26 agosto 2004: uccisione del reporter italiano Enzo Baldoni

Dal 1992, il Committee to Protect Journalists tiene aggiornato un doloroso conteggio delle uccisioni di giornalisti nelle zone di guerra in tutto il mondo: 1316 i caduti fino al 2018, di cui 186 in Iraq.

Tra questi ultimi, l’italiano Enzo G. Baldoni, di cui oggi ricorre l’anniversario della presunta data di morte, avvenuta nel 2004; in realtà, degli ultimi giorni di Baldoni, in Iraq come giornalista freelance e volontario per la Croce Rossa Internazionale, sono disponibili solo ricostruzioni sommarie, ammantate di un velo di polemiche.

I fatti conosciuti

Quello che si sa è che il 20 agosto 2004 il giornalista partecipa a una missione della Croce Rossa per portare aiuto e viveri a Najaf, una città a circa 160 km da Baghdad, sotto assedio a causa dei combattimenti tra le truppe statunitensi e l’Esercito del Mahdī iracheno: nel viaggio di ritorno, una mina esplode sotto la sua auto, presumibilmente in posizione avanzata rispetto al resto della colonna, che non si ferma; l’autista e interprete Ghareeb viene ucciso, Baldoni scompare.

Il primo allarme circa la perdita dei contatti con l’ambasciata italiana avviene già in serata, mentre il giorno dopo, con il rinvenimento del cadavere dell’autista, iniziano a circolare voci di un possibile sequestro. Martedì 24, Al Jazeera trasmette il video con cui l’organizzazione armata Esercito Islamico dell’Iraq rivendica il rapimento, mostra brevemente il giornalista e pone un ultimatum di 48 ore, affermando di “non poter garantire la sicurezza dell’ostaggio o la sua vita” se il governo italiano (guidato all’epoca da Berlusconi) non effettuerà una dichiarazione d’impegno a ritirare le proprie truppe dal territorio iracheno; poco dopo Palazzo Chigi diffonde una nota: il governo è impegnato per far tornare in libertà Enzo Baldoni, ma ribadisce che la presenza italiana “militare e civile” in Iraq continuerà.

Si susseguono gli appelli video ai rapitori: i figli, il direttore del settimanale “Diario” Enrico Deaglio e l’allora ministro degli Esteri Frattini evidenziano la figura di uomo di pace del giornalista, domandandone la liberazione.

Giovedì 26 è ancora Al Jazeera a trasmettere il comunicato dell’Esercito Islamico dell’Iraq in cui si dice che “l’esecuzione dell’italiano risponde al rifiuto del governo italiano di ritirare i suoi soldati dall’Iraq entro 48 ore”. Lo scarno messaggio, che non mostra l’uccisione, coglie tutti di sorpresa: in casi analoghi, mai i sequestratori avevano dato corso alle minacce alla scadenza del primo ultimatum.

I dubbi

Non c’è stato tempo”, dice una fonte investigativa contattata dall’agenzia Ansa, “i canali per mettersi in contatto con i sequestratori potenzialmente esistevano, ed erano buoni”.

Esponenti del Governo, fonti dei Servizi e Croce Rossa, ognuno nell’ambito di sua competenza, ribadiscono di aver attivato i canali diplomatici e tutti i contatti disponibili.

Commentatori meno istituzionali accusano invece le agenzie governative di aver sottovalutato segnali e informazioni delle intelligence internazionali, perdendo di vista la natura esplicitamente politica e militare di questo sequestro, per non dover ammettere di fronte all’opinione pubblica che il coinvolgimento italiano nelle operazioni militari in Iraq mette in pericolo tutti i cittadini che per qualsiasi motivo, solidarietà o lavoro, si rechino nell’area.

E mentre un paio di giornali filogovernativi avviano una campagna di denigrazione dell’uomo e del professionista Baldoni, dileggiandolo come un avventuriero radical chic allo sbaraglio, i familiari non hanno nemmeno un corpo da seppellire: i resti saranno riportati in Italia soltanto nel 2010, dopo una trattativa insolitamente complessa, cosa che non ha mancato di alimentare sospetti e illazioni.

Chi era Enzo Baldoni?

