Si riapre la Porta di Brandeburgo il 22 dicembre 1989

La questione tedesca è aperta fino a quando la porta di Brandeburgo resterà chiusa.
(Richard von Weizsäcker, sindaco di Berlino Ovest negli anni Ottanta)

Il 22 dicembre 1989, poco più di un mese dopo l’annuncio della riapertura delle frontiere tra le due Germanie divise dal Muro di Berlino, tornò ad aprirsi anche la Porta di Brandeburgo, che dal 13 agosto 1961 era isolata in una terra di nessuno: situata nel periodo della divisione immediatamente dietro la linea del confine, nel settore sovietico della città, si ergeva a ricordo e monito di una separazione, di due Germanie, di un’America e un’Unione Sovietica, di un capitalismo e un comunismo, di un Ovest e un Est, di una guerra fredda durata mezzo secolo.

Simbolo delle aspirazioni di una Germania unita, la Brandenburger Tor, l’ultima delle 18 porte che un tempo davano accesso a Berlino, in quel giorno d’inverno dell’89 richiamò centomila persone per celebrare l’evento della sua riapertura, quando il cancelliere della Germania dell’Ovest Helmut Kohl la attraversò per incontrare il primo ministro della Germania dell’Est Hans Modrow.

La storia del monumento è antica e il suo valore simbolico è cresciuto nel corso dei secoli. Alla fine del Settecento, quando la Prussia era al culmine della sua ascesa, la Porta di Brandeburgo si presentava come un piccolo posto di controllo, che non dava al viaggiatore l’idea di entrare nella capitale di uno dei maggiori poteri europei.

Fu Federico Guglielmo II a commissionare una nuova porta che non doveva chiudere la città, ma anzi aprirla sul viale Unter den Linden, che conduceva al palazzo prussiano. L’architetto Carl G. Langhans la fece costruire, tra il 1788 e 1791, secondo il modello della Propylaea, la porta dell’Acropoli di Atene; le 12 colonne doriche creano cinque passaggi: quello centrale originariamente era riservato soltanto ai reali, i due adiacenti erano riservati all’aristocrazia, mentre i due passaggi più esterni erano per i cittadini comuni.

La scultura che sormonta la porta, invece, fu progettata da Johann Gottfried Schadow nel 1793, con la statua della Vittoria alata alla guida di un carro tirato da quattro cavalli. Secondo alcune ricostruzioni, tuttavia, non era questo il progetto iniziale: la Porta di Brandeburgo, originariamente, avrebbe dovuto chiamarsi Friedenstor (Porta della Pace) perché simboleggiava un periodo di pace dopo i lunghi anni di guerra del regno di Federico il Grande; di conseguenza, la statua commissionata a Schadow non era quella della Nike, ma quella di Eirene, incarnazione greca della pace. Secondo alcuni storici, nella versione originale, la figura femminile era nuda o coperta solo da una tunica corta. Tanto il significato quanto la scelta dell’abbigliamento incontrarono aspre critiche, che spinsero gli architetti a modificare il proprio lavoro: al ramo di ulivo, simbolo della pace, si sostituì la lancia sormontata dall’alloro e la tunica si trasformò in una lunga veste.

Nel 1806, dopo avere sconfitto l’esercito prussiano, Napoleone entrò a Berlino e ordinò che la statua della Vittoria fosse spedita a Parigi e collocata sugli Champs-Elysées, ma già nel 1815, dopo Waterloo, il feldmaresciallo prussiano Gebhard Leberecht von Blücher entrò con le sue armate a Parigi e per prima cosa ordinò che la Vittoria fosse riportata a Berlino. A seguito di questo episodio, Napoleone si guadagnò il nomignolo dispregiativo di Pferdedieb (ladro di cavalli), mentre la Quadriga fu ribattezzata Retourkutsche, dal francese carrosse de retour, ovvero un particolare tipo di carrozza che poteva essere affittata per un viaggio di sola andata, a patto di pagare anche il costo del ritorno.

Quando la Quadriga tornò a Berlino per essere ricollocata in cima alla Porta di Brandeburgo, Friedrich Schinkel – uno dei più importanti architetti della città – praticò alcune aggiunte alla scultura, inserendo una croce di ferro, la più alta decorazione militare, e sormontando il tutto con l’aquila, simbolo della Prussia.

