Bombardamento su Roma del 19 luglio del ’43.

Il 19 luglio del 1943 Mussolini incontrò Hitler a Feltre, nel Veneto. Il primo, caldamente consigliato dal Capo di Stato maggiore, generale Ambrosio, accarezza sempre più l’idea di uscire dalla guerra. L’Italia era entrata in guerra tre anni prima, accanto alla Germania nazista, per decisione del duce, indotto dai successi bellici tedeschi in Europa, tanto ad est che ad ovest e a nord, dove le forze anglo-francesi erano state battute, a risolvere lo stato di non belligeranza (su questa rubrica, Corsi e Ricorsi, abbiamo ricordato l’entrata in guerra dell’Italia nel post Solo alcune migliaia di morti e l’attacco alla Francia nel post 20 giugno 1940 l’attacco infame e fallimentare dell’Italia alla Francia). Ma poi la guerra aveva preso una piega sfavorevole per le forze nazifasciste, anche in virtù dell’entrata in guerra degli USA al fianco dell’Inghilterra, dopo il 7 dicembre del ’41. Già le forze italiane avevano subito l’umiliazione della sconfitta da parte di quelle elleniche nel tentativo di invadere la Grecia muovendo dall’Albania, che l’Italia aveva invaso nella primavera del ’39, quando ancora l’Europa era in pace (si veda il post In Albania non portammo ordine, giustizia e pace), poi c’era stata la dissennata campagna di Russia, esitata in una disastrosa ritirata, mentre alle sconfitte subite in Africa Settentrionale ed Orientale, si affiancavano i pesanti bombardamenti degli aerei alleati sulle maggiori città italiane. Appena una settimana prima di quel 19 luglio la Royal Air Force aveva pesantemente bombardato Torino (l’abbiamo ricordato qui) . Inoltre gli anglo-americani erano sbarcati in Sicilia la notte del 9 luglio (vi abbiamo dedicato il post Con lo sbarco in Sicilia, dopo 21 anni di regime, subisce un’accelerazione la fine del Fascismo).

Adolf Hitler però era deciso a non lasciarsi sfuggire l’alleato,essendogli utile a mantenere il conflitto, cioè l’avanzata anglo-americana, lontano dalla Germania.

Mentre i due discutevano, a 500 chilometri di distanza si consumava il primo massacro aereo della capitale.

3.000 morti e 11.000 feriti. Il quartiere di San Lorenzo fu quello più colpito: 1.500 morti e 4.000 feriti. I bombardieri delle forze aeree alleate del Mediterraneo, guidati dal generale James Doolittle (abbiamo ricordato la figura di questo generale dell’avizazione americana nel post Quel bombardamento su Tokio di “incoraggiamento”), circa 500 in tutto, sganciarono 4.000 bombe in due attacchi distinti (uno di mattina e uno di pomeriggio), incontrando solo una debole resistenza anti-area.

Due gli obiettivi strategici degli Americani: interrompere il sistema di comunicazione, bloccando così i rifornimenti diretti a sud, verso il fronte, e incrinare il morale e la fiducia della penisola intera. Quanto al primo, è ampiamente documentato lo sforzo diplomatico del Vaticano, risalente già al 1942, di evitare il bombardamento di Roma. La Santa Sede spinse il governo italiano a spostare gli obiettivi militari al di fuori della città e cercò di convincere gli Alleati della concretezza di questo cambiamento. La notevole presenza di beni religiosi e artistici sul territorio cittadino; la disapprovazione dell’America latina e dei cattolici statunitensi, specialmente irlandesi; l’opportunità per l’Asse di fare propaganda a suo favore; l’abbassamento del morale della componente cattolica dell’esercito alleato: nessuno di questi fattori fu ritenuto sufficientemente valido da distogliere Doolittle dalla sua missione.

Da tradizione: il 19 luglio 64 d.C. Roma bruciò per mano di Nerone. 1879 anni dopo, la Città eterna brucia di nuovo, e continuerà sino al 4 giugno del ’44: la liberazione.

Alessio Gaggero e Alberto Quattrocolo

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