Odio razziale e linciaggio a Duluth

Il Minnesota di 100 anni fa non era uno Stato caratterizzato dal razzismo e ancora meno dalla pratica del linciaggio.  Il Minneapolis Journal scrisse che quel linciaggio aveva sparso «una macchia sul nome del Minnesota» e che «l‘improvviso, ardente, odio razziale, che è la vergogna del Sud, può anche verificarsi, come ora impariamo con amarezza e umiliazione, nel Minnesota». 

Il Minnesota dalla prosperità alla crisi economico-occupazionale dopo la fine della Prima Guerra Mondiale

Dal Minnesota, il più settentrionale degli Stati degli Stati Uniti d’America, dopo l’Alaska, durante la Guerra di Secessione, erano partiti più di 20.000 uomini per combattere  tra le file dell’esercito dell’Unione contro le armate confederate, cioè contro il Sud schiavista. Dopo la fine della Guerra di Secessione, grazie all’espansione della ferrovia ed allo sfruttamento delle terre per la coltivazione estensiva di grano, sorse la necessità d’importare manodopera. Così, tra 1870 e 1890 arrivarono in questa regione moltissimi europei, soprattutto, ma non solo, scandinavi. Negli anni Ottanta e Novanta del 1800 il Minnesota aveva conosciuto un’altra notevole crescita economica, essendo divenuto il maggior produttore di minerale di ferro degli Stati Uniti. Questa tendenza economica espansiva si era ulteriormente impennata con l’entrata degli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale, che avevo resa necessaria una maggiore estrazione di materie prime minerali e un maggiore fabbisogno di prodotti agricoli. Finita la guerra, l’11 novembre del 1918, per il Minnesota le cose cambiarono. La produzione, i consumi, i risparmi e l’occupazione iniziarono a calare.

L’immigrazione di braccianti afro-statunitensi dal Sud degli Stati Uniti

Già durante e la guerra, molti afro-statunitensi erano emigrati al Nord e nel Midwest, dagli Stati del Sud, dove era loro preclusa ogni possibilità di emancipazione e di miglioramento della penosa condizione in cui erano costretti. Cercavano lavoro. Cercavano un’opportunità di vita che fosse degna di questo nome. La popolazione prevalentemente bianca del Minnesota, poco per volta, però, iniziò a percepire i migranti neri del Sud come una forma di concorrenza pericolosa, una presenza che indeboliva la loro posizione negoziale con i datori di lavoro, specie rispetto alle questioni salariali. A ciò aveva dato un certo contributo la U.S. Steel (United States Steel Corporation), che non si faceva alcuno scrupolo nello sfruttare gli afro-statunitensi arrivati dal Sud, sottopagandoli. I lavoratori bianchi e neri non fecero, però, fronte comune per sventare questa classica manovra delle maggiori imprese. Iniziò, purtroppo, una guerra dei poveri contro i più poveri: cioè, dei lavoratori bianchi, per lo più immigrati di recente dall’Europa, che temevano di perdere il posto o di subire una riduzione della paga, contro gli  immigrati neri, appena o da poco tempo giunti dal sud degli Stati Uniti (laddove nell’arco di poche centinaia di anni erano stati deportati come schiavi dall’Africa). Nel Minnesota, quindi, come in altre aree del Nord e del Midwest degli States, nel 1919, il livello di violenza perpetrata contro gli afro-statunitensi subì una tale escalation che l’estate di quell’anno divenne nota come l’Estate Rossa (rosso-sangue). E le tensioni rimasero, anche quando le forze dell’ordine riuscirono a far cessare gli scontri. Ormai l’odio razziale si era radicato.

Dall’odio al linciaggio del 15 giugno 1920

In questo contesto, in uno Stato che si credeva fosse immune dall’odio razziale, in una comunità in cui il linciaggio dei neri non era mai stata una pratica corrente, si verificò, il 15 giugno del 1920, proprio il linciaggio di tre persone. Tre persone la cui sola “colpa” accertata era quella di essere afro-americani. Non potevano, infatti, essere ritenuti colpevoli di aver “rubato” lavoro nell’industria ad altri operai bianchi, visto che erano impiegati come manovali nel circo John Robinson, appena giunto a Duluth, una città del nord est del Minnesota, affacciata sul Lago Superiore, al confine con il Wisconsin. Non contavano, però, le prove a loro carico, non contava che non fossero stati giudicati e neppure formalmente incriminati. Neppure importava se il crimine per cui erano stati denunciati era stato realmente commesso. Erano neri, e per i bianchi di Duluth, e non solo per loro, i neri erano nemici. Nemici diabolici. Una campagna d’odio li aveva rappresentati come demoni, capaci di commettere le peggiori nefandezze. Perciò, quei tre erano colpevoli a prescindere. Sicché dare luogo al loro linciaggio per molti bianchi di Duluth, anzi del Minnesota o, meglio, di Stati del Nord e del Midwest, non significava compiere un delitto orribile, ma fare la cosa giusta. Una cosa di cui essere fieri. Non a caso, quel 15 giugno, il capo della polizia della città di fronte a Duluth, Superior, nel Wisconsin, dichiarò:

«Stiamo per cacciare tutti i negri di Superior».

