Placido Rizzotto: «I nostri nemici non sono i padroni, ma noi stessi»

Il 10 marzo del 1948 finì la vita del trentaquattrenne Placido Rizzotto. Era stato uno dei tanti sindacalisti e dei tanti militanti e politici di sinistra uccisi dalla mafia. E come gli altri, anch’egli, interpretando l’attività politica e sindacale come un servizio alla comunità, e in particolare per l’attuazione dei principi della Costituzione appena entrata in vigore, non poteva che opporsi ad una società divisa fra padroni e schiavi. Quindi, per Rizzotto l’impegno politico e sindacale era una lotta contro ogni forma di autoritarismo. Contro il fascismo – e lo combatté come partigiano nella brigata Garibaldi. E contro la mafia, che, a differenza dei repubblichini e dei nazisti, riuscì a ad ucciderlo.

Una vita difficile

Aveva 34 anni, Placido Rizzotto. E ne aveva già vissute tante di esperienze da bastare a riempire di significati e ricordi un paio di esistenze apprezzabilmente longeve. Aveva sei fratelli più giovani ed aveva perso la madre quando era ancora bambino. Il padre poi era stato arrestato con l’accusa di essere un mafioso. Così aveva dovuto abbandonare la strada per provvedere ai fratellini. Quando Mussolini scaraventò l’Italia nel macello della Seconda Guerra Mondiale al fianco della Germania hitleriana, Placido Rizzotto venne arruolato nell’esercito. Fu sbattuto in Friuli Venezia Giulia, nella Carnia. Divenuto sergente, quando, l’8 settembre del ’43, quarantaquattro giorni dopo la caduta di Mussolini, fu annunciato l’armistizio tra l’Italia e le forze angloamericane, si unì ai partigiani della brigata Garibaldi, contro la neonata Repubblica di Salò. Finita la guerra, non si congedò dalla lotta. Tornato in Sicilia, trasformò la sua battaglia in impegno culturale, sociale e politico. Tenendo sempre integrate queste tre dimensioni, divenne, infatti, dapprima Presidente dei reduci e combattenti dell’ANPI (Associazione Nazionale dei Partigiani d’Italia) di Palermo, poi si iscrisse al Partito Socialista Italiano e, infine, divenne sindacalista della CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro).

La lotta per le terre ai contadini e contro il padrone che è dentro di noi

All’epoca, il capo della cosca corleonese di Cosa nostra era Michele Navarra. Un medico, ma non un medico qualsiasi. Era il direttore dell’ospedale di Corleone. E non poteva tollerare che quel sindacalista socialista corleonese aprisse gli occhi ai contadini, sfruttati ed emarginati. Ancora meno la mafia poteva sopportare che Placido Rizzotto li aiutasse a trovare le terre incolte da occupare, in conformità al decreto Gullo, in virtù del quale era stabilito l’obbligo per i proprietari terrieri di cedere alle cooperative dei contadini le terre abbandonate o mal coltivate.

Contro Cosa Nostra e «contro il nemico che è in no

 Michele Navarra, più volte, tramite i suoi affiliati minacciò Placido Rizzotto, senza, però, riuscire a farlo desistere. Ad aumentare l’ostilità verso il segretario della CGIL di Corleone concorse, poi, il fatto che, in applicazione della suddetta normativa, vennero tolte delle proprietà a Luciano Liggio, affiliato di Navarra e già conosciuto per la sua natura efferata. Inoltre, un giorno scoppiò una rissa avvenuta fra ex partigiani e affiliati del boss corleonese. In tale scontro Liggio fu pubblicamente umiliato da Placido Rizzotto. Tuttavia non si svolgeva soltanto sul piano dello scontro aperto contro il nemico, la battaglia di Placido Rizzotto contro la criminalità mafiosa e contro il latifondo. Come altri Rizzotto sapeva che il popolo avrebbe potuto essere libero, che la vera democrazia, il progresso e la giustizia avrebbero trovato compimento, soltanto se tutti avessero riconosciuto le catene da cui erano avviluppati. Più di ogni altra cosa, forse, Placido Rizzotto e con lui tanti altri (sindacalisti, giornalisti, politici, magistrati, poliziotti, imprenditori, ecc.), ci hanno testimoniato una salutare quanto scomoda verità, cioè che, come egli sostenne:

«I nostri nemici non sono i padroni, ma noi stessi. Non si nasce schiavi o padroni, lo si diventa».

