Il rastrellamento del ghetto di Roma avvenne il 16 ottobre 1943

Il rastrellamento coinvolse il ghetto, ma non solo. Tutta la città fu setacciata dalla Gestapo, perché nemmeno un ebreo avrebbe dovuto salvarsi. Il tenente colonnello Kappler, comandante della polizia tedesca a Roma, dopo aver ricevuto due inequivocabili messaggi da Himmler, aveva provato a sostituire quelle centinaia di persone con 50 chili d’oro, ma non ottenne successo.

 

Il ministro dell’interno tedesco, infatti, essendo uno dei teorici della soluzione finale della questione ebraica, richiese l’immediata deportazione di qualunque persona di razza ebraica presente sul territorio. In tutta risposta, Kappler chiese il pagamento in oro al posto della deportazione, inviandolo direttamente a Berlino, unitamente alla proposta di usare gli ebrei romani come manodopera. Era il 28 settembre. Berlino rispose negativamente, pretendendo il rastrellamento della città. L’ultimo atto, prima del 16 ottobre, fu l’avviso, inviato ad Auschwitz, che un grosso contingente sarebbe arrivato di lì a qualche giorno.

Il Sabato nero, così ribattezzato in seguito, iniziò all’alba: più di 350 soldati tedeschi si sparpagliarono per la città, alla ricerca del proprio obiettivo, molto ben definito. Le Leggi razziali del 1938 si rivelarono infatti utilissime in questo frangente: le liste create di conseguenza servirono a raggiungere ciascun individuo, sempre che non avesse la fortuna di ricevere ospitalità da qualche vicino. Il Manifesto della razza (di cui abbiamo parlato in questo articolo) aveva raggiunto il suo scopo ultimo: l’affermazione della superiorità della razza ariana, che aveva potere di vita e di morte sulle altre.

Dunque, la retata. Di porta in porta, i tedeschi strapparono 1.259 persone ai loro letti, non risparmiando nemmeno i neonati, e li condussero all’allora Collegio militare. Lì rimasero per più di ventiquattr’ore, per dar modo di verificare l’identità di ciascuno. In 237 riuscirono a tornare a casa, non rispondendo ai requisiti nazisti. I rimanenti partirono da Tiburtina il 18 ottobre, in direzione Auschwitz. Dopo quattro giorni di viaggio in 18 carri bestiame, 2 morti e un giovane miracolosamente fuggito, arrivarono al campo di sterminio, che diede immediatamente conferma del suo nome: 820, insoddisfacenti sotto il profilo fisico, furono condotti nelle ‘docce’ appena arrivati. Gli altri furono smistati in diversi campi tedeschi.

Quindici uomini e una donna sopravvissero alla deportazione e al successivo internamento. Di questi, solo Lello Di Segni è attualmente vivo per poterlo raccontare. La sua testimonianza, unitamente a quelle di alcuni suoi compagni di sventura, è stata raccolta ne Il libro della Shoah italiana.

Alessio Gaggero

 

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