In meno di dieci anni, in effetti, dopo il linciaggio del 15 giugno del 1920, pur crescendo la popolazione di Duluth, la percentuale degli afro-statunitensi diminuì di oltre il 16% rispetto alla percentuale del 1920. Migliaia di neri si trasferirono altrove, non pochi in California. Quasi nessuno tornò da dove era venuto, al Sud, perché laggiù il linciaggio era “la regola”.

La sera del 14 giugno

Nella tarda mattinata del 14 giugno 1920 il circo era arrivato a Duluth. Una festa giocosa si annunciava per i bambini e per i ragazzi e per i loro genitori. Uno spettacolo da non perdere, quello offerto da quel grande circo ambulante giunto via treno. Un’emozionata attesa si era diffusa in chi poteva spendere i centesimi per assistere allo spettacolo. Due adolescenti bianchi locali, Irene Tusken, una dattilografa di 19 anni, e James Sullivan, uno scaricatore di porto diciottenne, non avevano acquistato il biglietto, ma si erano intrufolati dietro il tendone per vedere i neri lavorare. E ce n’erano parecchi di manovali afro-statunitensi addetti ai più diversi lavori necessari a dare vita allo spettacolo. Più tardi  più tardi, quella notte, James Sullivan disse che lui e Irene Tusken erano stati aggrediti da cinque o sei lavoratori del circo e che la ragazza era stata violentata e derubata.

Sei arrestati per rapina e stupro

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Poco dopo l’alba del 15 giugno, il capo della polizia di Duluth, John Murphy, ricevette una chiamata dal padre di James Sullivan. Costui gli riferì quanto dettogli dal figlio: sei lavoratori neri del circo avevano violentato e derubato Irene Tusken. Sulla base di questa comunicazione e senza avere altre prove fisiche o testimoniali, John Murphy andò con i suoi agenti a fare irruzione nei vagoni del circo. I lavoratori neri furono svegliati e fatti scendere dalle loro carrozze. John Murphy fece disporre lungo i binari della ferrovia tutti i circa 150 manovali del circo (inservienti, camerieri dei servizi di ristorazione, scaricatori, ecc.) dicendo a Sullivan e Irene Tusken di identificare i loro aggressori. Furono, quindi, arrestati sei uomini neri, con l’accusa di stupro e rapina: Elias Clayton, Nate Green, Elmer Jackson, Isaac McGhie, John Thomas e Loney Williams. Poco dopo, Irene Tusken fu esaminata dal suo medico, il dottor David Graham, il quale non rilevò alcuna prova fisica che rivelasse la commissione di uno stupro o di un’aggressione violenta come quella narrata.

Il linciaggio del 15 giugno 1920

I cronisti di Duluth, appresa la notizia, si affrettarono a buttare giù degli articoli sulla presunta violenza sessuale, mentre si diffondeva in città la voce che Irene Tusken era morta a causa delle efferate violenze subite. Nel giro di poche ore, una folla, che venne stimata compresa tra le mille e le diecimila persone, si ammassò davanti alla prigione di Duluth. In breve, nella folla si rinforzò la decisione di irrompere nell’edificio e di impiccare gli accusati. La polizia, decisa a non usare le armi contro i propri concittadini, oppose una resistenza inconsistente. La folla intenzionata a compiere il linciaggio ebbe l’agio di dover mettere fuori gioco soltanto qualche agente che si opponeva a mani nude o con delle manichette antincendio. Elias Clayton, Elmer Jackson e Isaac McGhie furono sequestrati e sottoposti ad una farsa tragica, una parodia di processo, che durò pochi minuti. Ripeterono di essere innocenti, ma non vennero presi in considerazione. “Giudicati” colpevoli di stupro, non trovarono alcuna pietà, nonostante supplicassero di non essere assassinati. Portati all’incrocio tra la la Prima Strada e le Seconda Avenue East, vennero ferocemente picchiati e, a torso nudo, impiccati ad un lampione. Molti bianchi che non avevano potuto prendere parte attiva al linciaggio poterono sfogare il loro odio colpendo i cadaveri penzolanti. Formarono, poi, un cerchio intorno al lampione-capestro e messi in posa i corpi di Elias Clayton, Elmer Jackson e Isaac McGhie, si fecero fotografare. Alcuni dei  bianchi immortalati avevano volti impassibili, altri sorridevano, altri si scambiavano vicendevoli congratulazioni con amichevoli pacche sulle spalle. Non pochi bianchi allungavano il collo o piegavano il capo per entrare nella fotografia.

