Il Political Conflict Management: Ascolto (Politico) e Mediazione

Tra le molteplici possibilità e modalità di gestione dei conflitti inerenti ai rapporti interni alla sfera della politica strettamente intesa e a quelli tra politica e società, vi è anche quello proposto in questo blog: il Political Conflict Management, che è strutturato sulle caratteristiche e sulle dinamiche maggiormente ricorrenti del conflitto e della sua escalation, ma, attento com’è alle motivazioni esplicite e implicite delle parti e alloro ascolto e riconoscimento, presenta particolari capacità di adattamento alle specifiche, concrete, vicende conflittuali che la realtà di volta in volta propone.

A suo fondamento si colloca, infatti, il modello dell’intervento di Ascolto e Mediazione dei Conflitti, elaborato da Me.Dia.Re. e da essa proposto in molteplici ambiti istituzionali (penale, sanitario e lavorativo, oltre a quello della conflittualità interna alla famiglia), la cui impalcatura di fondo ne fa qualcosa di diverso tanto da un semplice modus operandi, quanto da un percorso rigidamente articolato, rendendolo, invece, uno strumento adattato alla realtà concreta con cui ci trova a confronto.

L’attività di Ascolto e Mediazione non si riduce, infatti, ad un percorso di natura squisitamente negoziale-conciliativo, poiché:

  • oltre all’attenzione agli interessi coinvolti, tiene nel dovuto conto anche gli aspetti emotivi, affettivi, relazionali, di principio, valoriali e simbolici sottesi o esplicitamente presenti nel rapporto conflittuale
  • si presta ad essere applicata sia allorché le parti sono almeno formalmente disponibili alla trattativa, al pari dei primi modelli mediativi (quello harvardiano di Fischer e Ury, in primis), sia nelle situazioni in cui tale disponibilità non è ravvisabile.

Non è configurabile neppure come mera applicazione del modello Umanistico di mediazione dei conflitti (come quello elaborato da Jacqueline Morineau o, in altro ambito, da Bush e Folger), di cui pure fa propria l’attenzione alle componenti cosiddette irrazionali (emozioni, sentimenti, principi…), poiché l’attività di Ascolto e Mediazione, a differenza di tale modello, per poter essere operativamente dispiegata non presuppone la presenza nelle parti:

  • della volontà di partecipare ad un confronto regolato e condotto in vista di un fine specifico di particolare profondità personale e relazionale, che presuppone l’attraversamento da parte dei protagonisti del conflitto di fasi catartiche
  •  della disponibilità di fondo a pervenire ad esiti profondamente trasformativi di sé e della relazione.

Il Political Conflict Management, dunque, non solo non elude, ma valorizza la consapevolezza circa la presenza di elementi, spesso connaturati al conflitto, che ne fanno una materia delicata e complessa da trattare:

  • l’indicibilità di alcuni interessi perseguiti o di talune strategie disegnate o celatamente messe in atto
  • la potente rigidità delle contrapposizioni e la sua incidenza condizionante sul piano cognitivo e comportamentale
  • il fastidio nutrito dalle parti verso le sollecitazioni di terzi ad un’auto-osservazione e/o all’autodisciplina
  • l’indisponibilità sostanziale delle parti a mettersi nei panni dell’altro
  • la convinzione di fondo presente in tutte le parti di essere dalla parte della ragione o ameno del minor torto, accompagnata o sorretta da potenti meccanismi di giustificazione della propria condotta, non dissimili da quelli rinvenuti in ambito criminologico circa le modalità di autolegittimazione del reo rispetto al proprio comportamento illecito
  • l’incidenza che hanno emozioni e sentimenti forti quali la sfiducia, il disgusto, la rabbia, il bisogno di far pagare il pegno di un tradimento, la risolutezza nel non darsi per vinti, la paura di perdere la faccia, la convinzione di condurre una lotta carica di valore etico e sociale, l’odio
  • il sospetto con cui le parti guardano alle, magari timide, aperture di una di esse.

Il Political Conflict Management, infatti, si presta ad essere declinato anche in presenza di prese di posizione irremovibili, vertendo non sull’intenzione o sul bisogno inconsapevole di mediare delle parti, sulla loro disponibilità a mettersi in discussione, ecc., ma sulle loro necessità o aspettative di riconoscimento e sull’accoglimento e/o legittimazione di differenti altre istanze di cui sono portatrici.

Dunque, nelle situazioni in cui si pensi che dalla immutata prosecuzione del conflitto si abbia più da perdere che da guadagnare, oppure allorché si ritenga che, per conseguire il successo inseguito, le modalità e le risorse fin lì impiegate si siano mostrate inadeguate, oppure quando si profili l’ipotesi che sia meritevole di sforzo il tentativo di ridurne i costi di varia natura implicati, la risorsa del Political Conflict Management è disponibile: infatti, è declinabile efficacemente anche quando la/e controparte/i non mostri/ino alcuna propensione ad approdare ad una più mite modalità di confronto dialettico.

 

Alberto Quattrocolo