I roghi nazisti e la nazificazione della Germania

Il 10 maggio del 1933 diversi roghi divamparono nelle piazze di diverse città tedesche. Il più noto di questi roghi fu quello che si verificò in una piazza di fronte all’Università di Berlino. Qui divampò un fuoco che richiamava sinistramente quei roghi che il mondo occidentale aveva visto l’ultima volta nel tardo Medioevo.

I roghi nazisti del 10 maggio 1933

Un po’ prima della mezzanotte del 10 maggio ’33 una nutrita folla di studenti, provvisti di torce, entrò in una piazza dell’Unter den Linden. C’era un mucchio impressionante di libri. Su di essi furono tirate le torce. Poi altri volumi vennero lanciati sulle fiamme. Più o meno ventimila libri vennero bruciati soltanto in quella piazza di Berlino dagli studenti. Un proclama studentesco dell’Associazione studentesca della Germania annunciava la condanna al rogo di ogni libro

«che abbia un effetto sovversivo sul nostro futuro e che possa minare il pensiero tedesco, la patria tedesca e le forze che guidano il nostro popolo»

Erano opere di autori di fama mondiale. Tra le opere di autori tedeschi c’erano quelle di Thomas e Heinrich Mann, Walther Rattenau, Erich Maria Remarque, Albert Einstein, Alfred Kerr, Lion Feuchtwanger, Arnold e Stefan Zweig, Jakob Wassermann, Hugo Preuss. In quello e negli altri roghi, però, venivano anche bruciati i libri di Charles Darwin, Havelock Ellis, Sigmund Freud, André Gide, Ernest Hemingway, Hermann Hesse, Jack London, Georg Lukács, Helen Keller, James Joyce, Karl Marx,  Marcel Proust, Robert Musil, Joseph Roth, Margaret Sanger, Arthur Schnitzler, Upton Sinclair, H. G. Wells, Emile Zola.

«Queste fiamme non solo illuminano la fine della vecchia era, ma gettano la loro luce sulla nuova» (Joseph Goebbels)

Erano passati circa 4 mesi dalla nomina di Adolf Hitler a cancelliere del Reich. Come abbiamo ricordato in altri due post della rubrica Corsi e Ricorsi (Hitler non fece né un colpo Stato, né una rivoluzione e La democrazia in fumo), Hitler aveva raggiunto il potere proprio grazie al meccanismo della democrazia rappresentativa, cioè del sistema parlamentare di quella Repubblica di Weimar, di cui egli stava cancellando tutto, anche il pensiero. Tanto che tra i libri scaraventati sui roghi c’erano quelli di Preuss, colui che aveva redatto proprio la costituzione di Weimar. E quei roghi non avvenivano per spontanea iniziativa di studenti goliardici. Erano un’iniziativa del Partito Nazionalsocialista (NSDAP), vale a dire del governo, cioè dello Stato tedesco, il Terzo Reich. Ed erano stati preceduti, quei roghi di libri, dal boicottaggio del commercio ebraico del 1° aprile ’33 (lo abbiamo ricordato qui). In effetti i roghi dei libri facevano parte di un più vasto disegno del partito nazionalsocialista, il quale non mirava solo al governo, ma intendeva plasmare la mente e lo spirito dei tedeschi (come si è rammentato, rievocando l’incontro del 30 marzo tra Joseph Goebbels e il più ammirato regista del cinema tedesco, Fritz Lang, nel post Goebbels, Fritz Lang e la propaganda cinematografica nazista). A confermare tale prospettiva fu lo stesso Goebbels, il nuovo ministro della Propaganda, che, parlando a circa 40.000 studenti mentre i libri si trasformavano in cenere, disse:

 «L’anima del popolo tedesco potrà manifestarsi nuovamente. Queste fiamme non solo illuminano la fine della vecchia era, ma gettano la loro luce sulla nuova».

Le altre iniziative di nazificazione della cultura, dell’informazione e del cinema

I roghi dei libri, quindi, erano un pezzo del puzzle in costruzione della nazificazione della mentalità del popolo tedesco. Su questo registro si collocarono la proibizione della vendita e della circolazione nelle biblioteche di centinaia di libri, mentre contestualmente venne promosso la pubblicazione di un gran numero di testi nazisti.

La Camera per la cultura del Reich

Il 22 settembre del 1933 fu varata la legge istituiva della Camera per la cultura del Reich, diretta dal ministro Goebbels, in cui era scritto:

«Al fine di perseguire una politica culturale germanica, è necessario mobilitare gli artisti creativi in tuti i settori, in una organizzazione unificata sotto al guida del Reich. Il Reich deve non sono delineare le direttive del progresso, sia mentale che spirituale, ma anche guidare e organizzare le professioni».

