autori de “La versione di Jean”: Jean Diaconescu, Stella Iannitto e Manuela Cencetti

Abbiamo approfittato della disponibilità di Jean Diaconescu, Stella Iannitto e Manuela Cencetti, autori de “La versione di Jean”, per tornare ad occuparci di questo documentario in concorso al 38° Torino Film Festival (nella sezione ITALIANADOC) e dei diversi livelli di conflitto che quel film racconta. Nell’intervista, infatti, vengono approfonditi aspetti e risvolti emersi già nell’intervista a Manuela Cencetti, mentre ne emergono altri lì non affrontati: ad esempio, apprendiamo da Stella Iannitto com’è nato questo film, mentre Jean Diaconescu racconta com’è sorto e come si è sviluppato il suo rapporto con il Platz e con i suoi abitanti e spiega le ragioni che lo hanno spinto a documentare, filmando, quel che andava succedendo a partire dal 2013 nel cosiddetto “campo rom” di Lungo Stura Lazio, a Torino.

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Intervista a Manuela Cencetti sul docufilm La versione di Jean

Il documentario La versione di Jean, presentato in concorso alla trentottesima edizione del Torino Film Festival è al centro del nostro 35° video della rubrica Conflitti in corso. Abbiamo, infatti, intervistato Manuela Cencetti che, con Jean Diaconescu e Stella Iannitto, è autrice del soggetto e della sceneggiatura e ha curato la regia del film. Un film che è anche un documentario di un conflitto, un conflitto tra una parte della società e delle sue istituzioni, la parte materialmente vincitrice, e un’altra parte di essa, quella sconfitta, che è costituita da persone considerate “indesiderabili” e de-umanizzate.

«La versione di Jean ci permette di sentire le voci e ci mostra gli sguardi di chi, da decenni, non è mai stato preso in considerazione, ma solamente minacciato, gestito e controllato come un oggetto. Persone assimilate costantemente ad un “problema”, che creano soltanto grane per i politici di turno e per l’opinione pubblica, da segregare in campi “legali” creati dalle stesse istituzioni o in insediamenti illegali, che devono restare ai margini, invisibili, perché se queste persone decidessero mai di mostrarsi o ancora peggio di resistere a queste pratiche di esclusione e segregazione spaziale e abitativa, di raccontare la propria versione delle cose, la repressione nei loro confronti sarebbe immediata, così come la loro cacciata».

La versione di Jean ci conduce, infatti, nella storia degli esseri umani che hanno vissuto in un enorme campo nella periferia nord di Torino. Questo spazio venne popolato da persone rom e povere, originarie della Romania, giunte a Torino a partire dalla fine degli anni ’90, le quali, benché prima vivessero in case o appartamenti, si erano ritrovate a vivere stabilmente, per decenni, in tale baraccopoli, essendo la costruzione di una baracca la sola forma di abitare possibile per chi è escluso dal mercato immobiliare. Tra il 2013 e il 2015 il cosiddetto “campo rom” di Lungo Stura Lazio, chiamato il “Platz” dai suoi abitanti, divenuto una delle baraccopoli più grandi dell’Europa occidentale, diventò l’oggetto dell’era degli sgomberi “dolci”: ad una piccola parte degli abitanti, considerati “meritevoli”, fu data la possibilità di vivere per qualche tempo (al massimo un anno e mezzo) in un appartamento, pagando solo una parte dell’affitto (una volta finiti i fondi, per la maggior parte dei “meritevoli” divennero insostenibili  le spese e gli affitti ai prezzi del marcato privato, sicché furono sfrattati, o lasciarono la casa, e cercarono rifugio in un altro campo); la maggior parte degli abitanti della baraccopoli, esclusi da subito dal progetto, furono costretti a rifugiarsi in altri campi e baraccopoli di Torino, in particolare negli insediamenti di corso Tazzoli e via Germagnano. Quest’ultima è stata oggetto di uno sgombero “non dolce” nell’agosto 2020, nel silenzio e nell’invisibilità più totali. Nel frattempo il campo “bonificato” Lungo Stura Lazio è divenuto una specie di inglorioso e squallido campo di battaglia. Dopo oltre quattro anni quell’area non è che un vasto spazio pieno di macerie, recintato con chilometri di jersey.

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Verità e bugie nei conflitti ai tempi del COVID-19

In questo 34° video di Conflitti in corso commentiamo la mail di una persona che, raccontando del suo conflitto con un famigliare convivente, da egli definito “negazionista irrecuperabile” (in riferimento al COVID-19), si interroga sul come mai, nel litigare, si trovi anch’egli a non resistere alla tentazione di ricorrere ad esagerazioni di dati e fatti, e delle loro possibilità interpretative, e all’evitamento di argomenti ritenuti “scomodi”.

«Se io sono dalla parte della Verità più evidente e verificabile, perché mi trovo, anch’io, a mentire come fa quel bugiardo patologico, cospirazionista paranoico e ubriaco di bufale?»

Nel video ci soffermiamo quindi sulla difficile convivenza della verità, dell’obiettività e della sincerità, con il conflitto.

Lo spazio per sentimenti ed emozioni nella mediazione familiare e nella mediazione civile e commerciale, secondo Cristel Jocollé

In questa trentatreesima puntata di Conflitti in corso torniamo ad intervistare Cristel Jocollé (l’avevamo già intervista nel 32° video e, nel 2019, sulla rubrica Interviste ad ex corsisti di Me.Dia.Re.) sulle diverse modalità di gestione del conflitto nella mediazione familiare e nella mediazione civile e commerciale. Assai opportunamente, Cristel pone in rilievo come tali eterogeneità tra i due tipi di mediazione sia riconducibile anche ad una differenza riguardante gli obiettivi e la stessa ratio sottesa ad essi. Per illustrare efficacemente tale aspetto Cristel Jocollé ricorre, infatti, alla narrazione di un caso da lei seguito di mediazione civile e commerciale in ambito successorio.

