Guernica

Nel pomeriggio del 26 aprile 1937, ottantadue anni fa, la piccola città basca di Guernica fu quasi del tutto cancellata da uno dei bombardamenti più rappresentativi del XX secolo. La guerra civile spagnola era cominciata meno di un anno prima. I nazionalisti del generale Francisco Franco e i repubblicani guidati dal Fronte Popolare, la coalizione dei partiti di sinistra e estrema sinistra spagnoli, si fronteggiavano in un sanguinoso succedersi di battaglie e massacri. Nel 1931, infatti, era sorta, sulle ceneri del Regno di Spagna, la Seconda Repubblica Spagnola, guidata da repubblicani e socialisti, che avevano ottenuto una decisa vittoria elettorale nella consultazione nazionale di quell’anno. Dopo una serie di crisi governative, incluso un tentativo di colpo di Stato, avvenuto già nel ’32, e una vittoria elettorale della coalizione di centro-destra del ’33, si era giunti alle elezioni del 16 febbraio 1936. Queste avevano assegnato la maggioranza al Fronte Popolare, composto dai partiti della sinistra, con 4.838.000 voti contro i 3.996.000 conseguiti dalla destra. Ma le tensioni e le violenze non erano cessate. Contro il governo della Repubblica il generale di brigata Emilio Mola e altri militari, tra cui Francisco Franco, nel luglio del 1936 avevano organizzato un colpo di Stato, dando luogo, così, al conflitto tra le truppe fedeli al governo legittimo e quelle fasciste (franchiste), al fianco delle quali si erano schierati i governi di Benito Mussolini e di Adolf Hitler.

Il bombardamento del 26 aprile del 1937 sulla città di Guernica divenne il simbolo di quella guerra civile, ma fu anche l’anticipo lugubre delle stragi di civili che si compirono nella Seconda Guerra Mondiale.

Nel 1937 Guernica contava appena settemila abitanti, ma si trovava a poche decine di chilometri da quel fronte lungo il quale si battevano le forze repubblicane contro quelle nazionaliste. Mentre il leader dei nazionalisti Franco, appoggiato dai fascisti italiani e dai nazisti tedeschi, puntava con un certo successo al controllo militare dell’estremo sud della Spagna e di un’area piuttosto grande nel nord-ovest spagnolo, al nord l’obiettivo era conquistare Bilbao, per poter sottomettere l’intera regione. I Paesi Baschi, infatti, avevano un proprio corpo militare, alleato del Fronte Popolare. E quell’anno questa regione era diventata una roccaforte repubblicana, circondata da territori in mano ai nazionalisti.

Guernica si trovava sulla strada per Bilbao e da lì sarebbero dovuti transitare i repubblicani nel caso fossero stati costretti alla ritirata. Guernica, tuttavia, non era un vero e proprio centro militare. Il piano della sua distruzione corrispondeva alla volontà delle forze franchiste di terrorizzare la popolazione civile spagnoli che appoggiava i repubblicani e, forse anche, di mandare un messaggio alle potenze straniere.

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Il 26 aprile del 1937, un lunedì, il mercato che normalmente si svolgeva, per precauzione, era stato sospeso dalle forze repubblicane. Ma i 31 bombardieri e i 42 caccia (di cui 28 bombardieri e 16 caccia, della Legione Condor, cioè della Luftwaffe, l’aviazione tedesca, e 3 bombardieri e 26 caccia dell’Aviazione Legionaria, cioè della Regia Aeronautica italiana), comandati da Wolfram von Richthofen riuscirono comunque a togliere la vita a moltissimi civili e a demoralizzare pesantemente i repubblicani.

Nella prima incursione, quella delle 16,30 circa, venne colpita la zona del ponte di Renteria, a est della città, che costituiva un importante obiettivo militare, essendo il passaggio obbligato per l’eventuale ritirata dei repubblicani. Poi, però, gli aerei nazifascisti tornano a Guernica, teoricamente per colpire la ferrovia e le fabbriche di armi. Buona parte della città fu devastata, ma le fabbriche d’armi non vennero seriamente danneggiate, così come non lo fu la Casa de Juntas, un monumento molto importante per la cultura basca. Ciononostante, l’effetto traumatico sugli abitanti e sulle forze repubblicane del bombardamento fu tale da consentire ai nazionalisti di prendere il controllo di Guernica, e nei mesi seguenti dell’intera regione.

George Stear, giornalista britannico inviato del Times, fu il primo straniero a dare la notizia del bombardamento su Guernica. Nel suo resoconto, che fu pubblicato anche dal New York Times, stimò che fossero morte diverse centinaia di persone. I repubblicani affermarono che i civili uccisi erano 2.000. I nazionalisti, dal canto loro, accusarono i repubblicani di aver esagerato i morti. E, viste le reazioni dell’opinione pubblica internazionale, giunsero perfino a sostenere  che il bombardamento su Guernica era stato compiuto dai repubblicani stessi. La stima più condivisa sostiene che i morti furono circa 300.

Se grazie al reportage di Steer, il bombardamento di Guernica attirò condanne dalla politica e dalla società civile occidentale, esso diventò un simbolo delle stragi di civili, nonostante le ben più devastanti atrocità della di poco successiva Seconda guerra mondiale, per merito di Pablo Picasso. Già pittore famosissimo, cui il governo repubblicano spagnolo aveva affidato il compito di realizzare un’opera da esporre nel padiglione della Spagna all’esposizione internazionale di Parigi, nel maggio del 1937, a pochi giorni dal bombardamento su Guernica, Picasso prese a dipingere una tela lunga quasi otto metri e alta tre e mezzo. Intitolò la sua opera Guernica. Per la capacità di rappresentare l’orrore, il caos e il terrore del bombardamento, è divenuta la più famosa opera d’arte di sempre sulla guerra. Oggi il quadro è esposto al museo Reina Sofia di Madrid.

Alberto Quattrocolo

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