Furono così istituite sette camere: per le belle arti, la musica, la letteratura, la stampa, la radio e il cinema. La legge imponeva a tutti coloro che lavoravano in tali settori di iscriversi alle rispettive Camere, le cui direttive avevano forza di legge.

Il repulisti nazista nella letteratura, nella musica e nel teatro

Tali Camere avevano il potere di rifiutare l’iscrizione e di espellere coloro che «non davano affidamento dal punto di vista politico». In altre parole, perdevano l’impiego anche coloro che venivano considerati poco entusiasti del nazionalsocialismo. Il risultato fu che, a partire da Thomas Mann, quasi tutti gli autori letterari di rilievo, con poche eccezioni, potendolo fare, emigrarono. Coloro che non ebbero tale possibilità non pubblicarono alcunché. Infatti, ogni manoscritto, per poter essere stampato, doveva essere approvato dal ministero della Propaganda. Lo stesso sistema valeva per le commedie teatrali. Il grande Max Reinhardt (lo abbiamo citato nel post dedicato a Marlene Dietrich) se ne andò nel ’35, preceduto o seguito da tanti altri, bravissimi e talora eccezionali, registi e commediografi teatrali (Bertolt Brecht, per dire) e da compositori e musicisti (Kurt Weill). Anche la musica, per quanto avesse minori possibilità di correlazione con la politica, fu colpita dalla scure nazista. Così furono proibite le esecuzioni di Mendelssohn, perché era ebreo, come quelle del più noto compositore tedesco moderno, Paul Hindesmith. Del resto le grandi orchestre sinfoniche e i teatri d’opera espulsero gli ebrei che vi lavoravano.

Parola d’ordine: epurare l’arte decadente

Un’aggressione più devastante la subirono, però, le arti figurative. L’espressionismo tedesco, che tanto aveva influenzato anche lo stile visivo della cinematografia e che contaminerò fecondamente il genere noir, fu considerato arte decadente. Analogamente erano considerate sinonimo di decadenza l’impressionismo, il cubismo e il dadaismo. Hitler già nel Mein Kampf aveva condannato l’arte moderna come degenerata e priva di senso. E una delle prime misure adottate, una volta ottenuto il potere, fu «l’epurazione dell’arte decadente» e la sua sostituzione con «l’arte germanica». Quindi vennero tolte dai musei 6500 pitture moderne (di Cezanne, Va Gogh, Guagin, Matisse, Picaso, Kokochcka, Grosz…).

Il controllo nazista sulla stampa, la radio e il cinema

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Naturalmente ciò che più contava per realizzare un’efficace nazificazione delle menti popolo tedesco era il controllo sui mezzi di informazione e sulla principale industria dell’intrattenimento. La legge per la stampa del 4 ottobre del 1933 stabiliva che il giornalismo era una professione pubblica controllata dallo Stato e che i redattori dovevano essere ariani e non essere sposati con ebrei. Inoltre era loro ordinato di «tenere lontano dai giornali qualsiasi cosa che in qualche modo possa indurre il pubblico in errore, confonda il bene personale con il bene collettivo, o tenda a indebolire la forza del Reich tedesco all’interno o all’esterno». Vennero perciò chiusi giornali di fama mondiale, che vennero acquistati per pochi spiccioli dalla casa editrice del partito Nazista, l’Eher Verlag, la quale divenne un immenso impero editoriale. Ne sortì, però, anche una terribile monotonia dei quotidiani e dei periodici. Infatti, ogni giornale riceveva dettagliate istruzioni su cosa pubblicare e come. Sicché Goebbels e il presidente della Camera per la stampa, nel ’34, fecero un appello affinché i redattori rendessero meno monotoni i loro giornali. Ehme Welke, redattore di un settimanale li prese sul serio e finì in campo di concentramento per ordine del ministro. Una sorte analoga a quella della stampa toccò alla radio. Il mezzo di comunicazione che all’epoca aveva un’influenza superiore a tutti gli altri, non essendoci ancora la televisione. Goebbels si assicurò il controllo completo su tutte le trasmissioni radiofoniche, anche se, fino allo scoppio della guerra, i tedeschi potevano ancora ascoltare le radio straniere. Lo stesso controllo, come abbiamo scritto nel già citato post Goebbels, Fritz Lang e la propaganda cinematografica nazista fu istituito sulla cinematografia. Come nel caso della radio, della stampa, delle arti figurative e della musica i tedeschi dovettero sorbirsi prodotti di qualità davvero mediocre.

In definitiva, tuttavia, Hitler e i suoi riuscirono a raggiungere gli obiettivi che si erano dati. Il popolo tedesco finì con l’essere in larghissima parte nazificato.

Alberto Quattrocolo

Fonti

William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Giulio Einaudi, editore s.p.a., Torino, 1957

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