Il 17 settembre 1944 scatta la fallimentare operazione Market Garden

Il mio paese non potrà mai più pagarsi il lusso di un altro successo di Montgomery.
(Il principe Bernardo dei Paesi Bassi, conversazione con lo storico C. Ryan)

Nella tarda estate del 1944, dopo lo sbarco alleato del 6 giugno (o abbiamo ricordato nel post Gli amici del 6 giugno, su questa rubrica, Corsi e Ricorsi) ciò che restava dell’esercito tedesco che per quasi due mesi aveva difeso le spiagge e i campi della Normandia si stava ritirando senza sosta, “più veloce di quanto gli alleati riuscissero a inseguirlo”; il cedimento militare e morale dei tedeschi aveva permesso agli alleati di consolidare le proprie teste di ponte nella Francia nord-occidentale e dilagare in profondità, liberando rapidamente gran parte del paese (in questo post abbiamo ricordato la liberazione di Parigi) e del Belgio, arrivando quindi a contatto con la cosiddetta Linea Sigfrido sul confine tedesco.

Circolava grande ottimismo tra le forze alleate, e si valutava il luogo più strategico per sferrare l’offensiva finale; la recente avanzata in Belgio aveva allungato notevolmente le linee di rifornimento, soprattutto per il carburante, rendendo necessario disporre di almeno un porto di grandi dimensioni, e fu anche per questo che si decise di intervenire in Olanda, pianificando la più grande operazione aviotrasportata della storia. Sin dalla prima fase della preparazione, erano insorte divergenze tra gli inglesi e gli americani: i primi, con Montgomery, erano decisi a un’azione concentrata da Nord tramite un massiccio impiego di truppe aviolanciate; i secondi, con Eisenhower, propendevano per un duplice attacco congiunto su un fronte settentrionale e uno meridionale. Prevalse il piano inglese, ma rimase immutata la rivalità, anche personale, tra gli alti ufficiali alleati, motivata da differenti concezioni strategiche, da reciproca scarsa considerazione e anche da antichi retaggi storici.

L’obiettivo era quello di attraversare di sorpresa il Reno, avanzando poi direttamente sul suolo tedesco e sulla regione industriale della Ruhr, allo scopo di provocare un crollo definitivo del nemico e concludere la guerra entro Natale. L’idea degli alleati era semplice: invece che lottare per ogni singolo ponte, conquistarli tutti con un unico blitz. Questa era la prima parte dell’operazione (Market), che sarebbe stata compiuta da circa 35 mila paracadutisti americani, inglesi e polacchi; la seconda parte (Garden) era costituita da una grossa forza di terra che avrebbe dovuto percorrere tutti i cento chilometri del corridoio appena occupato e stabilire una testa di ponte presso la città di Arnhem. Una volta arrivati oltre al Reno in territorio tedesco, la fine della guerra sarebbe stata questione di settimane.

Il successo della complessa operazione combinata, aerea e terrestre, dipendeva dal fatto che tutti i ponti venissero conquistati prima che i tedeschi avessero il tempo di distruggerli. Inoltre, i ponti avrebbero dovuto essere difesi fino all’arrivo delle forze Garden, scelta tattica rischiosa, giacché i paracadutisti erano armati soltanto alla leggera: bastava che un unico ponte lungo il corridoio venisse distrutto per condannare le truppe atterrate pochi chilometri più avanti. I comandanti sintetizzarono l’operazione spiegando che i paracadutisti “avrebbero steso un tappeto su cui le truppe di terra avrebbero fatto una passeggiata”. Alcuni ufficiali delle divisioni aviotrasportate si chiesero se quel tappeto dovesse essere composto di soldati vivi o morti.

Si poneva inoltre il problema della conformazione del territorio olandese, che, seppur pianeggiante, era disseminato di canali e fiumi, tra cui quello cruciale, il Reno, largo in media 400 metri: appariva dunque critico far passare 20.000 uomini sull’unica strada percorribile dai mezzi militari, stretta e fiancheggiata da paludi per buona parte del percorso, nel complesso di un piano che non prendeva in considerazione la possibilità di ritardi e dava per scontata una scarsissima resistenza da parte tedesca. Montgomery sminuì i dubbi dei comandanti, sottovalutò i rapporti dei capi della Resistenza olandese e le informazioni intercettate circa la possibile presenza di truppe tedesche sul territorio, e proseguì deciso a eseguire il piano, per rifarsi con una smagliante vittoria dallo smacco subito con l’assunzione da parte di Eisenhower del comando di tutte le forze terrestri alleate, e anche per giocare un ruolo decisivo nella vittoria finale sulla Germania.