Da quel momento, la Porta divenne un luogo carico di simbolismo e ideologie. Dopo la vittoria nella guerra contro la Francia e l’unione della Germania nel 1871, l’imperialismo tedesco ne fece lo scenario preferito per innumerevoli parate militari. Al tempo della sconfitta rovinosa nella prima guerra mondiale, in molte città tedesche scoppiarono rivolte spontanee, con combattimenti strada per strada, e una delle prime cose che fecero i rivoluzionari a Berlino fu occupare la Porta di Brandeburgo. Tra il 1933 e il ’45 essa diventò palcoscenico per la propaganda nazista e recò a lungo lo striscione “Führer befiehl, wir folgen!” (Führer ordina, noi seguiamo!).

Nel 1945, quando la Germania firmò la capitolazione incondizionata, Berlino era un campo di macerie: tre anni di continui bombardamenti avevano annichilito la città, che fu divisa in quattro settori; la Porta di Brandeburgo, danneggiata ma non distrutta, ritornò ad avere la semplice funzione di separare due zone della città, in questo caso il settore britannico da quello sovietico.

Negli anni Cinquanta circa 2,5 milioni di tedeschi dell’Est abbandonarono la DDR. Per porre fine a questo “furto di persone da parte dell’Ovest” (soprattutto professionisti e lavoratori specializzati, e molte diserzioni dall’esercito), nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961 a Berlino Est fu avviata la costruzione di un muro attorno ai tre settori occidentali, trasformandoli in pratica in un’isola rinchiusa entro i territori orientali. La Germania Est sostenne che si trattava di un “muro di protezione antifascista” inteso a evitare un’aggressione dall’Ovest.

L’edificazione del Berliner Mauer iniziò proprio dalla Porta di Brandeburgo, divenuta zona sovietica. Sul lato occidentale di essa venne eretta una barriera di cemento armato; a molti metri di distanza, sul lato orientale, un altro muro coperto di filo spinato. Improvvisamente, la porta del XVIII secolo non si trovava più nel vivace centro cittadino, ma in una terra di nessuno piena di torri di controllo, fari di ricerca, allarmi e Volkspolizisten armati. Tutti gli altri edifici della “kill zone” (una striscia larga 10 metri con campi minati e apparecchi che sparavano automaticamente a chi voleva fuggire) vennero demoliti, ma la Porta era troppo imponente: semplicemente, fu resa inaccessibile, sia ai Berlinesi dell’ovest che a quelli dell’est.

Dopo quasi quattro decenni, nell’ottobre del 1989 anche nella DDR gli eventi precipitarono come nel resto dell’ex blocco orientale e, quando il Muro venne abbattuto, grandi folle dalla Germania Est e Ovest si radunarono attorno alla Porta di Brandeburgo per festeggiare.

Oggi una linea rossa ricorda la posizione in cui si trovava il muro.

Nel 1994, all’interno della Porta fu inaugurata una “stanza del silenzio”, per dare la possibilità a chiunque, indipendentemente dalla provenienza, dal colore, dall’ideologia, dalla religione e dalla condizione fisica, di entrare e soffermarsi in silenzio o semplicemente di staccarsi dallo scompiglio della metropoli, per riflettere, meditare, pregare in quel luogo storico pieno di ricordi tristi, ma anche di speranza. La stanza del silenzio costituisce un invito permanente alla tolleranza e alla fratellanza tra gli uomini e un’esortazione continua contro la violenza e il razzismo, un piccolo passo verso la pace.

La Porta di Brandeburgo, simbolo per decenni della divisione della città di Berlino e del mondo, con la caduta del Muro è diventata l’immagine di una speranza per un futuro pacifico in Germania e in Europa: la stanza del silenzio ha ripreso l’idea della Porta della Pace, corrispondendo così dopo due secoli al “genius loci” delle origini.

Silvia Boverini

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Fonti:
www.it.wikipedia.org; www.berlin.de/it; C. Mantegazza, “22 dicembre 1989: apertura della Porta di Brandeburgo”, www.ildialogodimonza.it; www.berlino.com; www.tourasticoberlino.com; www.viaggio-in-germania.de; A. Fiore, “La Porta di Brandeburgo e la statua della Vittoria: un simbolo dalla storia affascinante”, www.ilmitte.com; www.raistoria.rai.it; www.laborcare.it

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