Girolimoni, una vittima della ragion di stato fascista

Gino Girolimoni, che morì il 19 novembre del 1961, fu una vittima della region di stato fascista. In particolare, diventò un capro espiatorio perfetto per accreditare l’infallibilità del regime fascista in quella primavera del 1927. C’era in giro un serial killer che rapiva, stuprava e ammazzava le bambine. Sette in tutto, le sue vittime E colpiva a Roma dal 1924. Il governo Mussolini, che procedeva spedito verso l’instaurazione della dittatura e doveva offrire un’immagine granitica di inesorabile efficienza poliziesca, rischiava di perdere una quota di credibilità se non trovava presto un colpevole.

Toccò a Gino Girolimoni (che era nato a Roma il 1º ottobre 1889), un fotografo e mediatore di cause per infortuni.

Il primo, il secondo e il terzo caso

Emma Giacomini, una bimba di quattro anni, fu la prima vittima. Era stata rapita, il 31 di marzo del 1924, mentre giocava in un giardino pubblico, non lontano dalla madre. Ad un tratto la donna si era accorta dell’assenza della figlia. La quale era stata ritrovata, a Monte Mario, quella sera. Nonostante la violenza patita era ancora viva. Dopo un paio d’ore, una donna aveva udito le grida di una bambina e, accorsa, aveva trovato la piccola parzialmente svestita, ferita e con un fazzoletto legato al collo. Intenta a soccorrere Emma, la donna aveva appena scorto un uomo, all’incirca 45enne, che si ricomponeva gli abiti e si dileguava.

Il fatto non suscitò particolare eco mediatico. Ma poi toccò ad Armanda Lonardi, di appena 2 anni, di essere aggredita da uno sconosciuto in via Paola, il 4 giugno 1924. L’uomo cercò di portare via la bimba, ma questa reagì urlando e scalciando, attirando l’attenzione dei passanti, sicché l’uomo la lasciò e fuggì. Quella sera, però, a Trastevere, sparì Bianca Carlieri, di 4 anni. Secondo delle lacunose e incerte testimonianze il rapitore poteva essere un uomo non propriamente giovane, piuttosto alto e ben vestito. La mattina del giorno successivo, dalle parti di San Paolo fuori le Mura, fu ritrovata Bianca. Era stata strozzata e violentata.

Si diffondono orrore, panico e angoscia

Quest’omicidio fu subito ricollegato alle violenze inflitte ad Emma Giacomini e Armanda Lonardi. Le forze dell’ordine, che fermarono diversi individui, nessuno dei quali pareva corrispondere al profilo del ricercato erano sotto pressione per lo sgomento e l’indignazione che si diffondevano in tutta Italia. Ai funerali di Bianca Carlieri avevano partecipato una folla considerevole e la stampa dava risalto alla vicenda con titoli ad effetto

Un’altra vittima

La settimana dopo, però, la stampa si concentrò su altro. Il 10 giugno venne rapito, da sicari del regime, l’onorevole Giacomo Matteotti, il deputato del Partito Socialista Unitario che il 30 maggio aveva denunciato in Parlamento il clima di violenza squadrista e la palese illegalità con cui il governo Mussolini aveva gestito la campagna per le elezioni svolte ad aprile di quel 1924. Il corpo di Matteotti venne poi ritrovato il 16 agosto e la stampa in tutto questo periodo si concentrò sul delitto ai danni del deputato socialista e sui risvolti politici che stava producendo.

Nell’autunno, mentre infuriava la reazione squadrista delle camicie nere contro i giornali non allineati al fascismo o avversi ad esso e contro gli esponenti e i partiti politici antifascisti, con il favore del governo e delle forze dell’ordine, avvenne un altro omicidio.

Il 25 novembre, ad essere rapita in Piazza San Pietro fu un’altra bambina di 4 anni, Rosina Pelli. Il cadavere venne ritrovato vicino ad una fornace, di nuovo a Monte Mario, il giorno dopo. Anche lei era stata violentata.

In base alle testimonianze raccolte, la polizia elaborò un identikit: un uomo anziano, magro, con piccoli baffi bianchi ed elegante. Le autorità offrirono una taglia di 10.000 lire per chi forniva aiuto nella cattura

Maggio 1925 – marzo 1927: Altri quattro nuovi delitti

Il 30 maggio 1925, Elisa Berni, di 6 anni, uscì di casa, in via Porta Castello, per andare a prendere l’acqua alla fontana in strada, e sparì. Anch’essa fu ritrovata strangolata e stuprata il giorno successivo

Tra i diversi sospettati vi fu il sagrestano di Borgo Pio. Costui, non sopportando di essere sospettato da tutti di essere un assassino di bambine, si impiccò. Il Ministero degli Interni offrì un premio di 50.000 lire a chi avesse dato elementi utili all’identificazione dell’assassino e promise una promozione immediata al poliziotto che lo avesse arrestato.

