La scissione nel PD e “la sindrome da alienazione genitoriale” nella base

Con l’entrata in vigore della Legge 54/2006, è stato introdotto, come modalità ordinaria, l’istituto dell’affido condiviso dei figli minori tra i due coniugi, con il quale si afferma il principio della bigenitorialità, cioè del diritto del figlio ad un rapporto stabile e completo con entrambi i genitori, anche laddove vi sia la disgregazione del legame sentimentale e talvolta anche giuridico tra i genitori conviventi. A tale diritto del figlio corrisponde quindi un dovere dei genitori, sulla base di un principio: essere genitori è un impegno nei confronti dei figli che non può essere influenzato da un’eventuale separazione.

Di conseguenza l’affidamento del figlio ad un solo genitore è previsto solo quando l’interesse del minore potrebbe risultare pregiudicato da un affidamento condiviso (Hayne e Buzzi, 2012).

Fino al 2005, è stato l’affidamento esclusivo dei figli minori alla madre la tipologia ampiamente prevalente. Per dire, nel 2005, i figli minori sono stati affidati alla madre nell’80,7% delle separazioni e nell’82,7% dei divorzi.

Nel 2015 le separazioni con figli in affido condiviso sono state circa l’89% contro l’8,9% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre (gli affidamenti concessi al padre continuano ad essere perciò assai pochi).

Perché, su questo blog proponiamo simili informazioni?

Perché, abbiamo l’impressone che si possa azzardare un parallelo tra quanto sta accadendo tra PD e MDP e il caso di una separazione conflittuale di una coppia con figli.

Riguardo a quest’ultima situazione è stato osservato che, a prescindere dell’età dei figli coinvolti, per aiutarli ad affrontare la separazione, occorre, tra le altre cose, che i genitori sappiano: rassicurarli del fatto di non essere responsabili della rottura; aiutarli a sentirsi liberi di amare a frequentare entrambi; collaborare, ascoltarsi e rispettarsi (Foti e Targher, 2014).

Non è la separazione in sé, ma il basso grado di conflittualità tra i genitori separati che permette di preservare la serenità dei figli (Francescato, 2009). Tuttavia chi lavora in tale ambito sa che i comportamenti inadeguati dei genitori non sono rari e danneggiano notevolmente i figli (Berger e Gravillon, 2007).

Si direbbe che i comportamenti conflittuali e dannosi che talora i genitori pongono in essere presentino delle similitudini rispetto a quelli realizzati da chi è rimasto e chi è uscito dal PD.

Un modo di agire scorretto del genitore è quello di manifestare al figlio la sua rabbia verso il coniuge, poiché, così facendo ne intacca il legame di fiducia con l’altro genitore (Berto e Scalari, 2016), e demolire, agli occhi dei figli, l’immagine dell’altro e la storia familiare pregressa significa procurare un danno. Un figlio, infatti, ha bisogno di pensare che c’è stato qualcosa di buono, un tempo, nel matrimonio dei suoi genitori e che c’è stato un momento in cui si amavano, si stimavano ed erano attratti uno dall’altra.

Potrebbe darsi che un militante o un ex militante del PD possa vivere sentimenti non del tutto dissimili. Cioè che anche per lui, come per il bambino non sia piacevole sentirsi dire da qualcuno dei suoi rappresentanti che gli altri, in cui riponeva fiducia e con cui almeno un po’ si identificava, sono persone indegne.

Sempre in relazione alle separazioni conflittuali, accade che alcuni genitori danneggino i figli considerandoli come una proprietà su cui hanno dei diritti. Volendosi appropriare di tutto quello che è posseduto dall’antagonista, ambiscono anche all’esclusivo possesso del figlio, comes se ciò rappresentasse il massimo trofeo. E tale tiro alla fune è sempre condotto in nome di ideali socialmente apprezzati e condivisi: tutelare il figlio dalla cattiva influenza di un genitore inaffidabile, far rispettare pienamente i diritti del minore, garantirgli un equo tenore di vita, ecc.

Per arrivare a tale possesso pieno, spesso i genitori utilizzano i figli come dei pegni emotivi, ad esempio, affermando che essi, in realtà, non vogliono trascorrere del tempo con l’altro genitore (Haynes e Buzzi, 2012). La verità, però, è che non ci sono bambini che vogliono stare con un solo genitore: ci sono, purtroppo, figli costretti a prediligere un genitore per accattivarselo, per sentirsi protetti e amati. Infatti, il figlio che non vuole frequentare uno dei due genitori, in realtà, sta comunicando che non ne può più di stare in mezzo alle tensioni tra mamma e papà, cioè «dà le dimissioni da figlio attraverso le sceneggiate che fa per andare a trovare il genitore sconfessato» (Berto e Scalari, 2016).