Un lungo elenco di sindacalisti ammazzati

Placido Rizzotto era ben conscio dei rischi che correva, visto che neanche un anno prima, il 1° maggio del 1947, c’era stata la strage di Portella delle Ginestre. Il due marzo del 1948 (appena 8 giorni prima che Rizzotto venisse ammazzato), in contrada «Raffo» (Petralia Soprana), sulle Madonie, il capolega della Federterra, Epifanio Li Puma, mezzadro e socialista, era stato assassinato. Placido Rizzotto, come chiunque altro in Sicilia sapeva che mettersi contro la mafia, voleva dire giocarsi la pelle. Come lo sapeva del resto Calogero Cangelosi, anch’egli socialista, segretario della Camera del lavoro, ucciso alcune settimane dopo Rizzotto, il 15 aprile. Cioè tre giorni prima delle elezioni politiche per il rinnovo dei due rami del Parlamento. Ma, se ci si limita a calcolare il numero di coloro che nel movimento contadino e operaio, dal 1911 al 1948, furono uccisi da Cosa Nostra prima di Rizzotto, si arriva a più di trenta (e non sono incluse le vittime di Portella delle Ginestre). E, di questi trenta, più di venti, tra sindacalisti, militanti e politici di sinistra (socialisti e comunisti), furono trucidati dopo la liberazione della Sicilia dalle truppe nazifasciste (in nota se ne riporta l’elenco [1]).

Placido Rizzotto e gli altri in guerra contro la schiavitù

Placido Rizzotto, reduce e partigiano, quindi era più che consapevole del fatto che quella che andava ad intraprendere era una vera e propria guerra, con tanti caduti e tantissime forme di violenza a cui fare fronte. Minacce velate, pressioni su famigliari e amici, ricatti nascosti sotto la forma di suggerimenti, lusinghe e tentativi vari di corruzione morale, delegittimazioni sul piano politico e morale… E poi la violenza esplicita, che serviva, e serve ancora, a rendere pesanti e potenzialmente efficaci le altre, subdole, forme di violenza. Così, Placido Rizzotto, che, come partigiano, nel settentrione d’Italia, in nome della vita, della libertà, della democrazia e della giustizia, aveva lottato contro chi aveva calpestato ogni senso di umanità e ogni diritto, a Corleone, combatteva un nemico non tanto dissimile. Un nemico, appoggiato da alleati potentissimi. Un nemico che non credeva nell’umanità, ma nella sua negazione, e che usava la violenza per esercitare il suo dominio più totale sulla società e sulla psiche delle persone. Un nemico la cui violenza, agiva sotterranea  nel quotidiano e che si palesava con frequenti sprazzi efferati, anche attraverso gli assalti alle Camere del lavoro, le intimidazioni e i pestaggi dei suoi dirigenti. E gli omicidi [2].

La sera del 10 marzo 1948 a Corleone

La sera del 10 marzo 1948 toccò a Placido Rizzotto. Un gruppo di persone, lo circondò in strada a Corleone, caricandolo a forza sulla 1100 di Luciano Liggio, che guidava la spedizione omicida.  Dopo averlo fatto scendere in una fattoria di Contrada Malvello, lo picchiarono a sangue e gli fracassarono il cranio. Poi buttarono il corpo all’interno di una buca in contrada Rocca Busambra nei pressi di Corleone. Nel 2005 un testimone, all’epoca ventenne, raccontò a Dino Paternostro de “La Sicilia” di aver visto il sequestro di Placido Rizzotto.

«Sì, ho visto con i miei occhi il sequestro di Placido Rizzotto, la sera di quel 10 marzo 1948, ero un ragazzo di appena vent’anni. Stavo percorrendo via Bentivegna per tornare a casa, ero arrivato all’altezza di via San Leonardo, proprio davanti alla chiesa, quando vidi alcune persone che discutevano animatamente, quasi litigando. Tra queste, riconobbi Rizzotto, lo sentii urlare “Adesso basta, lasciatemi andare!”. Ma quelli non lo lasciarono andare. Anzi, l’afferrarono a forza e lo trascinarono dentro una macchina scura col motore già acceso. Allungai il passo, spaventato, rientrai a casa e non dissi niente a nessuno, nemmeno a mio padre. Questa è la prima volta che parlo di quella sera, di quella terribile sera di marzo, in cui sparì il segretario della Camera del lavoro […] La gente penserà che sono stato un vigliacco, e forse lo sono stato davvero. Allora, però, personaggi come Luciano Liggio e i suoi “compari” tenevano nel terrore tutti i corleonesi. Ed io avevo solo vent’anni…»

Le indagini sulla scomparsa di Placido Rizzotto

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Sarà il capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa ad indagare sul delitto. La sua indagine porterà all’incriminazione di Luciano Liggio, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura. Costoro, però, alla fine del 1952, verranno assolti per insufficienza di prove.

L’iniezione letale che azzittì per sempre il giovanissimo Giuseppe Letizia

Un altro testimone oculare – oltre al ventenne che si fece avanti, poi, solo nel 2005 -, aveva assistito a quanto accaduto quel 10 marzo del ’48. E aveva visto in faccia gli assassini. Il pastorello Giuseppe Letizia badava al gregge quella sera vicino al cascinale in cui era stato portato Placido Rizzotto. Il giorno dopo, il ragazzo era talmente sconvolto, da essere in preda al delirio. Il padre decise di portarlo all’ospedale di Corleone. Sì, proprio quello in cui prestava servizio e che dirigeva il mafioso Navarra. Qui, due giorni dopo, Giuseppe Letizia morì per tossicosi. Gli era stata somministrata una dose di veleno.

