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34 risultati per la ricerca di: adolf hitler

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30 aprile ’45: la morte e l’auto-assoluzione di Hitler

Il 30 aprile del 1945 Hitler per non fare la stessa fine di Mussolini si toglieva la vita. E lasciava un “testamento politico”. In quelle righe si può leggere l’oscura potenza dei meccanismi mentali di auto-giustificazione e di auto-assoluzione. Qui meccanismi che consentono prima di esercitare violenze e atrocità e poi di sentirsi a posto con la propria coscienza, perché, si dice a se stessi, la vittima non è una vittima: è il colpevole, se l’è cercata, se l’è meritata, non è umana, non è meritevole di un umano trattamento, ed è giusto e doveroso odiarla, perseguitarla, derubarla, umiliarla e ucciderla.

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Stalingrado: la ferocia, gli ordini, la morte, Hitler, Stalin… e «la dignità umana»

«Oggi i russi combattono con un eroismo e uno spirito di sacrificio senza pari, ed essi combattono contro di noi solo per difendere la loro dignità umana». Ciò fu quanto scrisse in un rapporto ufficiale un funzionario nazista, Otto Bräutigam, mentre infuriava la battaglia di Stalingrado. Deplorava, spassionatamente, il fatto che il terrore pianificato e realizzato dai suoi connazionali, insieme alla politica di sterminio e sfruttamento della popolazione sovietica, invece di indurla ad accogliere i tedeschi come liberatori e a rivoltarsi contro i bolscevichi, la inducesse a resistere con disperato coraggio.

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Hitler non fece né un colpo Stato, né una rivoluzione

Quel 30 gennaio del 1933 non ci fu un colpo di Stato né una rivoluzione Adolf Hitler non ottenne il potere con un colpo di Stato. Egli divenne cancelliere del Reich il 30 gennaio del 1933, ricevendo l’incarico dal presidente Paul Von Hindenburg, secondo le procedure previste dalla costituzione di quella repubblica democratica che si […]

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2 luglio 1940 Hitler dà le direttive per invadere l’Inghilterra

«Poiché l’Inghilterra, a dispetto della sua situazione militare disperata, non mostra ancora di voler venire a patti, ho deciso di preparare un’operazione di sbarco contro di essa e, se necessario, di eseguirla. Scopo di tale operazione sarà l’eliminazione del territorio metropolitano inglese come base militare di operazioni contro la Germania e, qualora dovesse risultare necessario, la completa occupazione di esso», aveva disposto Hitler nella direttiva con cui dava il via all’operazione Leone Marino. Più tardi, rivolgendosi al popolo inglese, disse: «I vostri capi scapperanno in Canada», ma «per milioni di altri cominceranno grandi sofferenze». E, in tal modo, il Führer predisse: «un grande impero sarà distrutto, un impero che non è mai stata mia intenzione distruggere e neanche danneggiare… ». La premessa per l’attuazione dell’operazione Leone Marino era, come previsto nella direttiva del 2 luglio, il conseguimento della supremazia area da parte della Germania. La battaglia aerea che ne seguì, la battaglia d’Inghilterra, però, segnò il fallimento del progetto hitleriano, al quale avevano preso parte anche 170 caccia, bombardieri e ricognitori del Corpo Aereo Italiano della Regia Marina inviati da Mussolini.

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Conflitti che generano altri conflitti

Capita che da un conflitto, per così dire, principale ne derivi un altro, secondario, relativo alle differenti opzioni circa i modi preferibili di affrontare il primo. Nell’esempio dello scontro tra il presidente degli Stati Uniti, John F. Kennedy, e i vertici delle forze armate ai tempi della crisi missilistica cubana (sessant’anni fa), si sarebbe potuto dire che, in seno ai massimi livelli del governo USA, lo scontro fosse tra i sostenitori della necessità di lasciare aperta fino all’ultimo una possibilità di dialogo con i leader russi e i fautori di una linea di contrapposizione durissima contro l’Unione Sovietica. Entrambi argomentavano le loro posizioni fondandole sull’obiettivo di prevenire lo scatenarsi di una Terza Guerra Mondiale in grado di cancellare quasi ogni forma di vita dal pianeta. Entrambi consideravano l’altra opzione pericolosissima e giudicavano incoscienti e irresponsabili coloro che la sostenevano.

