Richard Widmark, il cattivo “buonista” di Hollywood

Richard Widmark, morto il 24 marzo del 2008, a 94 anni d’età, fece parte della folta schiera di quegli splendidi attori cinematografici americani che si imposero dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nella scheda dedicata ad un film, Stato d’allarme (1965, di James B. Harris), interpretato da Widmark, a 17 anni dalla sua prima apparizione sugli schermi cinematografici, Claudio G. Fava scrisse:

«uno straordinario Richard Widmark […] rispetto al suo talento e alla sua presenza sullo schermo, in fondo non è mai stato abbastanza considerato ed è divertente vedere che a lui, nella vita di ogni giorno liberal dichiarato, toccavano poi spesso parti di accanito conservatore» [1].

Richard Widmark e gli altri “duri” emersi negli anni Quaranta

All’interno della variegata compagnia degli interpreti affermatisi nella seconda metà degli anni Quaranta, Richard Widmark, si inserì in una sottocategoria, quella dei “duri”. In particolare, fu tra coloro che nel secondo dopoguerra emersero in parti di cattivo tout-court o di personaggi moralmente ambigui, quali Burt Lancaster, Kirk Douglas e Robert Mitchum. Anti-eroi, spesso destinati a finire male o, almeno, a patire le pene dell’inferno prima del finale dolceamaro, coinvolti in conflitti fortemente drammatici, spesso condizionati da una tormentata instabilità interiore, da impulsi violenti e autodistruttivi. A differenza delle tre star sopra citate, Richard Widmark non divenne una superstar ma non restò nemmeno un caratterista [2].

«Sono stato una cimice del cinema da quando avevo 4 anni».

Richard Weedt Widmark nacque a Sunrise Township, nel Minnesota, da Ethel Mae (Barr) e Carl Henry Widmark. Suo padre era di origine svedese e sua madre di origini inglesi e scozzesi. Confessò di essere stato un appassionato di cinema fin dalla fanciullezza: «Sono stato una cimice del cinema da quando avevo 4 anni» [3]. Il suo attore preferito era Spencer Tracy, e quando ebbe il privilegio di recitare con lui ne apprezzò ancor di più l’arte (accadde due volte) [4]. Una volta laureato, nel 1936, decise di trasferirsi a New York a fare l’attore [5]. Dopo aver sposato la compagna di studi Jean Hazlewood (ebbero una figlia Anne, nel ’45, e restarono sempre insieme finché lei, malato di Alzheimer, non morì nel 1997) ed essere stato scartato alla visita di leva per via di un timpano perforato, debuttò a Broadway nel 1943 nello spettacolo “Kiss and Tell[6].

«Suppongo di essermi dato daffare per avere un posto al sole. Ho sempre vissuto in piccole città e recitare significava avere una sorta di identità». Quell’identità che i copioni cinematografici tante volte gli offrirono, però, erano quanto mai distanti dal suo carattere e dai suoi valori.

Un esordio sconvolgente

Richard Widmark non cercava una via facile per suscitare la simpatia del pubblico e non aveva paura di interpretare personaggi profondamente turbati, intimamente conflittuali o corrotti. La prova più lampante di questa temeraria sfida alla sensibilità del pubblico dell’epoca è costituita dal suo primo ruolo cinematografico. Dopo aver visto il suo provino per il ruolo di Tommy Udo del dramma criminale in produzione Il bacio della morte (1947, di Henry Hathaway), il boss della 20th Century Fox, Darryl F. Zanuck, insistette che ad interpretare quella parte fosse proprio il biondo e smilzo Richard Widmark. Il regista, invece, era stato inizialmente scettico, poiché, a parer suo, la fronte alta di Widmark lo rendeva credibile come intellettuale, ma non come gangster (Hathaway e Widmark, su quel set, in breve divennero amici e lo restarono per sempre). L’attore sconvolse le platee con la sua interpretazione del sicario psicopatico, che ridacchia anche mentre in un accesso di sadismo spinge giù dalle scale una donna anziana, paralizzata su una sedia a rotelle [7]. Ma la sua prestazione in un personaggio così eccessivo fu talmente calibrata da fargli ottenne un Golden Globe e una candidatura all’Oscar. E gli assicurò la profonda stima del regista, che altre volte lo volle poi nel cast delle proprie produzioni. In seguito, a proposito della sua prestazione come Tommy Udo, Widmark raccontò:

«non mi ero mai visto sullo schermo, e quando lo feci volevo spararmi».

