Vajont, 9 ottobre 1963

La sera del 9 ottobre 1963, le cittadine di Erto, Casso e Longarone cambiarono per sempre. Il cambiamento fu fisico, ma soprattutto umano.

Erto e Casso, rispettivamente capoluogo e frazione, si trovano in Friuli, mentre Longarone sorge in territorio veneto, nella valle del Piave. In mezzo, il torrente Vajont e la sua diga. Valli strette, costellate di borghi e centri abitati che, in un attimo, furono spazzati via. Arrivò prima l’onda d’urto, che, si stima, raggiunse l’intensità di Little Boy. È infatti probabile che buona parte delle circa 2000 persone che persero la vita in quegli istanti fossero già morte all’arrivo dell’acqua.

Acqua. Fu proprio l’acqua contenuta nell’invaso a generare quell’onda letale: saltò fuori dalle mura di contenimento e piombò a più di cento chilometri all’ora sui territori circostanti, provocando un enorme spostamento d’aria. Di certo, l’acqua da sola aveva poche probabilità di poter compiere un movimento simile. Fu infatti la roccia circostante a spingerla fuori dal proprio contenitore: il monte Toc (da Patoc, in friulano: fradicio, marcio) lasciò che un pezzo si sé cadesse rovinosamente nel bacino sottostante. Il problema fu in termini di proporzioni: la quantità di roccia caduta superava di due volte quella dell’acqua lì presente. Quest’ultima fu costretta a far spazio, saltando fuori, appunto, dalla sede prestabilita.

L’inondazione fu devastante. Solo a Longarone morirono quasi 1500 persone. Se pensiamo che oggi la città conta circa 5000 abitanti, si può facilmente immaginare l’impatto umano del disastro.

Anni di procedimenti penali, che raggiunsero il terzo grado di giudizio, accertarono la prevedibilità dell’evento (aspetto che si pose al centro delle discussioni, anche politiche, sulla vicenda), condannando a diversi anni di reclusione i responsabili, a cui furono attribuiti anche gli omicidi.

Alessio Gaggero

 

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