Analoghe dinamiche, pregne di diffidenza reciproca e di sospetto di tradimento, possono prodursi nei rapporti intercorrenti tra i membri di alcune o di tutte le fazioni che stanno confliggendo in ambito familiare o lavorativo, come in altri contesti relazionali. In tali circostanze, chi volesse tentare di gestire il conflitto principale, secondo noi, farebbe bene a non sottovalutare la rilevanza di quelli che ne sono derivati. Tanto più che questi ultimi, in parte, spesso vivono di vita propria e, in parte, possono, a loro volta, alimentare il conflitto che li ha generati e provocarne di ulteriori.

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Mediazioni e compromessi come sinonimo di vita (libera)

Mediazioni e compromessi punteggiano le nostre vite di tutti i giorni. Sulle mediazioni e sui compromessi si sono fondate delle costituzioni, si sono approvate leggi d’importanza capitale e si sono costruite innumerevoli maggioranze di governo, perfino esecutivi di unità nazionale, fin dai tempi della Prima Guerra Mondiale (ma si potrebbe risalire alle guerre napoleoniche), nel Regno Unito, come del resto, in Italia.

Scriveva Amos Oz

«Nel mio mondo la parola compromesso è sinonimo di vita (…) Il contrario di compromesso è fanatismo, morte (…). Ritengo che l’essenza del fanatismo sia nel desiderio di costringere gli altri a cambiare».

Se il compromesso (e la mediazione che lo ha prodotto) è il contrario del fanatismo, cioè del progetto di cambiare gli altri, allora anche i mediatori, forse, dovrebbero stare attenti a non diventare fanatici della mediazione e del compromesso cercando di costringere i protagonisti del conflitto a cambiare, cioè a smettere di essere in conflitto.

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Mediazione e compromesso

Mediazione e compromesso sono spesso intesi come un binomio, un’accoppiata inscindibile. Tanto che talvolta pare quasi che significhino la stessa cosa. Ciò per lo più si verifica allorché mediazione e compromesso sono percepiti e intesi in senso negativo, come indici di debolezza, come sintomi di una mancanza di valori e perfino come sospetta disponibilità a simpatizzare con il nemico. Tuttavia, esiste e ha un certo consenso anche la posizione, opposta, di chi tesse le lodi della disponibilità alla mediazione e al compromesso, ritenendola sinonimo di maturità e di capacità di dialogo.

Non manca, peraltro, il conflitto tra i fautori della mediazione e del compromesso e coloro che si rifiutano anche solo di prenderne in considerazione l’eventualità.

Ma che rapporto c’è tra mediazione e compromesso? In molti casi, anche in ambito professionale (si pensi alla mediazione civile e commerciale o alla mediazione familiare), si potrebbe dire, che è largamente diffusa una rappresentazione di tale relazione come se fosse di tipo “genitoriale” (una mediazione riuscita genera un compromesso, cioè un accordo), ma non è detto che mediazione e compromesso debbano essere necessariamente associati. Non è detto, cioè, che il fine di un intervento di mediazione debba essere necessariamente il conseguimento di un compromesso tra i protagonisti del conflitto. In questo articolo spieghiamo quali sono le conseguenze “operative e commerciali” di una stretta correlazione tra mediazione e compromesso e come sia possibile intendere e svolgere la prima senza avere come fine il raggiungimento dell’accordo.

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L’abominevole Operazione Barbarossa

L’Operazione Barbarossa iniziava il 22 giugno 1941: in programma non c’era soltanto l’invasione nazista dell’URSS, ma un macello sconfinato. E proprio l’estrema ferocia nazista contro ebrei, commissari politici, prigionieri di guerra, partigiani e civili, fu uno dei fattori del suo fallimento. I  russi, infatti, non poterono considerare i soldati di Hitler come dei liberatori dal giogo stalinista, ma come dei persecutori ancora peggiori. Così li combatterono con uno spirito di sacrificio e con un eroismo che i vertici del Terzo Reich, a causa del loro disprezzo per la “razza slava” e della loro mancanza di umanità, non avevano potuto prevedere. 

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Medgar Evers, una vita contro il razzismo

Aveva combattuto le truppe naziste in Francia, durante la Seconda Guerra Mondiale ed era stato congedato con onore e il grado di sergente, ma nel Mississipi, dov’era nato e cresciuto, non poteva andare nei bagni delle stazioni di servizio, non poteva fare acquisti in certi negozi, non poteva iscriversi a certe scuole e università pubbliche e aveva non pochi problemi ad esercitare il proprio basilare diritto democratico, quello di votare. Non poteva neppure ribellarsi, sia pur pacificamente. Però Medgar Evers si ribellò. Lottò, fu minacciato ma non intimidito. Quindi fu ucciso dal Ku Klux Klan, il 12 giugno del 1963, con una fucilata alla schiena mentre stava entrando in casa.