Sorge la Repubblica partigiana della Val d’Ossola il 10 settembre del ’44

L’esperienza delle cosiddette “zone libere”, chiamate anche, a posteriori, repubbliche partigiane, espresse la capacità del movimento italiano di Liberazione di creare un’organizzazione politica di stampo democratico, fondata su precisi valori umani e civili.

Nell’estate del 1944, mentre le truppe tedesche incalzate dalle armate anglo-americane si ritiravano verso il Nord, in luoghi come Montefiorino, Alba, la Carnia, la Resistenza italiana inaugurò questa nuova tattica, che andò ad affiancare agitazioni di fabbrica, scioperi, sabotaggio e guerriglia nel complesso delle operazioni finalizzate alla liberazione della pianura Padana.

La vicenda della Val d’Ossola ebbe forse la maggiore risonanza per la vastità del territorio interessato (un’area di 1600 km², sei vallate, 32 Comuni e più di 80.000 abitanti), l’elevato indice demografico, il notevole livello di industrializzazione, e la collocazione geografica, che consentiva tanto di controllare il valico ferroviario e stradale del Sempione quanto di costituire per i tedeschi una potenziale minaccia sulla pianura padana tra Torino e Milano.

Secondo alcuni rapporti inviati al Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia, già in luglio gli Alleati avevano elaborato il progetto di far occupare stabilmente la Val D’Ossola e la Valle d’Aosta da parte di formazioni partigiane, per assicurare “l’occupazione permanente” e attuare quindi “il piano di lotta schierata” contro i tedeschi. Il Comando alleato in seguito desistette per il progressivo consolidarsi delle truppe tedesche sulla linea Gotica e per ragioni politiche: nell’ambito della suddivisione dell’Europa nelle zone d’influenza anglo-americana e sovietica, da parte degli Alleati non si voleva un esercito partigiano italiano, ma semplici squadre di sabotatori e di disturbo alle spalle dei tedeschi.

Ma proprio nello stesso periodo, indipendentemente dalle intese fra gli Alleati e il CLNAI, nell’Ossola le formazioni partigiane delle divisioni “Valdossola”, “Valtoce”, e “Piave” riuscirono a liberare tutta la vallata dalla presenza nazi-fascista, entrando a Domodossola la mattina del 10 settembre 1944. I tedeschi opposero poca resistenza e gli scontri a fuoco in campo aperto con i fascisti durarono poche ore, mentre per riprendere il capoluogo venne stipulato un trattato di resa, che concedeva agli sconfitti l’onore delle armi e un ritiro in sicurezza; la trattativa, condotta dal solo nucleo partigiano dei c.d. Autonomi, produsse frizioni tra le diverse componenti politiche della Resistenza locale e comportò il mancato riconoscimento ufficiale da parte del CLNAI.

La popolazione esplose in festa e non si registrarono episodi di violenza o rappresaglia contro i fascisti locali, come annotato da A. Levi:

Questo rarissimo caso d’una guerra paesana che non degenera in una sciagurata sequela di violenze da ambo le parti, va segnalato, a mio avviso, come l’esempio della più difficile vittoria, di quella cioè, sopra i propri più istintivi sentimenti e risentimenti.”.

Gli storici hanno rilevato che, se è indubbio che le diverse formazioni partigiane locali siano state le artefici della nascita della Repubblica dell’Ossola, tale vicenda non può essere confinata ad un mero fatto d’armi. Immediatamente insediatasi, la Giunta provvisoria si dimostrò capace di organizzare, nel pur breve tempo della sua attività di governo, i rifornimenti essenziali per la popolazione, l’assistenza, la difesa militare, la polizia, l’ordinamento degli impieghi, le finanze, la scuola, la giustizia, con un’ampiezza di prospettive che permise di sperimentare un nuovo tipo di comunità nazionale. In quei giorni, in Val d’Ossola si trovarono riunite personalità politiche e culturali di grande rilievo come Umberto Terracini, Giancarlo Pajetta, Concetto Marchesi, Gianfranco Contini, Mario Bonfantini, Carlo Calcaterra, Franco Fortini, Aldo Aniasi, Andrea Cascella, che contribuirono ad apportare a quell’esperienza un respiro più vasto rispetto alle mere necessità contingenti.