Le ritrattazioni dei rei confessi

Le indagini, comunque, avevano condotto all’arresto dei due esecutori dell’omicidio, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura. Costoro ammisero di aver rapito Placido Rizzotto insieme a Liggio, il quale aveva fatto sparire il corpo di Placido Rizzotto nella foiba. In seguito, però, Criscione e Collura ritrattarono la confessione e in sede processuale furono assolti per insufficienza di prove.

Il ritrovamento e l’identificazione dei resti di Placido Rizzotto

Il 7 settembre 2009, i resti del cadavere di Placido Rizzotto furono recuperati. Il 9 marzo del 2012, grazie alla comparazione con il campione di DNA del padre (preso dalla riesumazione del corpo per l’occasione), furono riconosciuti scientificamente come appartenenti a lui. Il 16 marzo 2012, il Consiglio dei ministri, presieduto da Mario Monti, su sua proposta decise che per Placido Rizzotto andavano celebrati i Funerali di Stato. Nella nota di Palazzo Chigi fu comunicata «l’assunzione a carico dello Stato delle spese per i funerali del sindacalista Placido Rizzotto, figura emblematica della lotta contro la mafia». La cerimonia si svolse, a Corleone, il 24 maggio 2012, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Alberto Quattrocolo

[1] Andrea Raia (05/08/1944), che a Casteldaccia (Pa) si ribellava alla mafia in nome dei diritti dei contadini. Nunzio Passafiume (07/06/1945), sindacalista che lottava per l’occupazione delle terre in mano alla mafia. Agostino D’Alessandro (11/09/1945), segretario della Camera del lavoro di Ficarazzi (Pa). Giuseppe Scalia (25/11/1945), segretario della Camera del lavoro di Cattolica Eraclea (Ag). Giuseppe Puntarello (04/12/1945), dirigente della Camera del lavoro di Ventimiglia di Sicilia (Pa). Gaetano Guarino (16/05/1946), sindaco socialista di Favara e fondatore di una cooperativa agricola. Pino Camilleri (28/06/1946), sindaco socialista di Naro e organizzatore delle lotte contadine. Girolamo Scaccia e Giovanni Castiglione (22/09/1946), entrambi contadini ad Alia, in provincia di Palermo, uccisi nel corso di un attentato alla Camera del lavoro. Giovanni Severino (25/11/1946), segretario della Camera del lavoro di Jappolo Giancaxio (Ag). Filippo Forno (29/11/1946), contadino e sindacalista di Comitini (Ag). Nicolò Azoti (23/12/1946), segretario della Camera del lavoro di Baucina (Pa). Accursio Miraglia (04/01/1947), segretario della Camera del lavoro di Sciacca (Ag). Pietro Macchiarella (17/01/1947), militante del Partito comunista, impegnato nelle lotte contadine. Nunzio Sansone (13/02/1947), militante comunista, impegnato nella lotta per la riforma agraria, a Villabate, in provincia di Palermo. Leonardo Salvia (13/02/1947), impegnato nelle lotte contadine a Partinico (Pa). Michelangelo Salvia (09/05/1947), dirigente della Camera del lavoro di Partinico (Pa). Giuseppe Casarrubea e Vincenzo Lojacono (22/06/1947) militante sindacale, uccisi nell’attacco alla sede della Camera del lavoro di Partinico, sede anche del Partito comunista italiano, sezione “Antonio Gramsci”. Giuseppe Maniaci (25/10/1947), segretario della Confederterra di Terrasini (Pa). Vito Pipitone (08/11/1947), dirigente delle cooperative dei contadini riunite nella Confederterra di Marsala (Tp). Epifanio Li Puma (02/03/1948), dirigente del movimento contadino per l’occupazione delle terre incolte. L’elenco completo è rinvenibile su https://www.rassegna.it/articoli/1911-1982-la-spoon-river-dei-dirigenti-sindacali-uccisi

[2] Ricorda Emanuele Macaluso che «le intimidazioni, quando non addirittura gli atti terroristici contro il movimento sindacale e i suoi leader erano cominciati con l’attentato del 16 settembre ’44 a Girolamo Li Causi, all’epoca segretario del Pci siciliano, avvenuto durante un comizio a Villalba. Quel giorno io mi salvai per miracolo: ero al suo fianco e ricordo per filo e per segno gli attimi che fecero seguito alla sparatoria scatenata dagli uomini di don Calogero Vizzini, dove risultarono ferite 14 persone e in occasione della quale lo stesso Li Causi fu colpito a una gamba, un fatto che lo renderà claudicante per il resto della sua vita».

Fonti

Marta Bigolin, Placido Rizzotto. L’omicidio del sindacalista di Corleone, 10 marzo 2018, su www.cosavostra.it

Ilaria Romeo, Corleone, 70 anni fa. L’uccisione di Placido Rizzotto è una ferita ancora aperta, 8 marzo 2018, su www.strisciarossa.it

Dino Paternostro, Quella sera vidi gli assassini di Rizzotto, in «La Sicilia», 6 marzo 2005

www.cosavostra.i

www.placidorizzotto.it

www.rassegna.it

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