04/09/17. Pini (Lega): Credere che Regeni sia stato inviato in Egitto per studiare […] non ci crede la gente comune né gli addetti ai lavori

Le parole che danno il titolo all’articolo di oggi sono state pronunciate esattamente tre anni fa da Gianluca Pini, deputato leghista della precedente legislatura. Durante il suo intervento, all’interno del dibattito sulla morte di Giulio Regeni nelle Commissioni parlamentari Affari Esteri, il parlamentare del Carroccio non solo adombrava, presumibilmente, l’ipotesi di un coinvolgimento del giovane dottorando con i servizi segreti, ma aggiungeva:

“Intitolare i Giochi del Mediterraneo a Regeni è folle. Prima vogliamo la verità, non vorremmo poi essere costretti a togliere qualche lapide […] Noi, contrariamente a qualche attore o regista di sinistra caduto in disgrazia che in queste ore fa le passerelle a Venezia, non consideriamo Regeni un eroe, ma semmai una vittima di un gioco più grande di lui”.

In quello stesso mese di settembre 2017 il legale egiziano che seguiva il caso per conto della famiglia, Ibrahim Metwaly, vie incarcerato in Egitto con l’accusa di voler sovvertire il governo Al Sisi.

A due anni di distanza, siamo ancora lontani dall’avere in mano delle prove servibili sullo svolgimento dei fatti inerenti al rapimento, alle torture e all’omicidio subiti da Giulio.

Rapito il 25 gennaio 2016, durante il periodo di dottorato che stava svolgendo in Egitto, ne fu ritrovato il corpo, il 3 febbraio, che presentava evidenti segni di tortura. Da quel momento in poi, la protagonista è stata la reticenza del governo egiziano rispetto ai risultati delle indagini, nonché la scarsa collaborazione offerta ai rappresentanti italiani. Giulio Regeni non ha ancora trovato pace.

Da quell’intervento in Commissione, la Lega è passata dall’opposizione al governo. Ripercorriamo le vicende svoltesi dal giugno del 2018.

Il 13 giugno scorso, Salvini fa delle affermazioni che incrinano la già labile sicurezza offerta dallo Stato italiano nella ricerca della verità:

“[…] comprendo bene la richiesta di giustizia della famiglia di Giulio Regeni. Ma per noi, l’Italia, è fondamentale avere buone relazioni con un Paese importante come l’Egitto”.

Amnesty International, il cui striscione campeggia su numerosi palazzi delle istituzioni, italiani ed esteri (comuni, regioni, università per dirne alcuni), risponde al Ministro dell’interno:

“Da una parte, Salvini ritiene che la richiesta di giustizia sia un’esclusiva della famiglia di Giulio e non invece di tutta l’Italia, essendo in gioco la democrazia del nostro paese. E dall’altra, passa su un Regime dove ogni giorno spariscono due persone, proprio com’è accaduto a Giulio, e dove tengono in carcere persone come Amal Fathy, moglie del consulente legale della famiglia Regeni al Cairo, Mohammed Lotfy, in carcere da settimane con accuse gravissime e assolutamente non provate”.

Esattamente un mese dopo, il 13 luglio, il Presidente della Camera Fico, il Ministro degli esteri Moavero Milanesi e il premier Conte incontrano Claudio e Paola Regeni, i genitori senza più un figlio. Le dichiarazioni vanno in senso nettamente contrario: si farà di tutto per cercare di far scaturire la verità, che non sarà solo per i genitori, ma per tutto il paese; per questo lo Stato ha l’obbligo di cercarla.

Passano poi pochi giorni, cinque per l’esattezza, ed è lo stesso Matteo Salvini a tornare sotto i riflettori del teatro egiziano: incontra, al Cairo, il presidente Al-Sisi e il ministro omologo Ghaffar, che gli assicurano la piena volontà di fare chiarezza sulla vicenda, portando a termine le indagini. È il primo Ministro a posare il piede in Egitto dall’aprile 2016, quando il Governo Renzi richiamò l’ambasciatore.

Dobbiamo aspettare il 5 agosto perché un altro componente dell’Esecutivo si presenti nuovamente da Al-Sisi: il già citato Moavero Milanesi, tra i vari argomenti, affronti anche quello relativo all’omicidio del giovane ricercatore. Anche in questo caso sono confermate la ferma volontà di chiudere la vicenda e la disponibilità a cooperare in modo trasparente.

