Viene ritrovato il cadavere di Matteotti il 16 agosto del 1924

Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.”.

Così, consapevole dei rischi a cui si esponeva, mormorò il deputato Giacomo Matteotti detto “Tempesta” dai compagni del Partito Socialista Unitario, al termine del famoso discorso da lui tenuto alla Camera dei Deputati il 30 maggio 1924, con il quale aveva contestato la correttezza delle elezioni tenutesi in aprile: denunciando violenze e abusi da parte del Partito Nazionale Fascista, al governo dalla fine di ottobre del 1922, in seguito alla marcia su Roma (lo abbiamo ricordato, su questa rubrica, Corsi e Ricorsi, nel post Il 31 ottobre 1922 si insediò il primo governo Mussolini), Matteotti aveva messo in discussione la libera formazione del consenso del popolo e, conseguentemente, la stessa legittimità del Parlamento formalmente scaturito dalle urne.

Nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà. […] Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse”.

Voi che oggi avete in mano il potere e la forza, voi che vantate la vostra potenza, dovreste meglio di tutti gli altri essere in grado di far osservare la legge da parte di tutti. […] Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano […] domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni.”.

Rapito sotto casa il 10 giugno, il deputato sarà ritrovato cadavere, con segni di percosse e ferite da coltello, solo il 16 agosto, seppellito malamente nel bosco della Quartarella, una ventina di chilometri fuori Roma; mentre Mussolini in persona ordina che il funerale si tenga al paese natio di Matteotti (Fratta Polesine), lontano dallo sguardo dell’opinione pubblica, la vedova chiede pubblicamente che alle esequie non si presentino esponenti del PNF o della Milizia Fascista.

Nei due mesi intercorsi tra la scomparsa e il ritrovamento del corpo, infatti, l’accaduto era apparso da subito chiaro, se non dimostrabile nei dettagli, almeno nelle linee generali.

Le indagini condotte dai magistrati Tancredi e del Giudice si avviano pochi giorni dopo il rapimento e, grazie anche a testimoni, i cinque rapitori, membri della polizia politica facenti capo ad Amerigo Dumini, sono identificati e arrestati, ma l’accertamento della verità subisce rallentamenti e depistaggi.

I socialisti unitari vicini a Filippo Turati accusano il governo e il 26 giugno tutti i rappresentanti dell’opposizione decidono di abbandonare i lavori del Parlamento fino a quando non sia fatta chiarezza (abbiamo ricordato la secessione dell’Aventino nel post Dall’Aventino alla dittatura); l’atteso intervento dirimente da parte di casa Savoia non avviene, bensì l’8 luglio il governo fascista, approfittando dell’assenza dell’opposizione, vara nuovi regolamenti restrittivi della libertà di stampa.

I tre procedimenti giudiziari sull’accaduto (l’ultimo nell’immediato dopoguerra) non riescono a dimostrare una responsabilità penale personale e diretta di Benito Mussolini quale mandante dell’omicidio; questi, se inizialmente sembra subire un certo isolamento in conseguenza del diffondersi di una vox populi colpevolista nei suoi riguardi (che lo indurrà a recuperare consenso scaricando i personaggi di spicco direttamente o indirettamente implicati nelle indagini), pochi mesi dopo arriverà a rivendicarne con sprezzo la responsabilità politica, nel famoso discorso del 3 gennaio 1925, con cui convenzionalmente si fa iniziare la fase dittatoriale del fascismo, sancita, pochi giorni dopo, dall’approvazione pressoché senza dibattito del famoso pacchetto di provvedimenti autoritari e repressivi, noti come “leggi fascistissime” (le abbiamo ricordate nel post Le prime leggi fascistissime).

Se l’ascesa della dittatura fu terreno fertile per il delitto Matteotti, è opinione corrente in storiografia che il movente non possa essere ascritto unicamente al conflitto di idealità contrapposte, che pure i due principali protagonisti incarnavano.

Vi sarebbe infatti una ragione assai meno nobile per quell’omicidio, riconducibile al dossier che Matteotti avrebbe dovuto presentare alla Camera il giorno successivo alla sua scomparsa: il deputato, avvalendosi di fonti italiane e inglesi, aveva documentato il pagamento di cospicue tangenti da parte della compagnia petrolifera statunitense Sinclair Oil – sostenuta economicamente dai principali gruppi finanziari di New York – per ottenere a condizioni assai vantaggiose concessioni di esclusiva e sfruttamento dei giacimenti in Emilia e Sicilia e tutelare i propri interessi in Libia; tra i destinatari della corruzione, il fratello di Benito Mussolini, Arnaldo, membri della famiglia reale, ministri, imprenditori e diplomatici che, agendo in conflitto d’interessi, più che il bene della nazione – di cui al regime piaceva dirsi difensore – rappresentavano imprese commerciali e gruppi finanziari italiani e statunitensi.

Gli accordi con la Sinclair Oil furono cancellati nel novembre 1924, ma il collegamento tra il delitto Matteotti e la corruzione del regime fu sostenuto a gran voce dalla stampa del Regno Unito, soprattutto quella vicina agli ambienti laburisti: il dossier scomparve con la borsa del deputato, ma un suo scritto in proposito fu pubblicato postumo da una rivista inglese. Negli anni Ottanta, inoltre, fu rinvenuta nell’Archivio Nazionale di Washington una lettera-testamento, da pubblicarsi in caso di omicidio del suo autore, inviata a legali statunitensi dall’ex sicario di regime Amerigo Dumini: condannato per il delitto (amnistiato nel dopoguerra), caduto in disgrazia e temendo per la propria vita, questi ammetteva di aver ricevuto l’ordine di uccidere Matteotti per impedirgli di denunciare in Parlamento la vicenda della Sinclair Oil, ma riuscì a barattare il proprio silenzio con denaro e garanzie d’incolumità personale.

Silvia Boverini

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Fonti:

Enzo Biagi, Storia del Fascismo, Sadea Della Volpe Editori, 1964;
Renzo De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere. 1921-1925, Einaudi, 1966;
Il Ponte, anno XLII, n.2, marzo-aprile 1986, pp. 76-93; www.pochestorie.corriere.it  Silvia Morosi e Paolo Rastelli, Giacomo Matteotti, morte di un antifascista;
www.rassegna.it  Ilaria Romeo, Delitto Matteotti, l’inizio del regime; www.wikipedia.org

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