Tra le prime iniziative vi fu l’apertura della frontiera con la vicina Svizzera, da cui giunsero numerosi giornalisti internazionali per testimoniare e raccogliere informazioni su quello che stava accadendo.

Furono anzitutto destituiti i podestà e i commissari prefettizi di nomina fascista e per la pubblica sicurezza fu creata una Guardia nazionale, reclutata fra i cittadini, costituendo inoltre delle commissioni di epurazione per allontanare i fascisti dai servizi pubblici. L’amministrazione della giustizia si ispirò a ideali di equità, legalità, imparzialità e libertà dell’individuo e ai circa 150 prigionieri politici fu garantito un trattamento corretto e umano.

Si organizzarono in tutta la valle il Fronte della Gioventù e i Gruppi di difesa della donna, cui aderirono tante donne anche senza partito; l’esponente comunista Gisella Floreanini fu per la Repubblica ossolana la prima donna ministro d’Italia, in un’epoca in cui i diritti politici attivi e passivi, compreso il voto, erano riservati agli uomini: “A me sembrò naturale, ma fu il giorno dopo, quando il segretario della giunta Umberto Terracini (poi padre dell’Assemblea Costituente) salutò ‘la compagna diventata ministro’ che colsi del tutto il fatto nuovo.”. La stampa, la vita sociale e culturale e la partecipazione attiva dei cittadini furono straordinariamente vivaci, e fu stilato un programma scolastico innovativo e all’avanguardia.

In materia di lavoro furono subito sciolti i sindacati fascisti e organizzati i nuovi sindacati, su base tripartitica comunista, socialista e cattolica, introducendo i principi della giusta retribuzione e del rispetto della dignità di ogni lavoratore. Sul piano economico la Giunta regolamentò il mercato dei generi di prima necessità, i prezzi e la distribuzione dei beni di largo consumo, avviò trattative commerciali con la Svizzera per scambiare prodotti minerari e industriali della valle con generi alimentari, oltre alle patate e alla farina che la Croce Rossa svizzera aveva inviato in dono. Particolare cura fu dedicata al servizio sanitario e all’assistenza agli indigenti, sia per la popolazione civile che per le unità partigiane, anche attraverso specifici accordi con la Svizzera che permisero in seguito, al momento della resa, di mettere in salvo centinaia di bambini ossolani.

Non mancarono le difficoltà, quali i difficili rapporti tra i comandi partigiani “autonomi” e i garibaldini o l’isolamento sostanziale da parte del CLNAI, che accusava il governo ossolano di eccessivo autonomismo e lamentava la preponderanza nella Giunta di elementi esterni al territorio.

Ma ciò che compromise maggiormente la difesa del territorio fu la mancanza di supporti economici, armi e munizioni, promessi ripetutamente dagli Alleati e mai pervenuti. Già dalla fine di settembre le forze nazi-fasciste iniziarono a riorganizzarsi, ammassando nella zona circa 13.000 uomini dotati di artiglierie e mezzi blindati, che il 10 ottobre scatenarono l’offensiva sul versante meridionale della Repubblica: la resistenza fu accanita, ma il 21 ottobre dovette cedere.

I bambini erano già stati evacuati in Svizzera, dove cercarono scampo anche migliaia di ossolani, molti partigiani e la Giunta; la II Divisione Garibaldi e la Beltrami riuscirono ad arretrare e mettersi in salvo per organizzare la ripresa partigiana già a partire dal mese successivo, ma l’esperienza della libera repubblica dell’Ossola era ormai conclusa.

Silvia Boverini

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Fonti:
“La repubblica dell’utopia”, www.lastoriasiamonoi.rai.it;
www.wikipedia.org;
F. Frassati (a cura di), La Repubblica dell’Ossola, Comune di Domodossola;
www.1944-repubblichepartigiane.info;
www.anpi.it;
F. Rossi, “L’Italia della Resistenza: la repubblica dell’Ossola”, www.sconfinare.net;
G. Bocca, “Una repubblica partigiana. La Resistenza in Val d’Ossola”, il Saggiatore.

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