Cattivo nel noir e dintorni

Nelle opere successive Widmark restò saldamente piantato nel genere criminale in cui aveva esordito, quello che sarebbe stato poi definito il genere noir, interpretando alcune pietre miliari e diverse produzioni minori (per budget, ma non per qualità estetiche) [8]. Quello stesso anno impersonò per la quarta volta il cattivo, ma lo fece in un western. Una pellicola, in verità, che per stile e temi aveva molti punti di contatto con il noir: Cielo giallo (1948), uno dei capolavori della ricca carriera del regista William A. Wellman. Anche in tal caso Richard Widmark riuscì a non sfigurare accanto al protagonista, un assai efficace Gregory Peck, rivelandosi adattissimo per la parte tutta sotto le righe del tubercolotico, freddo calcolatore antagonista. A quel punto Richard Widmark fece pressione sullo studio per ottenere parti diverse da quelle di “villain” e nel 1949 vi riuscì [9].

L’incubo della caccia alle streghe

L’anno dopo dominò interamente, come protagonista, un altro noir, un cult movie esemplare, I trafficanti della notte (1950, di Jules Dassin) [10]. Quelli erano gli anni in cui l’America era attraversata da un’ondata di paranoia anticomunista (ne abbiamo parlato qui e qui). Bastava avere vaghe simpatie progressiste per finire sotto indagine da parte della Commissione d’inchiesta per le attività anti-americane (HUAC) o nelle cosiddette liste nere (abbiamo dedicato diversi post alla “caccia alle streghe su questa rubrica, Corsi e Ricorsi, dell’Associazione Me.Dia.Re.: tra questi quello sulla condanna a morte dei coniugi Rosenberg). Liste informali in cui venivano inseriti i nomi di coloro che erano sospettati o sospettabili di filocomunismo. Chi finiva in uno di quegli elenchi come minimo poteva dire addio al lavoro e alla carriera.

«L’America dovrebbe vergognarsi per sempre» (Richard Widmark)

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Richard Widmark, però, infischiandosene del fatto che il regista Jules Dassin fosse stato costretto a lasciare gli USA per sottrarsi alla persecuzione dell’HUAC, in quanto ex iscritto al Partito Comunista Americano, lo raggiunse a Londra e, sviluppando una sorta di “anti-metodo”, basato sulla freddezza anziché sull’immedesimazione, rese alla perfezione la nervosa malinconia del protagonista. Questa decisione, come previsto, lo espose alla paranoica curiosità dei cacciatori di streghe, ma Widmark, pur essendo un liberal dichiarato, non si era mai iscritto ad alcuna associazione che potesse far sorgere sospetti di simpatie comuniste, sicché, per quanto più volte “attenzionato”, non finì mai incastrato.

«Sono stato un democratico liberal per tutta la vita»

Nel 1950, tornato negli USA, andò a New Orleans, per interpretare la parte dell’esausto medico della Marina, intento a prevenire un’epidemia di peste, in un noir mozzafiato, Bandiera gialla, di Elia Kazan, anch’egli da tempo nel mirino dei reazionari e prossimo a finire tra le grinfie della caccia alle streghe. Immediatamente dopo, Richard Widmark accettò l’offerta di un altro grande regista, Joseph Lee Mankiewiczpure lui alle prese con l’isteria anticomunista montante, intento com’era a fronteggiare gli assalti degli anticomunisti più sfegatati nel sindacato degli sceneggiatori – , di interpretare il razzista e bigotto delinquente di Uomo bianco tu vivrai (1950, di J. L. Makiewicz), che perseguita il medico afro-americano interpretato da Sidney Poitier (gli abbiamo dedicato un post su questa rubrica[11].

In seguito commentò:

«Molti dei miei amici erano nella lista nera. L’America dovrebbe vergognarsi per sempre».

Quindi, sotto la direzione di Lewis Milestone, celebre autore di opere di grande successo ma sospettato, anch’egli, di anti-americanismo, Richard Widmark interpretò Okinawa (1951). Anche questa volta il suo personaggio era tutt’altro che eroico, trattandosi di un ufficiale talmente consumato dal senso di colpa e dall’esaurimento da ricorrere alla droga.

