La tortura libera il Generale Dozier dalle BR

Verona, 17 dicembre 1981. Il Generale statunitense James Lee Dozier, all’epoca comandante NATO per l’Europa meridionale, viene improvvisamente rapito da un Commando delle Brigate Rosse, mentre si trova nel suo appartamento con la moglie.

Ci vorranno circa quaranta giorni perché possa vedere nuovamente la luce del sole da uomo libero. Quaranta giorni in cui, come facilmente immaginabile, la pressione nazionale e internazionale gravava come un macigno sugli agenti e gli ufficiali responsabili delle indagini: il NOCS (Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza), corpo speciale della Polizia di Stato, riuscì nell’impresa con un’incursione nell’appartamento dove era tenuto il militare americano, a Padova, arrestando tutti i terroristi. Più di un mese passato col fiato sospeso, che si concluse con un successo delle forze dell’ordine: arrivarono addirittura le congratulazioni direttamente dal Presidente americano, Ronald Reagan.

La storia, però, non finisce quel 28 gennaio 1982.

Si dice che fu proprio quella “sconfitta” a segnare l’inizio del declino del terrorismo rosso, ma che prezzo fu pagato? Già allora qualche domanda iniziò ad affiorare alla superficie, ma un giornalista de L’Espresso fu arrestato per calunnia.

Buona parte di verità emerge solo a distanza di decenni, quando Salvatore Genova, ormai protetto dalla prescrizione, decide di rivelare ciò che avvenne in quei giorni. Le parole del commissario di Polizia, coinvolto insieme a molti altri colleghi e alte sfere, lasciano poco spazio all’immaginazione:

Sì, sono anche io responsabile di quelle torture. Ho usato le maniere forti con i detenuti, ho usato violenza a persone affidate alla mia custodia. E, inoltre, non ho fatto quello che sarebbe stato giusto fare. Arrestare i miei colleghi che le compivano. Dovevamo arrestarci l’un con l’altro, questo dovevamo fare.

Racconta che gli ordini arrivavano dall’alto, che non furono iniziativa degli agenti: ricevettero il via libera dal Ministero, tramite il Prefetto, e non si fecero ulteriori scrupoli. La questione ruotava solo intorno all’avere protezione se qualcosa fosse trapelato. In effetti, così andò.

Nazareno Mantovani, un fiancheggiatore, fu il primo a cadere preda dei “quattro dell’Ave Maria”, come veniva chiamata la squadra preposta alle maniere forti. Guidati da Nicola Ciocia,

Sono gli specialisti dell’interrogatorio duro, dell’acqua e sale: legano la vittima a un tavolo e, con un imbuto o con un tubo, gli fanno ingurgitare grandi quantità di acqua salata. La squadra è stata costituita all’indomani dell’uccisione di Moro con un compito preciso. Applicare anche ai detenuti politici quello che fanno tutte le squadre mobili. Ciocia, va precisato, non agì di propria iniziativa. La costituzione della squadretta fu decisa a livello ministeriale.

Dopo Mantovani, è la volta della BR Ruggero Volinia e della sua compagna, Elisabetta Arcangeli. Così continua Genova:

Io sono fuori per degli arresti e quando rientro in questura vado all’ultimo piano. Qui, separati da un muro, perché potessero sentirsi ma non vedersi, ci sono Volinia e la Arcangeli. Li sta interrogando Fioriolli, ma sarei potuto essere io al suo posto, probabilmente mi sarei comportato allo stesso modo. Il nostro capo, Improta, segue tutto da vicino. La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con una pinza, le infilano un manganello nella vagina, la ragazza urla, il suo compagno la sente e viene picchiato duramente, colpito allo stomaco, alle gambe. Ha paura per sé ma soprattutto per la sua compagna. I due sono molto uniti, costruiranno poi la loro vita insieme, avranno due figlie.

Alla fine, dopo il trattamento ad acqua e sale, Volinia rivela l’ubicazione di Dozier, e la storia si conclude.

Una vicenda buia del nostro Paese, che però, forse, ha contribuito, insieme alla condanna del 2015 da parte della Corte europea dei diritti umani, a cambiare la legge. Nel 2013, infatti, a un anno dalle dichiarazioni del commissario Genova, è iniziato l’iter parlamentare della ddl contro la tortura, di cui eravamo sprovvisti. Il percorso è giunto al termine a luglio 2017, lasciando insoddisfatto anche chi ha firmato la proposta stessa, ma, quantomeno, ha posto il problema sotto i riflettori.

In sostanza, oggi, in Italia, è punibile chi:

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[…] con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa…, se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.

Certamente, rimangono controversi i passaggi riguardanti la verificabilità del trauma psichico e le condotte ripetute, per citarne alcuni. Il Parlamento ha senz’altro da lavorare ancora sul tema.

Alessio Gaggero

 

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