Il primo agosto del 2016 il Senato approva il disegno di legge sul caporalato

Il primo agosto 2016 l’Aula del Senato approvò il disegno di legge contro il fenomeno del cosiddetto caporalato. Votarono a favore 190 deputati, a fronte di nessun voto contrario e soltanto 32 astensioni. Il 18 ottobre la Camera dei deputati lo approvò definitivamente: votarono a favore 336 deputati, nessun contrario, ma si astennero 25 deputati tra Forza Italia e Lega.

Un anno prima dell’approvazione della legge, Paola Clemente, bracciante agricola di 49 anni stroncata da un infarto, morta letteralmente di fatica, mentre lavorava nelle campagne di Andria il 13 luglio del 2015. Paola Clemente e le sue 600 colleghe ricevevano un salario molto più basso di quanto indicato nella busta paga dell’agenzia interinale che forniva la manodopera: 30 euro per 12 ore di lavoro, dalle 3:30 del mattino alle 15:30. Queste 600 braccianti erano tutte donne poverissime, con figli piccoli e mariti senza lavoro. Il 23 febbraio del 2017 gli sfruttatori vennero arrestati.

Il rapporto “Agromafie e caporalato”, realizzato nel 2016 dall’osservatorio “Placido Rizzotto” della Flai Cgil, stimava il volume complessivo d’affari generato da questa forma di economia illegale e sommersa, diffusa in tutto il Paese, dal Piemonte alla Sicilia, intorno a 17 miliardi di euro e calcolava che le vittime del caporalato, italiani e migranti, fossero all’incirca 430 mila persone. Quasi mezzo milione di persone impegnate nella produzione agroalimentare in Italia, che costituisce la più grande eccellenza del nostro Paese, che, invece, di essere riconosciute e rispettate come persone e come lavoratori, venivano e, purtroppo, ancora vengono sottoposte a violenza, ricatti, abusi.

Il segretario generale della Fai Cisl, Onofrio Rota, commentando il bilancio delle attività dell’Ispettorato nazionale del lavoro nel 2019, ha espresso le seguenti osservazioni.

Soltanto nei primi cinque mesi dell’anno si contano 39 arresti, 139 denunce a piede libero, con un +182% delle denunce penali rispetto al 2018, e 2400 posizioni lavorative irregolari rilevate, la metà delle quali totalmente in nero (…) È difficile dire se il fenomeno del caporalato sia aumentato o diminuito, ma di certo questi dati dimostrano che con maggiore attenzione da parte delle istituzioni aumentano i casi rilevati e puniti, il che conferma la bontà degli strumenti costruiti con la Legge 199 e l’esigenza di un maggiore coordinamento tra enti, istituzioni e forze dell’ordine (…) Le istituzioni e tutta la politica ascoltino l’appello fatto dai 6mila lavoratori scesi in piazza a Roma l’11 maggio (…): basta con atteggiamenti altalenanti, si agisca concretamente per far funzionare la cabina di regia, per incentivare le adesioni alla rete del lavoro agricolo di qualità, valorizzare il ruolo degli enti bilaterali, replicare le buone pratiche su alloggi e trasporti per i lavoratori, regolamentare meglio l’incontro tra domanda e offerta di lavoro”.

Con l’approvazione della legge (detta anche legge Martina, dal nome del Ministro proponente, Maurizio Martina) venivano posti alcuni degli strumenti legali per combattere i fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e per procurare un riallineamento retributivo nel settore agricolo. In sintesi tali “strumenti” sono il nuovo reato di intermediazione illecita e quello di sfruttamento del lavoro, con la responsabilità diretta del datore di lavoro, con una semplificazione delle circostanze in presenza delle quali si realizza lo sfruttamento, e la previsione della possibilità di commissariamento dell’azienda.