Una varietà di ruoli all’insegna della complessità

Sempre in ambito noir l’altra gemma di quei primi anni Cinquanta fu Mano pericolosa (1953, di Samuel Fuller) [12]. Seguirono moltissime altre pellicole, che lo portarono a recitare nei più diversi generi, sotto la direzione di giganti dell’arte cinematografica o di abilissimi professionisti [13]. E lavorò intensamente per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, durante i quali interpretò numerose opere di forte riscontro commerciale e apprezzate dalla critica internazionale. Vi fu un lieve calo negli anni Settanta [14]. Ma anche in quel decennio prese parte ad alcuni film memorabili, così come continuò a lavorare anche in seguito, ma con ritmi meno intensi, alternando film televisivi ad opere cinematografiche, nell’ambito delle quali, per lo più forniva partecipazioni straordinarie, sia pur corpose.

«Penso che un artista dovrebbe fare il suo lavoro e poi stare zitto» (Richard Widmark)

Nonostante avesse interpretato una gran quantità di assassini e di bigotti senza cuore, le poche volte in cui approfittò della propria celebrità per sostenere una causa lo fece in nome della non violenza. Denunciò, infatti, ripetutamente ogni tipo di violenza e nel 1976 affermò:

«So di aver fatto una specie di mezza carriera con la violenza, ma detesto la violenza. Sono un fervente sostenitore del controllo delle armi. Mi sembra incredibile che siamo l’unica nazione civilizzata a non esercitare un controllo efficace sulle armi».

In generale, Richard Widmark si tenne lontano dai microfoni e dai flash dei fotografi. Sulla sua vita non si fissò mai l’attenzione del gossip. Seppe considerare il lavoro di attore niente più che un lavoro. Perciò, fu alquanto sorpreso quando gli venne assegnato un premio ad Hollywood per il suo impegno umanitario, pacifista e ambientale, sempre svolto in sordina.

Ed espresse il suo commosso stupore per il fatto che il suo carissimo amico Sidney Poitier aveva percorso migliaia di chilometri in treno per consegnarglielo.

Il suo vecchio amico, non meno sorpreso da quelle parole toccanti, affettuosamente gli rispose:

«Per te sarei venuto anche a piedi».

Alberto Quattrocolo

[1] Sulle qualità di attore di Richard Widmark, Jean Wagner ha scritto:

«Egli incarna sempre un personaggio dai risvolti complessi. Di fatto, Widmark è sempre la cattiva coscienza di qualcuno. Eroe o vittima, ha l’arte di essere sempre in posa falsa. Così i suoi personaggi sono normalmente ambigui o posti in situazioni ambigue […]. Il suo passo felino, la sua capigliatura bionda, i suoi occhi assai chiari, gli permisero di arricchire di sfumature ambigue, torbide, personaggi classici, di rendere sensibili le loro esitazioni, i loro bruschi cambiamenti, la loro instabilità, dissimulata sotto un humour beffardo, sprezzante o timoroso, sempre sviante. Attore shakespeariano a sua insaputa, Widmark trova sempre il modo di sorprenderci, poiché nulla con lui appare definitivo. Sa rinnovare archetipi in genere ben determinati».