Cinquantaseienne, umbro di origine ma milanese di adozione, padre di famiglia, copy-writer di successo, pioniere dei blogger, traduttore italiano di fumetti di fama planetaria, collaboratore freelance per diverse testate, Enzo Baldoni aveva maturato relativamente tardi la passione per i reportage da luoghi difficili.

Una vocazione nata nel 1996 in Chiapas, Messico, dove conobbe il subcomandante Marcos, e proseguita tra i bambini delle fogne di Bucarest, poi in Birmania a testimoniare lo sterminio dei Karen, e ancora Timor Est, le sofferenze nel lebbrosario di Kalaupapa nelle Hawaii, la giungla tailandese, i guerriglieri delle Farc in Colombia; da Baghdad aveva promesso un reportage sulla resistenza irachena per il settimanale di approfondimento “Diario”.

“Qualcuno pensa che io sia un mezzo Rambo che ama provare emozioni forti, vedere la gente morire e respirare l’odore della guerra come Benjamin Willard l’odore del napalm la mattina in ‘Apocalypse now’, invece sono lontano mille miglia da questa mentalità, molto semplicemente sono curioso. Voglio capire cosa spinge persone normalissime a imbracciare un mitra per difendersi. Uno studio quasi da entomologo.”.

Visto con lo sguardo altrui

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L’Ordine dei Giornalisti lombardo ha inserito Enzo Baldoni fra i 14 martiri del giornalismo, ammazzati dallo squadrismo fascista, dal terrorismo rosso, dal terrorismo internazionale, dalla mafia e dalla camorra. Nel 2005 il suo nome è stato aggiunto al Journalist Memorial, il monumento situato nel giardino del Museo della Stampa ad Arlington (Virginia, USA), dedicato ai reporter caduti sul lavoro nel mondo a partire dal 1812.

Chi l’ha conosciuto lo descrive come un idealista, un sognatore, tanto ironico e irriverente quanto carico d’umanità. Inviato di guerra anomalo, non opinionista e neppure corrispondente, ma semplice reporter che coglie l’attimo e lo narra nella sua nudità, sceglie di mantenere sulle cose “lo sguardo di Candide”, libero da preconcetti.

Scrive Barbara Spinelli, poco dopo la notizia dell’omicidio:

Della guerra irachena lui ha descritto l’assurdo […] e nell’assurdo è capitato nell’ora della morte, poco importa l’esatto momento in cui è avvenuta. […] Ha incontrato un sequestratore che ce l’aveva a morte con l’Occidente, ma col quale era del tutto inutile comunicare, esercitarsi in dialettica. Quel che ha ottenuto è uno scontro tra due racconti eguali ma inconciliabili, giacché per ambedue – sequestrato e sequestratore – il discorso fatto dall’altro dev’essere apparso, come in Shakespeare, ‘un racconto narrato da un idiota, pieno di furia e di rumore, senza alcun significato’. […] Per gli strateghi della deterrenza nucleare, questo è stato, da sempre, l’anello debole della strategia militare dell’Occidente: l’eventuale apparizione di un avversario col quale non sarebbe stato possibile parlare razionalmente, e nei confronti del quale la logica della deterrenza (tu mi puoi uccidere, ma nello stesso tempo ucciderai te stesso) non avrebbe funzionato. L’irruzione sul palcoscenico politico e bellico dell’irrazionale, della follia, dell’odio che non sa dar ordine a se stesso e sfocia in caos. L’impotenza del logòs, della parola detta per argomentare, per convincere, infine per dissuadere […] s’instaurano in Iraq dopo l’intervento occidentale, e su questo vale la pena meditare, con lo stesso sguardo candido, non ideologico, che ebbe Baldoni: non necessariamente per ritirare le truppe dall’Iraq, ma per sapere almeno la guerra che si combatte, per cercare maniere meno inefficaci di parlare all’avversario.

 

Silvia Boverini

Fonti:
Mauro Valentini, “Gli occhiali rotti di Enzo Baldoni”, www.cronacaedossier.it;
Pietro del Re, “Io viaggio per la pace”, www.repubblica.it;
“Baldoni, il gelo degli 007. Pensavamo di salvarlo”, www.repubblica.it;
Giuseppe d’Avanzo, “Quei segnali non capiti”, www.repubblica.it;
Barbara Spinelli, “Il martire di Baghdad”, La Stampa 29/08/2004, in www.odg.mi.it;
www.cpj.org

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