La mattina del 17 settembre 1944 nei cieli dell’Inghilterra meridionale si vide sfilare un’immensa colonna formata da più di 3.500 aeroplani, larga 16 chilometri e lunga oltre 160, così grande che impiegò più di due ore a passare. A bordo di quegli aerei c’erano all’incirca 20 mila soldati che avevano in media meno di 24 anni, i cui paracadute punteggiarono di bianco il paesaggio olandese. Alle 14, tutte le unità uscite indenni nella traversata, con 511 veicoli, 330 pezzi d’artiglieria e 590 tonnellate di materiale, erano atterrate senza problemi. I piloti degli alianti britannici si unirono agli aviotrasportati, mentre quelli statunitensi, secondo gli ordini stabiliti, cercarono di far ritorno dietro le linee.

L’attacco fu una sorpresa quasi perfetta, i tedeschi furono colti dal panico e tutti i ponti principali furono conquistati intatti. In diversi settori, però, i tedeschi dimostrarono di essere un esercito ancora molto lontano dall’essere sconfitto.

Inoltre, si rivelò tragica realtà la presenza presso la zona dei lanci di due divisioni corazzate delle Waffen-SS; i generali tedeschi Model e Student organizzarono con grande rapidità la difesa dei ponti stradali, ottenendo da Hitler forti rinforzi dal Belgio e 300 caccia della Luftwaffe, che cominciarono a bombardare la linea di rifornimento alleata. Ad Arnhem gli inglesi dovettero far fronte al fuoco dei cecchini, mentre molti ponti erano stati fatti saltare o sabotati dai tedeschi. Poi ci si mise il maltempo a ostacolare i lanci degli alleati, ritardando rinforzi e rifornimenti, mentre i tedeschi, ormai a conoscenza dei piani angloamericani, occupavano le zone di lancio.

Tra le linee inglesi scoppiò il caos. Tutte le criticità paventate a Montgomery dai comandanti presero corpo: le radio non funzionavano e le punte dell’avanzata si ritrovarono isolate, mentre i rinforzi non riuscivano a procedere nei tempi stabiliti, con i mezzi pesanti costretti in fila indiana sull’unica strada circondata da terreno cedevole, sulla quale bastava il fuoco di un unico cannone nemico ben nascosto per rimanere bloccati.

La lotta più aspra si ebbe nella zona di Arnhem. Conquistato faticosamente “quell’ultimo ponte” dagli uomini del colonnello Frost, nei successivi otto giorni di combattimenti violentissimi alla periferia della città i tedeschi cercarono di impedire al grosso degli inglesi di prestare aiuto agli uomini sul ponte, mentre in città centinaia di soldati combatterono casa per casa; gli abitanti, che tentarono di prestare soccorso e supporto ai britannici, subirono pesanti rappresaglie dai tedeschi, con migliaia di vittime civili.

All’alba del 25 settembre, ai soldati superstiti venne dato l’ordine di mettersi in salvo: in duemila riuscirono ad attraversare il Reno, altri duemila fuggirono nelle campagne. Seimila paracadutisti furono presi prigionieri.

L’operazione Market Garden si rivelò quindi un fallimento: l’ipotizzato crollo delle difese tedesche sul Reno non si verificò; il grande fiume non fu attraversato; alcuni reparti scelti alleati subirono gravi perdite o furono distrutti; la battaglia si concluse con un imprevisto successo tedesco, utile per il morale e la propaganda del Terzo Reich; il territorio conquistato dagli anglo-statunitensi si rivelò sostanzialmente inutile dal punto di vista strategico generale. Lo sfondamento a nord verso la Ruhr sarebbe stato possibile solo quattro mesi dopo, in una situazione strategica e politica completamente diversa.

Sia l’operazione che le sue conseguenze furono inquadrate dagli storici nell’ambito delle divergenze strategiche fra il generale Montgomery e i comandanti statunitensi, in particolare Patton e Bradley, solo parzialmente composte dal comandante in capo alleato Eisenhower.

Tra morti, feriti e dispersi, le perdite anglo-americane ammontarono a quasi 17000. Le vittime olandesi tra i civili non furono quantificabili con certezza, tra le 20000 e le 30000; le perdite del gruppo d’armata tedesco in tutta l’area dell’operazione Market Garden furono stimate circa 20.000.

Silvia Boverini

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Fonti:
www.wikipedia.org;
D.M. de Luca, “Un ponte di troppo”, www.ilpost.it;
E. Frittoli, “L’operazione Market Garden: il fallimento del secondo D-DAY”, www.panorama.it;
C. Ryan, “Quell’ultimo ponte”, Mondadori;
G. Winston, “Operation Market Garden, the Failed Operation May Have Done More Harm than Good”, www.warhistoryonline.com

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