Tra i film maggiormente penetrati nella memoria del grande pubblico, oltre a quello di esordio – Il bacio della morte (1947, di Henry Hathaway) -, possono annoverarsi diversi noir tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, nei quali arricchì di complesse sfumature i suoi personaggi, fossero essi protagonisti o meno. Tra questi, La strada senza nome (1948, di William Keighley), Trafficanti della notte (1950, di Jules Dassin), Uomo bianco tu vivrai (1950, di Joseph Lee Manikiewicz), Bandiera gialla (1950, Elia Kazan) Mano pericolosa (1953, di Samuel Fuller). Un altro genere che  contribuì ad arricchire di preziosissime perle interpretative fu il western. Da Cielo giallo (1948, di William A. Wellman), al fianco di Gregory Peck e Anne Baxter, a Prigioniero della miniera (1954, di Henry Hathaway), accanto a Gary Cooper e Susan Hayward; da La lancia che uccide (1954), insieme a Spencer Tracy e Robert Wagner, a L’ultima notte Warlock (1956), in un cast che capeggiava insieme ad Henry Fonda, Anthony Quinn e Dorothy Malone (entrambe le opere furono dirette da Edward Dmytrik); da La frustata (1955) a Sfida nella città morta (1958), entrambi di John Sturges, che avrebbe voluto dirigerlo anche ne La grande fuga (1963), nel ruolo di Hilts, parte che venne invece assegnata a Steve McQueen, facendone una superstar mondiale; da L’ultima carovana (1956, di Delmer Daves) a La battaglia di Alamo (1960, di e con John Wayne); da Cavalcarono insieme (1962) a Il grande sentiero (1964), entrambi del “Maestro tra i maestri” della regia, John Ford; da Alvarez Kelly (1966, di Edward Dmytryk), accanto a William Holden a Quando le leggende muoiono (1972, di Stuart Millar), con Frederic Forrest. Ma numerose e pregevolissime furono anche le sue interpretazioni al di fuori del cinema d’azione. Si pensi alla sua performance nei panni dello psichiatra in crisi in La tela del ragno (1954, di Vincente Minnelli) o in quelli dell’avvocato militare che difende un ufficiale accusato di aver collaborato con il nemico durante la guerra di Corea, in Il fronte del silenzio (1957, di Karl Malden). Non meno memorabile fu la figura del pubblico ministero del processo di Norimberga, intento a dimostrare la colpevolezza dei vertici del sistema giudiziario tedesco durante il Terzo Reich: seppe dosare indignazione e disperazione in un uomo che non si può rassegnare alle ragioni dell’opportunismo politico. In tale film, Vincitori e vinti (1961), mirabilmente diretto da Stanley Kramer, Richard Widmark si misurò con sottile abilità con attori del calibro di Burt Lancaster, Spencer Tracy, Montgomery Clift, Judy Garland e Marlene Dietrich. Molti altri film ancora colpirono le emozioni degli spettatori e lo portarono a collaborare con altri registi di indiscutibile successo e talento (come, per citarne solo un paio, Sidney Lumet e Robert Aldrich), così come con autori meno prolifici o meno noti al grosso pubblico, quali il regista di Stato d’allarme (1965), James B Harris. Più noto come produttore e come montatore, questo regista rivelò un mano fermissima in quella e in altre occasioni (in Stato d’allarme aveva tra le mani un cast in cui primeggiavano, accanto a Richard Widmark, Sidney Poitier e Martin Balsam).

[2] Come accadde ad altri magnifici attori apparsi durante o subito dopo la Seconda Guerra Mondiale: Lee J. CobbRichard Conte, Dan Duryea, Charles McGraw, Robert Ryan, ecc., Richard Widmark fu certamente, in molte opere, dall’inizio alla fine della carriera, un cattivo inquietante, ma quasi da subito interpretò anche personaggi positivi (talora come partner dell’attore principale, più spesso come protagonista), fornendoli, però, di sfaccettature contrastanti e di uno spirito sovversivo, che ne facevano emergere la profondità e l’umanità.

[3] Anche da adolescente Richard Widmark continuò ad andare al cinema, passato nel frattempo dal muto al sonoro. Era entusiasta dei primi capolavori sonori dell’horror, come Dracula (1931, di Todd Browning) e Frankenstein (1931, di James Whale). Rispetto a quest’ultimo era impressionato dalla performance di Boris Karloff.

[4] Lavorò con Spencer Tracy nel 1954 in La lancia che uccide (di Edward Dmytryk) e in Vincitori e vinti (1961, di Stanley Kramer). Di Spencer Tracy, disse:

«Ciò che un attore dovrebbe essere è esemplificato, per me, da lui. Mi piace la realtà della sua recitazione. È così onesto e sembra così semplice, anche se ciò che fa Tracy è il risultato di un duro lavoro e di un’estrema concentrazione. In realtà, il massimo in qualsiasi arte non è mai mostrare le ruote che macinano. L’essenza della cattiva recitazione, per esempio, sta nell’ urlare. Tracy non urla mai. È il più grande attore cinematografico che sia mai esistito».

[5] Nel 1938 ebbe la possibilità di lavorare alla radio in “Real Life of Aunt Jenny“e in diverse altre trasmissioni della compagnia di Orson Welles.