Il che consente di esplorare le diverse modalità e possibilità di dare accoglienza e riconoscimento alle emozioni e ai sentimenti degli attori del conflitto.

 

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Intervista a Cristel Jocollé: la mediazione familiare e la mediazione civile e commerciale

In questa trentaduesima puntata di Conflitti in corso intervistiamo Cristel Jocollé (l’avevamo già intervista qui, nel 2019, sulla rubrica Interviste ad ex corsisti di Me.Dia.Re.) su come si manifesti e sia gestito il conflitto nella mediazione civile e commerciale e nella mediazione familiare.

Le osservazioni proposte da Cristel, come ben si avverte ascoltandola, sono il frutto di corposa esperienza sviluppata in entrambi gli ambiti professionali.

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Trentunesima puntata di Conflitti in corso: il conflitto e l’intelligenza emotiva

Nella trentunesima puntata della rubrica Conflitti in corso rispondiamo ad una persona che si chiede e ci chiede:

«Com’è possibile che quel mio famigliare, che mi odia così tanto e che passa sui miei sentimenti come un carrarmato, sappia essere così umano, gentile, comprensivo e affettuoso con le altre persone? Come potrebbe la mediazione risolvere quest’assurdità?».

Nel video, riflettendo sullo spiazzamento, la delusione e la sensazione di tradimento crudele che l’autore della mail propone, ci si sofferma brevemente sull’intelligenza emotiva (in particolare, sulle cinque basi a fondamento di essa, secondo David Goleman: la self awarness, come consapevolezza delle proprie emozioni; la self regulation cioè la capacità di gestirle; la motivation, vale a dire la capacità di agire senza essere vincolati da qualcosa o da qualcuno; l’empathy, cioè la comprensione dei sentimenti altrui; la socialization, che è la capacità di impiegare le precedenti competenze nelle situazioni sociali), per svolgere qualche riflessioni su come essa possa essere condizionata dalla dinamica conflittuale e supportata da un percorso di mediazione. Soprattutto, una mediazione in cui l’ascolto del mediatore adempia proprio alla funzione di aiutare i confliggenti a dare forma di pensiero alle loro emozioni e ai loro sentimenti.

Trentesima puntata di Conflitti in corso: la mediazione familiare non è una guerra al conflitto

Dal momento che il mese di ottobre è dedicato alla Mediazione Familiare e che ci è pervenuta una mail di una donna la quale, fermamente intenzionata a separarsi, ci pone alcuni quesiti, è di nuovo questo il tema della trentesima puntata della rubrica Conflitti in corso (affrontato anche nella ventinovesima puntata).

In particolare, lo spunto è offerto dal quesito preoccupato che la signora ci ha posto:

«La mediazione familiare serve a far restare insieme chi vuole separarsi?».

Nel video, oltre a rispondere al contenuto letterale della domanda, spiegando che non è questa la funzione della mediazione familiare, ci si sofferma anche su un aspetto più implicito, sotteso a quell’interrogativo. In particolare, si chiarisce che la funzione della mediazione familiare non è quello di far cambiare idee, sentimenti, propositi, comportamenti o atteggiamenti, ma di facilitare la comunicazione tra i protagonisti del conflitto, cosicché ritrovino quella forza e quella capacità di trasmettere efficacemente i propri pensieri ed emozioni e di ricevere i messaggi della controparte, che la dinamica conflittuale molto spesso indebolisce o, addirittura, azzera.

Si ribadisce, quindi, nel video, non soltanto che i mediatori non danno torti e ragioni e non approvano o disapprovano il conflitto in sé, ma anche che la mediazione familiare non è una guerra al conflitto, bensì restituiscono ai suoi attori un po’ di quelle libertà e facoltà che la dittatura della dinamica conflittuale ha loro sottratto o inibito.

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Ventinovesima puntata di conflitti in corso: la mediazione familiare è a-valutativa

La ventinovesima puntata di Conflitti in corso è dedicata al mese (ottobre) e alla Giornata Nazionale della Mediazione Familiare (15 ottobre).

In particolare, con la speranza di contribuire a diffonderne la conoscenza, ci si sofferma su alcuni aspetti della mediazione familiare, forse non sufficientemente messi in rilievo nel promuoverla, e sulla possibile sussistenza di non-detti nella relazione tra chi veicola la proposta della mediazione e i suoi destinatari principali (i genitori in conflitto): non-detti che, forse, rallentano la diffusione di tale risorsa e inibiscono un maggiore ricorso ad essa.

Ad esempio, andrebbe probabilmente rafforzato uno dei presupposti fondamentali della mediazione: l’assenza di giudizio.

«La mediazione familiare è a-valuativa perché è laica, in quanto si fa carico delle persone e non è vincolata ad un principio di fede. E non è portatrice di una morale superiore. Cioè, è anch’essa, in qualche modo, figlia di Emmanuel Kant: anche per il mediatore familiare vale il criterio per il quale l’essere umano è un fine e non può essere mai trattato come un mezzo; quindi, la morale, semmai, dev’essere a misura d’uomo e non il contrario»

Allora,

«se la mediazione familiare è laica e, di conseguenza, a-valutativa, diciamolo forte e chiaro»: non soltanto non giudica chi ha torto e chi ha ragione, ma ancor prima non valuta negativamente i genitori confliggenti per il fatto che sono in conflitto.

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