Il 15 ottobre 1987 viene ucciso il presidente del Burkina Faso Thomas Sankara

Ci hanno prestato i soldi gli stessi che ci hanno colonizzato. E allora, cos’è il debito se non un neocolonialismo governato dai paesi che hanno ancora pruriti imperiali?
(T. Sankara)

Il 15 ottobre 1987 viene ucciso a Ouadagoudou Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, in circostanze a tutt’oggi misteriose: ucciso a revolverate, forse deliberate, forse accidentali, durante una discussione, oppure crivellato dai colpi di un AK-47 in un agguato. Il corpo è seppellito in fretta e furia nella notte, poche ore dopo l’omicidio, senza disporre autopsia né altri accertamenti. Di certo, da subito, c’è solo il coinvolgimento dell’amico e compagno di lotte e di governo Blaise Compaoré (che con quella morte ottiene la guida del paese), probabilmente col supporto di qualcuno tra i molti potenti stranieri che Sankara, nella sua breve presidenza, era riuscito a inimicarsi: la lista è lunga, tra la Francia, la Costa d’Avorio, gli ambienti economici che orientano le politiche del Fondo monetario e della Banca mondiale, gli USA, la Libia dell’ex alleato Gheddafi, il politico liberiano Charles Taylor, tanto per nominarne alcuni.

Thomas Sankara è stato presidente del Burkina Faso per quattro anni, stagione breve ma significativa, rivoluzionaria e, a suo modo, profetica. La sua uccisione, a nemmeno trentotto anni di età, ha fatto spesso parlare di sogno spezzato, speranza recisa, incidente chiuso. I genitori avrebbero voluto prete quel figlio assetato di sapere e che eccelleva negli studi, ma lui sceglie la carriera militare senza essere mai un militarista o un guerrafondaio: sostiene che “senza una formazione e una preparazione politica un soldato è solo un potenziale criminale” e diverrà presidente in seguito a un colpo di stato senza spargimento di sangue.

Nasce nel 1949, nella provincia dell’Alto Volta, colonia francese fino al 1960; all’accademia militare di Ouagadougou entra in contatto con gruppi di orientamento marxista; in quanto studente migliore del suo corso, viene inviato a completare gli studi militari in Madagascar, dove affina le sue conoscenze politiche e letterarie: il marxismo, il Vangelo e il Corano (testi sacri delle due principali religioni voltaiche), gli insegnamenti di Kwame N’Krumah, Lumumba, Touré, Fanon, Cabral e altri esponenti del terzomondismo.

Tornato in Alto Volta, dopo qualche breve incarico e la partecipazione alla guerra contro il Mali (dove incontra Blaise Compaoré), nel 1976 è assegnato al centro di addestramento della città di Pô, dove comincia l’ascesa propriamente politica; all’addestramento militare Sankara affianca l’educazione civica, con l’obiettivo di formare veri e propri “soldati-cittadini”, che al mestiere delle armi associno il servizio alla società.

Intanto l’Alto Volta affronta bruschi cambiamenti, con due colpi di stato nel 1980 e ‘82; entrambi i nuovi leader provano a sfruttare il fascino che Sankara suscita in larghi settori della popolazione: primo ministro per il golpista Ouédraogo, allarma i settori più conservatori del regime per le proprie posizioni radicali, ma quando si decide di farlo arrestare, nel maggio del 1983, sulle strade della capitale si riversano migliaia di manifestanti, mentre i militari a Pô si sollevano contro il regime e l’amico e sodale Compaoré guida l’insurrezione. Il 4 agosto Sankara è alla guida del paese, Compaoré suo vice e ministro della Giustizia.

Esattamente un anno dopo, l’Alto Volta prende il nome che porta ancora oggi, accostando due parole dalle due lingue più diffuse nel paese, col significato di “terra degli uomini onesti”. Sankara intende affrancare anche simbolicamente la nazione dall’ex colonizzatore, la Francia, con cui cerca di rinegoziare gli accordi di cooperazione, scontrandosi con l’allora presidente francese Mitterrand, e si oppone alle riforme e ai programmi economici proposti dall’Occidente, volendo rendere il Burkina Faso autonomo, sia dal punto di vista politico sia da quello economico.

Sankara eredita un paese in gravi difficoltà. Più pragmatiche che socialiste in senso stretto, le misure economiche adottate sono finalizzate a impiegare le scarsissime risorse verso obiettivi minimi. Alla base di tutto il suo programma c’è la convinzione profonda che bisogna coinvolgere le masse: nei quartieri e nei villaggi nascono i Comitati di Difesa della Rivoluzione (CDR), un originale strumento di responsabilizzazione, educazione e coinvolgimento della popolazione, con l’intento di allargare la partecipazione popolare al processo decisionale. Dopo la riforma agraria, i CDR assumono il compito di incanalare i contadini verso forme societarie più efficienti, superando le strutture feudali tradizionali e costituendo cooperative agricole, promuovendo l’ammodernamento di tecniche e mezzi e il rimboschimento, pianificando l’uso delle scarse risorse idriche: con lo sviluppo di un’economia eco-sostenibile, il paese raggiunge l’obiettivo di garantire due pasti e dieci litri di acqua al giorno per ogni abitante.