In cosa consiste il caporalato? Secondo la legge, che la definisce  intermediazione illecita, è quella pratica messa in atto da chi recluta manodopera, per conto di altri, e la sottopone a condizioni di sfruttamento, facendo leva sullo stato di bisogno in cui si trovano i lavoratori in questione, quindi anche a a prescindere dal ricorso a comportamenti violenti, minacciosi o intimidatori; il reato di sfruttamento colpisce non l’intermediario (il “caporale”) ma direttamente il datore di lavoro (che può anche avvalersi dell’intermediazione appena esposta, cioè del “caporalato”), quando crea la condizione di sfruttamento approfittando di uno stato di bisogno.

Cosa s’intende con il termine “sfruttamento”? Secondo la nuova normativa, è sufficiente la presenza di una delle seguenti condizioni:

  • il lavoratore è costantemente retribuito in misura largamente inferiore rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi, o comunque sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro svolto;
  • non rispetto delle leggi riguardanti l’orario, il riposo, l’aspettativa e le ferie;
  • non rispetto delle leggi in tema di sicurezza e igiene;
  • il lavoratore è sottoposto a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o situazioni abitative degradanti.

Oltre alla definizione della fattispecie di reato, la nuova regola estende, per i caporali e per gli imprenditori che fanno ricorso alla loro intermediazione, responsabilità e sanzioni (la pena prevista per entrambe le ipotesi è della reclusione da uno a sei anni e della multa da 500 a 1.000 euro per ogni lavoratore. Il reato viene considerato più grave nel caso in cui il reclutamento avvenga con violenza o minaccia: in questo caso la reclusione è da 5 a 8 anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato ed è previsto l’arresto in flagranza), mentre a favore delle vittime sono destinate le provvidenze del Fondo anti-tratta.

Per l’entrata in vigore della legge si dovette aspettare il 29 ottobre, quando, dopo l’approvazione anche da parte della Camera, avvenne la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

 Secondo, Onofrio Rota, la legge 199/2016 “è stata una legge importante che per questo settore si può paragonare ad un faro, facendo emergere il problema nella sua interezza“. Ma “è fondamentale il lavoro congiunto tra organizzazioni sindacali e prefetture, le cosiddette cabine di regia“. A titolo esemplificativo il segretario generale della Fai Cisl ricorda  “l’accordo firmato con Regione Lazio, che ha messo a disposizione dei lavoratori, i voucher per l’utilizzo dei mezzi pubblici. In modo tale che raggiungano serenamente il posto di lavoro, senza essere disturbati dai caporali dei trasporti“.

Resta da ricordare che il rapporto 2019 su lavoro e legislazione sociale redatto da Inl e Inps evidenzia che oltre due aziende su tre sono risultate irregolari nel 2018 in rispetto alle normative sul lavoro. Le imprese presso le quali le verifiche effettuate hanno portato ad accertare illeciti sono state in totale 98.255, con un tasso di irregolarità degli accertamenti definiti pari al 70% (+5% rispetto al 2017). A seguito dei controlli, sono state intercettate 162.932 posizioni di lavoratori irregolari e tra questi, sul fronte del contrasto del lavoro sommerso, 42.306 lavoratori in nero (pari al 26% del totale degli irregolari). Quindi, nelle realtà indagate, un quarto dei lavoratori irregolari è risultato totalmente in nero. Quasi la metà delle aziende irregolari scoperte aveva un lavoratore in nero.

Rispetto al caporalato le 7.160 ispezioni hanno evidenziato un tasso di irregolarità di circa il 54,79%, quindi superiore di oltre 4 punti percentuali rispetto al 2017 (50%). Dei 5.114 lavoratori irregolari riscontrati, 3.349 (65,5%) sono risultati in nero e, tra questi, 263 erano cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno. Ben 479 sono stati i provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale (+25% rispetto ai 360 del 2017), 404 dei quali (l’84%) sono stati poi revocati a seguito di intervenuta regolarizzazione.

Alberto Quattrocolo
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