Il 13 luglio del ’41 a Józefów 500 “uomini comuni” fucilarono 1500 bambini, donne e anziani.

Gli uomini del Battaglione 101 della Riserva di Polizia Tedesca erano uomini come altri. “Uomini comuni” li definì Christopher R. Browning che ne studiò le azioni. “Comuni”, lo erano nel senso che costoro erano operai, commercianti, artigiani, impiegati, da poco arruolati nella Polizia d’Ordine Tedesca, la Ordnungspolizei (Orpo). Non erano nazisti (il 75% di loro non era iscritto al Partito Nazionalsocialista), provenivano soprattutto da Amburgo, la città meno nazistificata della Germania. Gran parte di loro apparteneva ad una classe sociale che era antinazista per cultura politica e, comunque, erano di mezz’età, sicché avevano vissuto gli anni della formazione in epoca pre-nazista. E, soprattutto, non erano imbevuti di antisemitismo.

Il 13 luglio del 1942, all’alba, costoro entrarono nella cittadina polacca di Józefów radunarono con la forza i 1800 ebrei che vi vivevano, ne selezionarono circa 300 come abili al lavoro e uccisero a fucilate gli altri 1500, cioè per lo più bambini, donne e anziani. Li portarono in un bosco e in un solo giorno fucilarono millecinquecento esseri umani.

Vi furono costretti? No. Il loro comandante, il maggiore Wilhelm Trapp (soprannominato dai suoi poliziotti “papà Trapp” per il carattere affabile e l’atteggiamento sollecito e comprensivo), prima dell’inizio dell’azione, aveva proposto a chi non se la sentisse di svolgere il massacro di fare un passo avanti, assicurando che non vi sarebbe stata alcuna sanzione. Soltanto in 12, su 500 “uomini comuni”, si fecero avanti. E non subirono alcuna sanzione formale o informale. Così come non la subirono altri che dopo aver iniziato a sparare scoprirono di non poter continuare.

Quella fu la prima fucilazione di ebrei compiuta dagli uomini del Battaglione 101, che si trovavano in Polonia da appena tre settimane e la gran parte dei quali erano stati da poco arruolati. Ma non fu la prima esecuzione realizzata dalla Polizia d’Ordine tedesca. Il primo massacro al quale l’Orpo prese parte avvenne circa un anno prima in Russia a Byalistok, dove, il 27 giugno, 2000 ebrei furono massacrati per le strade, nella piazza del mercato e nella sinagoga e il 12 luglio ne furono ammazzati altri 3000 (su questa rubrica, Corsi e Ricorsi, in altri due post, dedicati all’invasione nazista dell’Unione Sovietica, abbiamo parlato dell’esecuzione della politica del terrore pianificata da Adolf Hitler e dall’Alto comando tedesco, consistente nel massacrare i commissari politici, gli eventuali partigiani, depredare ogni tipo di risorsa, così provocando la morte per fame di milioni di persone, e nello sterminare gli ebrei: L’abominevole Operazione Barbarossa e Stalingrado: la ferocia, gli ordini, la morte, Hitler, Stalin… e «la dignità umana»).

Nonostante il gran numero di stragi commesse in Russia fin dall’inizio dell’invasione nazista,  cioè nella primavera del ‘41, occorre considerare che fino a metà marzo del 1942 erano state ammazzate il 20% del totale delle vittime dell’Olocausto. Nell’arco di 11 mesi, cioè a metà febbraio del ’43, il totale delle vittime complessive dell’Olocausto già uccise era salito all’80%. Lo sterminio si sviluppò, quindi, come una guerra-lampo efficacissima, parallelamente al peggiorare della situazione sul fronte russo, e si svolse prevalentemente in Polonia, interessando non soltanto città come Varsavia (si vedi il post Quelli del ghetto di Varsavia) e Łódź (abbiamo ricordato la liquidazione del ghetto di questa città nel post Il ghetto di Łódź viene liquidato), ma anche cittadine e paesi in cui gli ebrei in media superavano il 30% e potevano arrivare a costituire l’80 o il 90% della popolazione.

Ma tale carneficina non si effettuò solo nei campi di sterminio. Il 25 % delle vittime fu ucciso mediante fucilazione da plotoni d’esecuzione, come il Battaglione 101. Non da pochi individui addetti ai lager, ma da un’impressionante quantità di persone, che puntarono il fucile, mirarono e fecero fuoco contro altre, inermi, persone.

Solo il Battaglione 101 della Riserva di Polizia tedesca fucilò quasi 40.000 esseri umani in poco più di un anno (in prevalenza togliendo la vita a donne, bambini e anziani) e partecipò alla deportazione a Treblinka e allo sterminio di più di 45.000 individui.

Considerando i fatti esaminati e le parole che questi assassini dissero a guerra finita, spesso per auto-assolversi, Browning scrive:

«Temo di vivere in un mondo in cui il conflitto e il razzismo sono onnipresenti, in cui i governi dispongono di poteri sempre più vasti di mobilitazione e di legittimazione, in cui il senso di responsabilità personale è sempre più attenuato dalla specializzazione e dalla burocrazia, e in cui il gruppo dei pari esercita notevoli pressioni sul comportamento e stabilisce le norme morali. Purtroppo, in un mondo come questo, i governi attuali con propositi di sterminio avranno buone possibilità di riuscita se tenteranno di indurre gli “uomini comuni” a diventare i loro “volenterosi carnefici”».

Non erano, per la maggior parte, nazisti né erano antisemiti, ma la distinzione, la polarizzazione, “noi-loro” gli consentì sia di premere il grilletto e uccidere coloro che, soprattutto in quanto bambini, donne o anziani o perché infermi, erano considerati non selezionabili per il lavoro, sia di scortare ai lager gli altri. Furono “capaci” di sospendere l’empatia, di non provare alcuna identificazione con le vittime grazie alla disumanizzazione dell’altro e ad altri meccanismi di neutralizzazione della responsabilità.

Nella prefazione del suo libro, Browning osserva:

«In ultima analisi, l’Olocausto fu possibile perché singoli esseri umani uccisero altri esseri umani in gran numero e per un lungo periodo di tempo».

Alberto Quattrocolo

Fonti: Browning C. R., Uomini comuni. Polizia tedesca e “soluzione finale” in Polonia. 1999, Einaudi, Torino.

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