Ma il 26 agosto del 1925 il killer colpì una piccola di 1 anno e mezzo, Celeste Tagliaferri, riuscendo a prelevarla dalla sua abitazione di via dei Corridori. La piccolina fu ritrovata poche ore dopo, ancora in vita, sulla via Tuscolana, semisvestita, gravemente ferita al basso ventre. Morì poche ore dopo. Anche nel suo caso le era stato legato fazzoletto al collo.

Il 12 febbraio 1926 un uomo adescò Elvira Coletti, di 6 anni, vicino a casa sua, la portò sul lungo Tevere e la violentò. La bambina riuscì a scappare, ma le informazioni che diede agli investigatori non consentirono di delineare il volto del killer.

Il 12 marzo 1927 Armanda Leonardi, che tre anni prima circa era stata violentata ma non uccisa, fu rapita dalla sua abitazione. La madre, per quanto fosse accorsa, non riuscì a salvarla. Vide, però, il rapitore e lo descrisse come un uomo elegante, con un cappotto nero ed un ombrello. La bambina fu ritrovata il giorno successivo ai piedi dell’Aventino. Anch’essa era stata strangolata e violentata.

Giovanni Massacesi, il proprietario di una trattoria, dichiarò che nel suo locale era entrata una bambina somigliante ad Armanda (aveva visto la foto sui giornali) con un uomo che aveva una ferita sul collo. Venne tracciato un identikit più dettagliato.

Con quel ritratto pare che avesse numerosi tratti in comune Gino Girolimoni.

I timori e le pressioni di Mussolini

Nel frattempo, poiché i giornali, dando voce al panico e all’angoscia popolare, sollecitavano la cattura del mostro, Benito Mussolini, esasperato dall’impotenza degli inquirenti, aveva il timore che il regime potesse essere ritenuto fallibile in un settore particolarmente delicato, la tutela della sicurezza e dell’ordine. Mentre procedeva velocemente la fascistizzazione dello stato e la repressione degli antifascisti in tutti i settori della vita civile, il regime aveva bisogno di non perdere credibilità proprio in quel delicato ambito, laddove si giocava la sua immagine di forza rassicurante che tanto premeva alla propaganda.

Mussolini, così, convocò Arturo Bocchini, il capo della polizia, e gli disse che era giunto l’improcrastinabile momento di catturare l’assassino delle bambine.

La trasformazione mediatica di Girolimoni in un mostro

Gino Girolimoni, incarcerato in atteso di giudizio, venne a trovarsi, così, in un gioco immensamente più grande di lui. Il 9 maggio 1927 l’Agenzia Stefani scrisse che, grazie a «laboriose indagini», a suo carico erano state reperite «prove irrefutabili».

Girolimoni, che era uno scapolo, non ancora 40enne, il cui lavoro gli assicurava un certo benessere, era stato visto accarezzare e regalare delle caramelle ad una bambina di 12 anni e fu ritenuto corrispondere all’uomo che il 12 marzo 1927 accompagnò la piccola Armanda nella trattoria. Inoltre, un ex compagno di caserma, sostenne che il Girolimoni era stato visto da altri violentare una bambina a Casarsa delle Delizie.

Appena era stato arrestato, la polizia aveva diramato un comunicato ad hoc, per assicurare l’opinione pubblica che il mostro era stato catturato. Non poteva che essere lui il killer. Poiché possedeva 12 abiti, era un «trasformista» che usava quei vestiti per colpire e sfuggire alla polizia. La stampa lo definiva «l’immondo essere», mentre crescevano esasperazione e odio nei suoi confronti per il suo rifiuto di confessare. Detenuto in isolamento a Regina Coeli per quattro mesi, Girolimoni continuava a sostenere la propria innocenza. Ma la stampa non gli credeva. Anzi, agganciandosi a suggestioni lombrosiane su L’Impero veniva scritto che: «Ha due occhi stranissimi, dal taglio quasi mongoloico; lo sguardo è obliquo, falso, sfuggente»

Alcuni, pochi, inesorabilmente onesti

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Durante la detenzione di Girolimoni, però, il commissario Giuseppe Dosi continuò ad insistere sull’estraneità ai delitti di Girolimoni e, infine, ottenne la riapertura del caso. Ma la sua onestà e la sua tenacia, che pure furono fondamentali per evitare la condanna di un innocente, non gli valsero alcun riconoscimento. Anzi, venne arrestato e internato per diciassette mesi in un manicomio criminale.