Il processo contro gli autori del linciaggio

I leader della comunità nera del Minnesota chiesero subito una punizione rapida e severa degli autori del linciaggio e dei loro complici. La NAACP (della quale abbiamo parlato anche, su questa rubrica, nel post Medgar Evers, una vita contro il razzismo e nel post Martin Luther King: Sono un uomo!), l’American Civil Liberties Union e la United Negro Improvement Association sollecitarono il governatore Joseph A. A. Burnquist e lo Stato a perseguire con vigore i colpevoli del linciaggio. Il giudice del distretto di Duluth, William Cant, convocò un’indagine del Grand Jury per il 17 giugno, cioè due giorni dopo il linciaggio. Ma identificare tutti i leader e gli istigatori di quel linciaggio non era una cosa semplicissima, non solo perché potevano non essere tutti compresi tra i soggetti fotografati, ma anche perché di testimonianze utili ne furono trovate poche. L’idea circolante anche in molti di coloro che non avevano partecipato al linciaggio o che lo avevano disapprovato era che occorresse essere solidali con gli autori di quel triplice omicidio, perché erano stati “preda di un raptus momentaneo” e, poverini, avevano ceduto al potere della folla. Nelle settimane successive, il Grand Jury incriminò 37 bianchi implicati nel linciaggio: venticinque per i disordini e dodici per omicidio di primo grado. Alcuni furono accusati di entrambi i reati. In conclusione, soltanto tre dei bianchi accusati di aver preso parte al linciaggio furono condannati – Louis Dondino, Carl Hammerberg e Gilbert Stephenson -, ma non per omicidio, bensì per aver provocato disordini. Scontarono meno di quindici mesi di carcere. Nessuno venne condannato per l’omicidio di Elias Clayton, Elmer Jackson e Isaac McGhie. Quando furono ammazzati, i primi due avevano 23 anni il terzo 20.

Il processo ai sopravvissuti al linciaggio

L’accusa per lo stupro di Irene Tusken, però, era rimasta. Anche se tre neri avevano subito un linciaggio a causa delle sue affermazioni infondate, era vero che nessuno era ancora stato processato in un tribunale per quel presunto crimine. La versione di Irene Tusken e James Sullivan coinvolgeva sei neri, e gli investigatori di Duluth erano decisi a ottenere altrettante condanne. Però, non sei ma sette neri, tutti operai del circo John Robinson, furono incriminati dal Gran Giurì per il reato di stupro. Il NAACP, allora, assunse tre avvocati neri – Frederick Barnett Jr., Charles W. Scrutchin e R. C. McCullough – per offrire a quei sette uomini una valida difesa in tribunale. Per cinque dei neri indagati, le accuse si rivelarono subito infondate. Gli altri due, Max Mason e William Miller, furono processati, invece, per stupro. William Miller, alla fine, fu assolto. Max Mason, invece, venne condannato a scontare da sette a trent’anni di prigione. Mason fece ricorso alla Corte suprema del Minnesota, che, però la respinse.  Nel 1921 fu rinchiuso nella Stillwater State Prison. Nel 1925 il Minnesota Parole Board, per rimediare in qualche modo ad una condanna pronunciata in un processo svolto in dispregio delle garanzie costituzionali, decise di concedere a Mason di uscire di prigione, ponendogli la condizione che lasciasse lo Stato.

Una legge contro il linciaggio

Lo shock per il linciaggio del 15 giugno 1920 aveva anche spinto la comunità nera del Minnesota a fare pressioni per l’emanazione di una legge contro il linciaggio. Nellie Francis, un’importante attivista nera di St. Paul, guidò con certo successo tale campagna, che portò il 21 aprile 1921, all’approvazione di una legge che prevedeva la rimozione degli agenti di polizia negligenti nel proteggere le persone in loro custodia da tentativi di linciaggio e il risarcimento dei danni a favore della persona linciata. Leggi anti linciaggio furono approvate in diversi altri Stati. Nonostante molti sforzi, però, una legge nazionale contro il linciaggio non è mai stata approvata.

Oggi, a Duluth, 3 statue di 2 metri d’altezza ricordano le tre vittime del linciaggio, Elias Clayton, Elmer Jackson e Isaac McGhie, nel frattempo completamente riabilitati da quell’infamante mai formalmente formulata accusa. All’inaugurazione, avvenuta nel 2003, partecipò anche il pronipote di uno dei più importanti leader del linciaggio:

«Era stato un segreto di famiglia di lunga data. E la sua vergogna, profondamente sepolta, è stata finalmente portata in superficie e disfatta. Noi non conosceremo mai i destini e l’eredità che questi uomini avrebbero scelto per sé stessi e lasciato ad altri se gli fosse stato concesso di vivere. Ma io so questo: la loro esistenza, per quanto breve e crudelmente interrotta, è sempre stata intrecciata col tessuto della mia vita. Mio figlio è cresciuto continuerà ad esserlo in un ambiente di tolleranza, comprensione e umiltà, ora con ancora più autenticità di prima».

Alberto Quattrocolo

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