Lo scopo ultimo di Sankara è dimostrare che i paesi africani – perfino il Burkina Faso, privo di materie prime – potrebbero rendersi pienamente autonomi dagli aiuti internazionali ed emanciparsi dalla miseria. Bisogna però partire dall’inizio, ripercorrendo di fatto quelle tappe che altrove avevano richiesto secoli: l’affermazione di un’agricoltura che sfami tutti, di un’industria che parta dai bisogni elementari (il tessile, la trasformazione alimentare) e un ripensamento dei bisogni indotti che il paese non può permettersi se non producendo debito e corruzione; “produciamo e consumiamo burkinabé” è uno degli slogan ufficiali.

L’agricoltura dell’Africa sub-sahariana è tipicamente itinerante. Sankara capisce che per uscire dal sottosviluppo bisogna coniugare natura e storia, affrontare il deserto, il problema climatico, ma anche la cultura mediatrice di usanze ancestrali: “La lotta contro la fame e quella per la riforma della società burkinabè sono intimamente legate”. Ritenendo che il vero sviluppo può nascere dove muore l’ignoranza, avvia una campagna di alfabetizzazione che coinvolge 5 milioni e mezzo di burkinabé, battendosi per un’educazione universale, aperta anche alle donne.

Compagni, non può esserci una vera rivoluzione sociale fino a che la donna non sarà liberata”: Sankara dà impulso a una rottura con la società patriarcale che sfrutta la forza lavoro e la “funzione biologica” della donna. Introduce l’obbligo della monogamia e l’uguaglianza femminile in termini ereditari, rende possibile il diritto al divorzio per le donne; combatte prostituzione, vagabondaggio, matrimonio forzato e infibulazione; chiama le donne a ricoprire cariche ministeriali o ruoli di elevata responsabilità in diversi ambiti; istituisce la campagna “i mariti al mercato” per far comprendere agli uomini le difficoltà delle donne nella gestione della casa e nella cura della famiglia.

Primo governante africano a dichiarare che l’AIDS è la più grande minaccia per l’Africa, lancia un programma di educazione sessuale nelle scuole e facilita l’accesso ai contraccettivi. Dota ogni villaggio di un presidio sanitario e promuove una campagna massiva di vaccinazione per i bambini, definita dall’Unicef come la più grande registrata al mondo.

Sankara è molto esposto anche sul piano internazionale, raccoglie dati, solleva dibattiti, denuncia corruzione, manipolazione, sfruttamento e attua le sue proteste: memorabili i discorsi alla 39ª Assemblea dell’Onu nel 1984 a New York, e presso l’Organizzazione dell’Unità Africana ad Addis Abeba nel 1987. Dà voce non soltanto al proprio popolo, ma a tutti i paesi africani e del cosiddetto Terzo Mondo, i “non allineati”, già schiacciati dallo sfruttamento del colonialismo e successivamente dalle false promesse del neocolonialismo, mal celato nelle politiche degli aiuti umanitari.

Ad Addis Abeba afferma che il debito dei paesi africani non è altro che una “riconquista organizzata dell’Africa”, una manipolazione del futuro e della crescita dei popoli che diverranno finanziariamente schiavi:

Quelli che ci hanno portato all’indebitamento hanno giocato come al casinò: finché ci hanno guadagnato, andava tutto bene; adesso che perdono esigono il rimborso. […] Non possiamo pagare il debito perché sono gli altri che hanno nei nostri confronti un debito che le più grandi ricchezze non potrebbero mai pagare, cioè il debito di sangue. È il nostro sangue che è stato versato.

 

Chiede di costruire con i governi convenuti alla conferenza un fronte comune per cancellare il debito imposto dagli ex paesi colonizzatori, profeticamente dichiarando che se il Burkina Faso rimarrà solo in questa lotta, egli stesso non sarà presente alla successiva conferenza.

È stato detto che fu questo discorso a costargli la vita, unitamente all’aver voluto cambiare troppo in fretta la società burkinabè che, radicata nella struttura verticale del potere tradizionale, non era pronta a far propria l’utopia dell’uguaglianza di tutti, e riprodusse presto gli abusi tipici di una collettività ancora fortemente gerarchizzata, finendo col minare la pace sociale.

Di Thomas Sankara rimangono oggi i discorsi, il carisma, e un’esperienza che, pur con i suoi limiti, ha dimostrato in soli quattro anni che un mondo diverso è possibile.

La cosa più importante è aver condotto il popolo ad aver fiducia in se stesso, a capire che finalmente può sedersi e scrivere la propria storia; può sedersi e scrivere la sua felicità; può dire quello che vuole. E allo stesso tempo, sentire qual è il prezzo da pagare per questa felicità.

 

Silvia Boverini

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Fonti:
www.wikipedia.org;
V. Bartolucci & C. C. Ouedraogo, “Il sogno di Sankara”, www.mosaicodipace.it;
A. Gazzera, “Thomas Sankara, 30 anni fa l’omicidio del ‘Che Guevara africano’”, www.lapresse.it;
C. D’Abrosca, “Africa. Sankara, trent’anni dopo”, www.nena-news.it;
M. Mastrangelo “15/10/1987, l’assassinio di Sankara”, www.ilmanifesto.it;
E. Palombo, “Thomas Sankara e la rivoluzione interrotta”, www.ricerchedistoriapolitica.it;
G. Cataldo, “Il sogno di un uomo integro: Thomas Sankara”, www.antennedipace.org;
www.thomassankara.net

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