Arriviamo, quindi, ad un anno fa: è il 29 agosto 2018, e il protagonista, questa volta, è l’altro Vicepresidente del Consiglio, Di Maio. Anche lui in viaggio al Cairo, incontra Al-Sisi, ma, diversamente dalle dichiarazioni dei suoi predecessori, scatena una dura polemica. Secondo il Ministro del lavoro, il Presidente egiziano avrebbe detto che Regeni è “uno di noi”, frase,che, però, è ritenuta da molti offensiva verso la famiglia Regeni e verso lo stesso Giulio, considerato il presunto coinvolgimento dei servizi egiziani.

Del resto, c’è anche la vicenda di Amal Fathy a gettare ombre ulteriori sul caso.

Il 18 dicembre dello scorso anno, in effetti, la corte d’Assise del Cairo ha ordinato la scarcerazione e la sottomissione al regime della libertà controllata della sopracitata Amal Fathy: l’attivista era stata condannata a due anni di carcere per aver condiviso su internet un video in cui accusava il governo di non difendere i diritti delle donne che hanno subito molestie sessuali. Fathy è la moglie di Mohamed Lofty, direttore della Commissione egiziana per i diritti umani e consulente della famiglia di Giulio Regeni. Era in custodia cautelare in carcere da maggio. Lei, il marito e il loro figlio di tre anni erano stati arrestati, nella loro abitazione, all’alba dell’11 maggio, dalle forze di sicurezza. Lotfy e il bambino, che hanno anche passaporto svizzero, erano stati rilasciati poche ore dopo. Le accuse contro Amal Fathy non erano collegate al caso Regeni, in quanto a fine settembre era stata condannata per aver denunciato, in un video pubblicato su Facebook, le molestie sessuali da lei subite e per aver criticato il governo per il mancato contrasto alla violenza di genere. Nel video non c’erano tracce di incitamento alla ribellione violenta contro il governo egiziano. Altrettanto pretestuosa e fasulla pare essere la seconda inchiesta in cui era coinvolta: “appartenenza a un gruppo terroristico“, “diffusione di notizie false e dicerie per danneggiare la sicurezza pubblica e gli interessi nazionali” e “uso di Internet per istigare a compiere atti di terrorismo”. Il 30 dicembre la Corte d’appello egiziana ha confermato la condanna a due anni di carcere inflitta a fine settembre. Amal, nei sette mesi di detenzione preventiva, aveva perso circa 20 chili di peso.

Il 25 gennaio 2019 in numerose piazze d’Italia si svolgono delle fiaccolate in memoria di Giulio Regeni. A Fiumicello si celebra la commemorazione con i genitori e il presidente della Camera Roberto Fico.

Il 20 giugno, Massimiliano  Fedriga, il presidente della regione Friuli Venezia Giulia, ha deciso di fare rimuovere in modo permanente lo striscione. Nello stesso periodo alti esponenti egiziani rilanciano la tesi dell’omicidio di criminalità comune e giungono notizie dall’Egitto sulla repressione ai danni di avvocati e difensori dei diritti umani che collaborano alla ricerca della verità.

A fine aprile, la Camera dei deputati aveva approvato l’istituzione di una Commissione monocamerale di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. In favore avevano votato tutti i gruppi tranne Forza Italia, che si era astenuta, dopo la bocciatura di un proprio emendamento. I sì erano stati 379, gli astenuti 54.

Agli inizi di maggio un funzionario dell’intelligence egiziana racconta a un collega straniero, nel corso di una riunione di poliziotti africani avvenuta nell’estate 2017, di aver preso parte al sequestro del giovane ricercatore italiano.

Credevamo che fosse una spia inglese, lo abbiamo preso, io sono andato e dopo averlo caricato in macchina abbiamo dovuto picchiarlo. Io stesso l’ho colpito più volte al volto”, avrebbe riferito l’agente egiziano.

A rivelare questa conversazione, si legge sui giornali, è stata una persona che ha assistito alla conversazione, la quale la riferisce agli avvocati e ai consulenti della famiglia Regeni, coordinati dall’avvocato Alessandra Ballerini. Costoro, a loro volta, mettono questa testimonianza a disposizione della Procura di Roma che indaga sul caso. Il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, e il sostituto Sergio Colaiocco considerano la testimonianza così attendibile, da inoltrare al Cairo una nuova rogatoria.

Alessio Gaggero e Alberto Quattrocolo

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