Girolimoni, che era assistito dall’avvocato Ottavio Libotte, fu prosciolto, infatti, dal giudice istruttore Rosario Marciano: anche il pubblico ministero Mariangeli ne aveva chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto. Era l’8 marzo 1928 quando Girolimoni venne prosciolto da ogni accusa. Decisive, in tal senso, furono le discordanze nelle testimonianze fornite contro di lui prima e dopo l’arresto.

Venne fuori che la dodicenne a cui Girolimoni aveva dato le caramelle lavorava nella casa di una signora sposata che il mediatore corteggiava e di cui aveva preferito non parlare nel corso degli interrogatori per non metterla in imbarazzo. Inoltre anche quella dell’ex commilitone si rivelò essere una falsa testimonianza. Soprattutto, però, fu accertato che quando Armanda Leonardi era stata rapita ed uccisa, Gino Girolimoni si trovava fuori Roma.

Benché prosciolto, il suo volto restò imprigionato nell’immagine del mostro.

Anche se prosciolto e dichiarato innocente. La vita di Girolimoni fu devastata per sempre. Per tutti egli era ormai il mostro. Cambiò città e lavoro, ma il sospetto che, in realtà, proprio lui fosse il mostro, non essnedo mai stato individuato il vero stupratore e assassino delle bambine, lo perseguitò per tutta la vita.

Morì il 19 novembre del 1961. Esattamente 57 anni fa. Era poverissimo. Aveva cercato di sfangarla riparando biciclette o facendo il ciabattino a San Lorenzo e al Testaccio.

Al funerale presero parti pochissimi amici, fra i quali il commissario Dosi. Dosi era stato liberato nel 1940, ma solo dopo la caduta del fascismo era stato reintegrato nella polizia.

Il film di Damiano Damiani, con Nino Manfredi

Nel 1972 uscì nelle sale un film durissimo, interpretato magistralmente da Nino Manfredi, che interpretava la parte di Gino Girolimoni. Il titolo era Girolimoni, il mostro di Roma. Autore del soggetto e della sceneggiatura era lo stesso regista Damiano Damiani, con la collaborazione di Fulvio Gicca Palli, Enrico Ribulsi.

La pellicola, in effetti, volgeva più di uno sguardo al presente e, in particolare, alle vicissitudini di Valpreda. Ma gli impliciti riferimenti all’attualità nulla toglievano alla sua forza.

La ricostruzione dell’epoca era ineccepibile non solo e non tanto sul piano scenografico, ma soprattutto nella complessiva capacità di ricreare il clima del periodo e di rappresentare gli ambienti in cui la vicenda si sviluppò.

Il film, oltre ad avere molti meriti cinematografici, aveva anche quello umano e civile di restituire dignità e giustizia a quell’uomo cui il caso, il cinismo e la ragion di Stato avevano rovinato la vita.

Infatti, la notizia del proscioglimento di Girolimoni, per ragioni di opportunità politica, fu pubblicata con la massima discrezione, in poche righe nelle pagine interne. Né egli ebbe alcun indennizzo per l’ingiustizia patita.Coloro che videro il film, però, molto probabilmente smisero di considerare le parole pedofilo e Girolimoni come sinonimi.

 

Un contributo fondamentale a questo esito mesto, ma onestamente civile, lo diede il finale della pellicola. Un finale che non si dimentica e che va visto. Anche per rammentarci cosa succede alle persone quando vengono etichettate come dei mostri. In quelle sequenze Nino Manfredi, infatti, riesce a farci sentire quanto l’ingiustizia, la diffamazione, l’emarginazione e l’etichettamento possono penetrare nell’anima di un uomo.

Nel marzo 2009 la trasmissione televisiva Chi l’ha visto? ha dedicato a Girolimoni un servizio proposto in più di una puntata. Anche Carlo Emilio Gadda si riferì al caso Girolimoni, all’interno di una nota alla prima edizione del suo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.

Alberto Quattrocolo

 

Fonti

www.criminologiaediritto.myblog.it

www.iltempo.it

www.wikipedia.org

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