[6] Durante la guerra Richard Widmark e i suoi genitori trascorsero tre anni angosciosi temendo per la vita del fratello di Richard, Donald, un pilota di bombardieri ferito e catturato dai nazisti. Sebbene Donald Widmark fosse stato liberato alla fine della guerra, la sua salute compromessa costituì una fonte di ansia e dolorose anche per Richard.

[7] Anche se il ruolo era piccolo, la performance potente di Richard Widmark mise in ombra quella pur ottima degli altri interpreti, inclusa quella del protagonista, Victor Mature. Il dipartimento di pubblicità della 20th Century Fox, quindi, decise di promuovere contemporaneamente il film e l’attore facendo stampare dei manifesti con la scritta «Wanted» sopra la faccia di Richard Widmark.

[8] Tornò, infatti, a vestire immediatamente i panni di un malvivente psicotico in La strada senza nome (1948, di William Keighley), arricchendolo di esplicite ambiguità sessuali, e rese con impressionante verosimiglianza un marito maltrattante, violento, geloso e persecutorio, ne I quattro rivali (1948, di Jean Negulesco).

[9] Grazie all’appoggio di Henry Hathaway ebbe la parte del paterno marinaio, che sa mettersi in discussione, in Naviganti coraggiosi (1949, di H. Hathaway) e se la cavò splendidamente. Aveva raggiunto la notorietà presso il pubblico e la critica andando controcorrente, prima con la violenza scioccante di Tommy Udo, poi tradendo le aspettative del pubblico che si aspettava di vederlo sempre nei panni del cattivo. Il numero del 28 marzo 1949 della rivista “Life” dedicò tre pagine al film di Hathaway e a Widmark.

[10] Dopo aver impersonato il protagonista cinico di Furia dei tropici (1949, di André De Toth), un altro noir melodrammatico.

[11] Di Sidney Poitier divenne subito amico lo restò per tutta la vita. Durante la lavorazione del film, Richard Widmark, preoccupato per la violenza verbale e psicologica che il suo personaggio infliggeva a quello di Sidney Poitier, si scusava di continuo con lui prima dell’inizio e al termine di ogni ripresa.

[12] Dove seppe dosare il cinismo irrimediabile del protagonista, un borseggiatore newyorchese, alle prese con spietate spie comuniste, con una sorta di anarchico sentimentalismo.

[13] Gli uni e gli altri lo scelsero per il suo talento e la sua scrupolosa serietà professionale (da John Ford a Otto Preminger, da John Sturges a Vincent Minnelli, da Richard Brooks a Delmer Daves, da Stanley Kramer ad Edward Dmytryk, da Don Siegel a Robert Aldrich, da Sidney Lumet a Micheal Crichton), spesso affiancandolo a divi già affermati e ad altre star in ascesa (da Marilyn Monroe a Laureen Bacall, da Susan Hayward a Jean Seberg, da Donna Reed a Felicia Farr, da Linda Darnell a Jean Peters, da Ingrid Stevens a Genevieve Bujold, da Gary Cooper a John Wayne, da Robert Taylor a James Stewart, da Burt Lancaster a Spencer Tracy, da Montgomery Clift a George Peppard, da Sidney Poitier a Laurence Harvey, da Maximilian Shell a George Segal, da Henry Fonda ad Anthony Quinn, da William Holden a Gene Hackman).

[14] All’inizio degli anni Settanta, la sua minore presenza sugli schermi cinematografici fu compensata dall’impegno televisivo nella serie poliziesca Madigan (1972-’73), ispirata da un film di particolare successo girato nel ’68 e diretto da Don Siegel, Squadra omicidi, sparate a vista.

Fonti

Raymond Bellour (a cura di), Il Western, Giangiacomo Feltrinelli Editori, Milano 1973

Claudio G. Fava, Guerra in cento film, Le Mani, Genova, 2010

Josè Maria Latorre, Avventura in cento film, Le Mani, Genova, 1999

Renato Venturelli, Poliziesco americano in cento film, Le Mani, Genova, 1995

Renato Venturelli, Gangster in cento film, Le Mani, Genova, 2000

Aldo Viganò, Western in cento film, Le Mani, Genova, 1994

www.imdb.com

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