Politica e antipolitica. Politica dell’antipolitica. Antipolitica della politica. Cioè: la tendenza del conflitto politico ad uniformare i modi di acquisizione del consenso sul registro dei pregiudizi antipolitici.

Angelo Panebianco sul Corriere della Sera aveva scritto mesi fa un articolo dal titolo La cattiva coscienza della nostra politica nella cui apertura si leggeva: «I tentativi della politica di rintuzzare la sfida dell’antipolitica sono fiacchi, controproducenti, spesso corrivi, culturalmente subalterni al nemico. Come quando, ad esempio, a proposito della riforma costituzionale, si liscia il pelo al gatto dell’antipolitica presentando come una delle virtù principali della riforma la riduzione del numero dei parlamentari e dei costi della politica, un aspetto secondario rispetto a quelli che davvero contano: fine del bicameralismo paritario, indebolimento dei (oggi fortissimi) poteri di veto, maggiore stabilità e maggiore capacità decisionale dei governi».

Oltre all’interpretazione fornita da Panebianco, ci pare che possa proporsi anche un’altra chiave di lettura.

Una delle tendenze dei conflitti che si sviluppano pubblicamente è quello di indurre le parti ad adottare quegli atteggiamenti delle controparti che paiono avere maggiore successo nella riscossione di un’approvazione diffusa presso i terzi e che sembrano efficaci nel trasformarli da avversi o imparziali in simpatizzanti più o meno entusiasti ed attivi.

Nel conflitto politico anche tale dimensione è tutt’altro che rara. Né si può dire che sia propria soltanto degli ultimi anni del secondo millennio. Già ai tempi di Tangentopoli, al tramonto della Prima Repubblica, se n’era visto dispiegare l’effetto in un’area non trascurabile degli schieramenti politici: quelli presenti sulla scena da tempo e quelli che si affacciavano alla ribalta politica in quel periodo. Per gli ultraquarantenni, infatti, può non essere difficile rammentare le proteste in sede parlamentare che riecheggiavano comportamenti di cittadini comuni, quali quello del lancio delle monetine contro Bettino Craxi all’Hotel Raphael il 30 aprile del 1993.

Ancora oggi, come già accadde con l’affermazione di De Gaulle, Reagan e poi di Berlusconi, secondo quanto sostiene Donatella Campus (in L’antipolitica al governo. De Gaulle, Reagan, Berlusconi), tale tendenza spesso si concretizza in una rincorsa al consenso sul terreno dell’insofferenza di una parte rilevante dell’elettorato verso la categoria dei politici. Non tanto paradossalmente capita, allora, che forze politiche contrapposte, nel combattersi, utilizzino gli stessi argomenti. Cioè, quelli che paiono essere di sicuro successo e che, sia pure declinati con stili e sfumature differenti, invariabilmente rinviano alla diffidenza, al sospetto e alla rabbia verso i politici in quanto tali. I politici tout-court.

La differenza dell’attuale sviluppo del conflitto politico rispetto agli esempi citati dalla Campus pare, però, consistere soprattutto nella tendenza di molte, se non tutte, le parti politiche a proporsi con modalità comunicative e proposte tese a stimolare il credito in chi nutre sentimenti antipolitici. Ingaggiate in una lotta contrassegnata da costanti tentativi di delegittimazione reciproca, si trovano costrette a proporre all’elettorato, di cui cercano di riscuotere l’approvazione e la fiducia, argomenti che paiono essere di sicura presa.

In particolare, non è raro che oggi si sviluppi una gara per convincere il pubblico sulla propria autentica ed esclusiva detenzione di una genuina natura anti-politica, esplicitando che si intende risollevare la fiducia dei cittadini verso la politica, la politica buona, che funziona, che non ruba e non inganna, che non crea i problemi e le ingiustizie ma li sa risolvere, cioè la propria politica – un esempio in tal senso era individuato sul Corriere della Sera da Giovanni Belardelli in merito agli slogan sui manifesti per il Sì sul Referendum costituzionale.

Non è detto, però, che l’effetto cercato si realizzi. Non solo può registrarsi lo scacco di chi appare meno convincente nel proporre tali argomenti (il che è più facile che accada a chi è al governo della Città, della Regione o del Paese), ma è anche possibile che lo scacco sia di tutte le parti in gioco. È possibile, cioè, che si diffonda un clima emotivo tale per cui a prodursi non è tanto il radicarsi e diffondersi di un sentimento di fiducia nella nuova politica rappresentata dal vincitore di tale competizione, quanto semmai un diffuso tasso di maggior sfiducia verso la parte sconfitta e uno minore verso l’altra. In breve, la delegittimazione dell’altro, proposta per ottenere la propria legittimazione, produce, invece, le premesse di una comune delegittimazione agli occhi dei cittadini.

Inoltre, non andrebbe escluso un altro effetto: tale tipologia di comportamento conflittuale, essendo sostanzialmente teso a compiacere e lusingare l’elettorato, non lo aiuta a svolgere un’autocritica in ordine alle scelte politiche precedentemente compiute. Così, di fatto, si esentano i cittadini dall’assumersi la loro quota di responsabilità per aver concorso a produrre, con le loro richieste o con il loro favore, proprio quelle politiche (economiche, sociali, sanitarie, di ordine pubblico, ecc.), verso cui oggi nutrono disapprovazione e rancore.

In conclusione: invece, di creare una condizione relazionale tra rappresentanti e rappresentati di tipo adulto, si trattano i secondi come se fossero clienti “che hanno sempre ragione”, come se avessero avuto ragione, prima, quando sostenevano una determinata tesi politica, e continuassero ad averla pochi anni o mesi dopo, quando plaudono a chi afferma la tesi opposta.

Secondo Andrea Zhok, su l’Espresso del 15/01/2017, sarebbe questo uno dei modi di porsi dei partiti populisti (Populisti figli nostri).

Senza volere entrare nel discorso sul populismo, ma limitandoci alla prospettiva del conflitto, parrebbe proprio che anche in quello politico la ricerca di una legittimazione di sé, tentata dalle parti coinvolte, possa, spesso, dare luogo all’esatto contrario, non diversamente da quanto sovente accade nei conflitti che interessano la vita di tutti i giorni.

 

Alberto Quattrocolo

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