Fair Play Goodbye

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Ha scritto, anni fa, Johan Huizinga:

«È un ideale umano di ogni epoca quello di combattere con onore per una causa che sia buona. Questo ideale sin dall’inizio è violato nella sua cruda realtà. La volontà di vincere è sempre più forte dell’autodominio imposto dal senso d’onore. Per quanto la civiltà umana ponga dei limiti alla violenza a cui si sentono portati i gruppi, tuttavia la necessità di vincere domina a tal punto i combattenti che la malizia umana ottiene sempre libero gioco e si permette tutto ciò che può inventare l’intelletto».

Ebbene, queste amare osservazioni relative alle condotte conflittuali di popoli o di gruppi ampi di persone, in realtà, possono essere estese con notevole frequenza anche ai conflitti inter-individuali o, comunque, tra gruppi più ristretti di persone. Anche in questi, infatti, le logiche del conflitto e le dinamiche della sua escalation si rivelano spesso dotate di una forza irresistibile, che sottrae ai protagonisti una parte consistente della loro capacità di governare la relazione e, ancor prima, di avere il controllo sui loro pensieri, sulle loro emozioni e sui loro comportamenti.

Di questi aspetti il mediatore dovrebbe essere estremamente consapevole, se vuole evitare di assumere un atteggiamento giudicante. E per riuscirci, tutto sommato, potrebbe bastargli ripensare alle proprie esperienze conflittuali e all’abilità con cui la propria mente gli ha procurato pronte autogiustificazioni nei momenti in cui, preso dalla lotta e irrigidito nella contrapposizione, ha agito infischiandosene del fair play.