Pubblicati da Alberto Quattrocolo

9 morti di razzismo a Charleston

«Devo farlo. Voi stuprate le nostre donne e state prendendo il sopravvento nel nostro Paese e dovete sparire», è udendo tali parole che, il 17 giugno del 2015, furono colpiti a morte 6 donne e 3 uomini nell’Emanuel African Methodist Episcopal Church di Charleston, nella Carolina del Sud. Ad ucciderle fu Dylann Roof, un suprematista bianco che sperava di scatenare una guerra razziale e aveva scelto quella chiesa perché rappresentava la più antica comunità religiosa afroamericana ed era stata protagonista della lotta contro la schiavitù, prima, e contro la segregazione e il razzismo, poi.

Odio razziale e linciaggio a Duluth

Per linciarli, quel 15 giugno del 1920, bastò un’accusa infondata, il diffondersi di notizie false e un clima surriscaldato da una guerra tra poveri alimentata da discorsi d’odio, che demonizzavano i neri come ladri, crumiri, criminali nati e maniaci sessuali. Anche se il Minnesota, il più settentrionale degli Stati Uniti, era lo Stato più lontano, fisicamente e moralmente, dal tradizionale razzismo degli Stati del Sud, nessun bianco concesse il beneficio del dubbio a quei tre uomini di vent’anni che protestavano la loro innocenza. Nessun bianco prese in considerazione il fatto che, secondo il suo medico, la giovane Irene Tusken non aveva subito alcuna violenza. Nessun bianco fu toccato dalla supplica di Elias Clayton, Elmer Jackson e Isaac McGhie di non essere assassinati. Nessun bianco fu condannato per il loro omicidio.

Medgar Evers, una vita contro il razzismo

Aveva combattuto le truppe naziste in Francia, durante la Seconda Guerra Mondiale ed era stato congedato con onore e il grado di sergente, ma nel Mississipi, dov’era nato e cresciuto, non poteva andare nei bagni delle stazioni di servizio, non poteva fare acquisti in certi negozi, non poteva iscriversi a certe scuole e università pubbliche e aveva non pochi problemi ad esercitare il proprio basilare diritto democratico, quello di votare. Non poteva neppure ribellarsi, sia pur pacificamente. Però Medgar Evers si ribellò. Lottò, fu minacciato ma non intimidito. Quindi fu ucciso dal Ku Klux Klan, il 12 giugno del 1963, con una fucilata alla schiena mentre stava entrando in casa.

John Wayne, il divo più amato e odiato di tutti i tempi

John Wayne fu più di un attore, più di una star. Fu una leggenda vivente e continua ad esserlo. Ma fu anche un simbolo del lato oscuro dell’America. Era, infatti, un simbolo di forza, determinazione, coraggio, virilità, integrità e senso del dovere e dell’onore. Ma anche un simbolo di patriottismo esasperato. O, per meglio, dire, di “americanismo” estremo. Un  simbolo, quindi, da amare o da odiare. Oppure da amare e odiare contemporaneamente. Come affermò Jean-Luc Godard, cogliendo le ragioni del fascino di Wayne:

«Come posso odiare John Wayne perchè simpatizza per Goldwater e poi amarlo teneramente quando prende improvvisamente tra le braccia Nathalie Wood negli ultimi minuti di Sentieri Selvaggi?».

Ancora oggi, a quarantun’anni dalla sua morte, avvenuta l’11 giugno del 1979, il suo ricordo suscita un misto di rispetto e disapprovazione, affetto e dissenso, gratitudine e rifiuto. 

Solo alcune migliaia di morti

«Lei, signor maresciallo, non ha la calma sufficiente per un’esatta valutazione della situazione», disse Mussolini a Badoglio, che gli manifestava le sue perplessità circa la decisione di dichiarare guerra alla Francia e alla Gran Bretagna. «Le affermo che in settembre tutto sarà finito e che ho bisogno solo di alcune migliaia di morti per sedere alla tavola della pace come co-belligerante».

La sera del 10 giugno 1940, dal balcone di palazzo Venezia, annunciò agli italiani: «La dichiarazione di guerra è stata già consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insediato l’esistenza del popolo italiano».

Scaraventò gli italiani nella Seconda Guerra Mondiale gridando: «La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: vincere!».

Non ci fu vittoria – non poteva esserci, e che catastrofe immensa avremmo patito, se le temibili armate di Hitler e quelle malmesse di Mussolini avessero vinto -, ma ci furono mezzo milione di militari e civili italiani morti ammazzati.

1937, omicidio dei fratelli Rosselli

Da sempre antifascisti, i due fratelli vengono assassinati dal regime, dopo l’ultima goccia che lo stesso poteva sopportare: Carlo “contribuisce dunque a diffondere le interviste dei soldati italiani sconfitti e catturati, nelle quali coloro che Mussolini spacciava per valorosi volontari si mostrano per quello che sono: contadini poveri, ignoranti di tutto, demotivati, finiti in Spagna per quattro soldi o addirittura con l’inganno. È forse questo attacco all’immagine del regime che spinge Mussolini a commissionare l’omicidio.”