Da tali comportamenti può derivare anche la sindrome da alienazione genitoriale, che si manifesta con otto sintomi principali (Baker, 2010). Vediamoli e riflettiamo sulla possibilità che qualcosa di analogo si sviluppi anche tra gli iscritti e i militanti del Partito Democratico e tra coloro che si sentono invece più affini al Articolo 1 – Movimento Democratico e Progressista :

1)         La messa in atto di una campagna di denigrazione contro l’altro genitore rende il bambino ossessionato dall’odio nei confronti di quello, sicché si comporta come se non ci fosse mai stato un rapporto significativo, un passato di esperienze positive.

Rispetto a quanto si legge sui social da parte di chi commenta la scissione, può riscontrarsi frequentemente tale tipo di reazione, che si sostanzia in una netta svalutazione anche dell’operato precedentemente messo in atto dal politico successivamente detestato.

2)         Motivazioni deboli, futili e assurde della svalutazione dell’altro genitore.

Anche su tale fronte, stando ai commenti sui social, non si può dire che manchino degli esempi di denigrazioni del nuovo avversario (Bersani o Renzi, per dire) basate su argomenti inconsistenti.

3)         La mancanza di ambivalenza del bambino: un genitore diventa completamente positivo, l’altro completamente negativo.

Si tratta probabilmente dell’aspetto più evidente della cosiddetta scissione avvenuta a livello della base. Sia nelle interviste fatte dai media tradizionali, e proposte in diversi servizi televisivi e radiofonici, che nelle affermazioni apparse sui social media, è di solare evidenza l’assenza di sfumature nel ritrarre il politico che non si considera più come proprio rappresentante.

4)         I bambini sono categorici nel sostenere che la decisione di rifiutare l’altro genitore sia scaturita da loro. Questi bambini non hanno più neanche bisogno che il genitore alienante inculchi in loro le proprie opinioni, poiché hanno già adottato essi stesse quelle opinioni.

Forse, è questo un aspetto un po’ meno rinvenibile, ma non si può certo definire assente, sempre stando a quanto si può riscontrare con le rudimentali forme di rilevazione suddette. E, d’altra parte, su tale aspetto si tornerà più avanti rispetto al rimpallo di accuse circa la colpa della scissione nel PD.

5)         L’assenza di senso di colpa nel rapporto con il genitore alienato.

Il rappresentante politico “alienato” – cioè Renzi per i sostenitori della bontà della scissione, e D’Alema, Rossi o  Bersani per i sostenitori dell’ex premier -, in effetti, è oggetto di comunicazioni da parte della base che sono connotate da un tale astio che risulta difficile rinvenirvi tracce di senso di colpa in chi le scrive o dice.

6)         Un appoggio istintivo del bambino al genitore alienante, poiché con esso si è schierato ed è irremovibile nella sue convinzioni.

Non pare che si possa riscontrare esattamente lo stesso livello di adesione acritica a qualsiasi cosa faccia o dica il rappresentante “alienante”, cioè quello verso il quale si è conservata o spostata la fiducia, ma parrebbe esservi una sospensione della capacità di essere autonomi nelle valutazioni del proprio leader maggiore di quanto non avvenga normalmente.

7)         I bambini muovono spesso accuse all’altro genitore utilizzando delle espressioni, il linguaggio e i pensieri mutuati interamente dal genitore alienante.

In effetti, fa impressione rilevare come le espressioni usate dai politici in lite vengano riproposte quasi alla lettera tra gli appartenenti alla base.

8)         Il  bambino denigra, disprezza e respinge non soltanto il genitore alienato, ma anche tutti i suoi familiari.

Non si può certo dire, infatti, che gli “antirenziani”, anche quelli rimasti iscritti al PD, invero, abbiano un atteggiamento tenero verso i “renziani”, così come si sprecano gli insulti ai danni di tutti gli “antirenziani”, siano essi fuoriusciti o sostenitori degli altri candidati alle primarie.

 

Però, se tali atteggiamenti mentali e tali comportamenti tangibili sono ipoteticamente presenti e percepibili presso l’elettorato del PD e i sostenitori di MDP, quali sono i comportamenti dei leader che, sempre in ipotesi, li hanno influenzati?

