Je suis Charlie, o no?

7 gennaio 2015, 11.30 del mattino. Sede del giornale Charlie Hebdo, Parigi.
Corinne Rey, al ritorno dall’asilo dove ha appena lasciato la figlia, viene presa in ostaggio da due uomini mascherati. La costringono ad inserire il codice apri porta del palazzo. La fumettista li guida fino al secondo piano, dove scaricano gli AK-47 sui colleghi della donna, che si salva rintanandosi sotto una scrivania.

12 vittime, che si aggiungono alle 8 dei momenti e giorni seguenti, tra cui i tre terroristi stessi (il terzo agì il giorno successivo, a sud della capitale): in Francia, il quarto attentato per numero di vite spezzate.

4 giorni dopo, più di due milioni di persone affollano le strade della Ville Lumière per esprimere solidarietà alle vittime e alle famiglie. Je suis Charlie è il motto e l’hashtag che rimbalza sugli schermi di tutto il mondo, unendolo a tempo zero come solo oggi è possibile fare.

Naturalmente, ci sono dei distinguo. Charlie Hebdo è infatti un giornale controverso. Le sue vignette satiriche avevano fatto discutere in precedenza, e lo faranno anche in seguito. Je ne suis pas Charlie è il contro-hashtag che emerge per denunciare quanto sono riprovevoli, e financo razziste, le immagini del periodico.

In Italia, una grossa fetta di risentimento la solleva la vignetta sul terremoto di Amatrice.

Il web, e non solo, prorompe in un’ondata d’indignazione, finché l’ambasciatrice francese a Roma si dissocia, in nome del governo transalpino, dalla posizione del giornale. I fumettisti tentano quindi di spiegare l’intenzione e il senso, prendendo ancora una volta in mano la matita:

Com’è facile immaginare, scarsi risultati in termini di opinione pubblica. Si arriva addirittura ad invocare la censura. Il dialogo, tutt’altro che pacato, sulla satira è nuovamente aperto.

Un contributo degno di nota in tal senso è senz’altro quello di Daniele Luttazzi, che del controverso genere letterario qualcosa dovrebbe sapere, anche solo per aver aver scritto e condotto Satyricon per dodici puntate:

La satira è un punto di vista. In quanto tale, è opinabile. Lo è inevitabilmente. Ogni atto satirico è l’esito di una decisione/giudizio dell’autore e rivela la sua cultura e la sua ideologia. […]
Come un risultato artistico può non corrispondere alle intenzioni dell’artista, così un satirico può scivolare via dalla satira (colpire il carnefice), in direzione dello sfottò fascistoide (colpire le vittime di un carnefice). […]
Quella vignettaccia ha disturbato perché sbeffeggiava delle vittime, non perché fosse satira efficace. […]
Quando sei nel dubbio, chiediti sempre: “Chi è il bersaglio?”
(Daniele Luttazzi Blog, 5 settembre 2016)

 

Alessio Gaggero

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