Oggi è il 27 gennaio

L’Associazione Me.Dia.Re. si unisce a tutti coloro che il 27 gennaio onorano la memoria della Shoah. Lo fa per esprimere rispetto e vicinanza a chi ancora oggi soffre per quegli orrori e ai milioni ai quali fu tolta la vita.

Ma Me.Dia.Re. si associa alla commemorazione delle vittime dell’Olocausto anche perché ritiene che, se è sempre fondamentale ricordare, anche per evitare che quel passato si ripeta, oggi, lo è ancora di più, visti che paiono moltiplicarsi gli sforzi dei negazionisti dichiarati e di coloro che intendono ridimensionare, sminuire, relativizzare… negare.

Oggi, crediamo, occorre ricordare bene. Ricordare non solo a cosa portò il nazismo, ma anche come iniziò quell’orrore, rammentando anche come in realtà l’intenzione criminale che venne poi compiuta fosse stata preannunciata esplicitamente . Non solo nel Mein Kampf (che fu pubblicato vent’anni prima che l’Armata Rossa, il 27 gennaio del ’45, arrivasse ad Auschwitz), ma in tutta la campagna d’odio dispiegata da Hitler e dai suoi collaboratori e seguaci prima di dare il via allo sterminio.

Oggi, dunque, è indispensabile ricordare che il nazismo (prendendo a modello il fascismo italiano) aveva fin dal principio offerto al popolo – frustrato, arrabbiato e impoverito da una lunga e spaventosa crisi – qualcuno da incolpare. E le colpe del disastro sociale non erano attribuite all’iniqua distribuzione della ricchezza, oppure al nazionalismo esasperato che aveva scaraventato il mondo nella prima guerra mondiale. La colpa, veniva detto, era degli ebrei, dei rom, dei partiti, del sistema parlamentare, dei liberali, dei comunisti, dei democratici, dei socialdemocratici, dei sindacati, dei banchieri (specie se ebrei), della finanza internazionale, dei governi stranieri, della Società delle Nazioni… Il nazismo indirizzò la rabbia verso questi e altri bersagli e ne selezionò alcuni, i meno potenti e perciò i più indifesi, per farli diventare agnelli sacrificali. E l’operazione funzionò.

Solo ricordando, secondo noi di Me.Dia.Re., si può contrastare la sleale, cinica e opportunista propaganda di chi, per calcolo politico o per ottusità, da sempre tenta di  negare la verità di quella tragedia immane. E si può smascherare chi cerca di impedire che la memoria collettiva aiuti a riconoscere la natura delle atrocità commesse allora, come quella di altre, perpetrate in altri luoghi e tempi, incluse quelle in corso ai giorni nostri.

Ci riferiamo a chi non vuole che si scorgano alcuni elementi comuni tra i discorsi e i comportamenti intrisi di odio e violenza di oggi e le campagne di demonizzazione degli anni Trenta del Novecento. Tra questi elementi figura anche l’oscuro e indicibile scopo di acquisire o estendere il potere, manipolando le emozioni e i sentimenti dei cittadini.

Per ricordare quel che significa il 27 gennaio, rimandiamo ad uno spezzone tratto dal film Vincitori e vinti (Judgment at Nuremberg, 1961, di Stanely Kramer). Il film racconta un processo fittizio a carico dei funzionari della Giustizia del Terzo Reich, nell’ambito di quel processo di Norimberga, che, invece, realmente si svolse a carico di coloro che erano accusati di aver commesso crimini contro l’umanità. In Vincitori e vinti la sequenza più sconvolgente è quella in cui si vedono i filmati girati dai nazisti sulle mostruosità da esse commesse nei campi sterminio. Qui, però, ne proponiamo un’altra: il monologo di un imputato, un ex giudice, accusato con altri suoi colleghi, di aver violato i più elementari diritti umani, nell’esercizio delle sue funzioni durante il regime nazionalsocialista. Questo imputato (Ernst Janning, interpretato da Burt Lancaster) tenta di spiegare a coloro che lo devono giudicare come fu possibile che “persone normali”, anche particolarmente avvedute,  potessero varcare soglie così estreme di disumanità.

Alberto Quattrocolo

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