In primo luogo, viene in mente che gli ex partner democratici si rinfacciano l’un l’altro le colpe della frattura prodottasi nel contenitore politico comune. Per certi versi, è un po’ come se entrambi dicessero: ho fatto di tutto per tenere unita la famiglia (il partito), è l’altro che ha voluto la frattura. Per coloro che sono usciti dal Partito Democratico, addirittura la tesi più volte enunciata è che la scissione, in realtà, si era già consumata nella base e che l’allora segretario, Matteo Renzi, non ha saputo o voluto curarsene. Conservando il parallelo con la coppia genitoriale che vive una separazione imbevuta di conflittualità rovente e profonda, tali asserzioni ricordano quelle del genitore che rinfaccia all’altro di non essersi saputo prendere cura del figlio e, condividendo questo pensiero con il figlio stesso, attribuisce a tali mancanze dell’ex convivente la ragione della scelta separativa. In tal modo, però, quel genitore sviluppa anche un gigantesco senso di colpa nel figlio.

Roberto Speranza, intervistato da Maria Latella su SKYTG24, ha attribuito al suo ex segretario ogni responsabilità, senza sfumature, di quanto verificatosi: «Noi abbiamo provato fino in fondo. Ho creduto fino all’ultimo istante che si potesse evitare la rottura (…). Renzi passerà alla storia come il segretario che ha distrutto il Partito Democratico».

A tali accuse, Renzi, ospite di Fabio Fazio, nella trasmissione di Rai Tre, Che tempo che fa del 26 febbraio, ha ribattuto dicendo «A me dispiace molto. Era un disegno già scritto, ideato e prodotto da Massimo D’ Alema».

Fosse anche vero – e, secondo molti commenti sui social e secondo il parere di osservatori di professione, vi sarebbe un quid di verità -, la dichiarazione di Renzi, di fatto, costituisce anche una svalutazione, certamente non voluta, verso coloro che hanno scelto di uscire dal PD e verso coloro che hanno approvato tale decisione. Entrambi, infatti, da quelle parole sono ridotti al rango di soggetti facilmente manipolabili.

Del resto, Pierluigi Bersani, il giorno successivo, in un incontro pubblico a Modena, ha risposto a Renzi in maniera del tutto simmetrica: «Non sia così umile Renzi. Il regista è lui, la disgregazione del partito ha un regista che si chiama Renzi». Anche in tal caso, coloro che sono rimasti nel PD o che intendono continuare a votare per esso e magari anche per Renzi alle primarie in arrivo, possono avere l’impressione di essere considerati da Bersani come burattini, consapevoli o inconsapevoli di essere manovrati dall’ex premier. Inoltre, potrebbero limitarsi ad una lettura superficiale delle dichiarazioni di Bersani e osservare polemicamente: ma come sarebbe che il regista è Renzi? Bersani non aveva detto che la scissione era già avvenuta nella base?

In ogni caso, al di là di tali accuse cospirative, resta il fatto che l’elettorato, gli iscritti e i militanti di quell’area sono interessati da una sollecitazione che non si limita al mero corteggiamento ma assume la forma di un invito al rancore, al disprezzo, all’odio degli ex compagni di partito. Un atteggiamento, in effetti, che nell’ambito della conflittualità interpersonale si riscontra nelle liti tra amanti, amici o fratelli che si sentono traditi.

Si è soffermato, ad esempio, su tale aspetto Tommaso Labate sul Corriere della Sera del 27 febbraio, a pagina 6, con un articolo dal titolo “Tra colpi bassi, battutacce e ripicche. Un partito trasformato in insultificio”.

Quando la relazione tra genitori separati assume tale piega, essa procura nei figli una drammatica scissione sul piano di una impossibile doppia lealtà esclusiva, con effetti quali quelli sopra descritti. Se volgiamo lo sguardo alla base elettorale e ai militanti dell’area politica attualmente attraversata da simili spaccature conflittuali, è possibile rinvenirvi anche il propagarsi del conflitto in basso e in senso orizzontale. Cioè: il conflitto, sviluppatosi orizzontalmente tra i politici, si diffonde dal vertice alla base, dove si allunga contemporaneamente lungo tre linee, che sono quella orizzontale, quella verticale e quella obliqua.

La prima è quella che vede il conflitto svilupparsi tra militanti ed elettori, che polemizzano tra di loro; la linea verticale è doppia, poiché vi è quella che segna il conseguimento del risultato auspicato da entrambi le fazioni politiche e che vede i militanti arrabbiarsi con quei politici cui si sentivano più vicini, a cui rimproverano il fallimento della relazione (così i renziani si arrabbiano con il segretario dimissionario, lo accusano di aver provocato la scissione e diventano ex renziani, dando forse un po’ di soddisfazione a Speranza, Bersani, D’Alema, Rossi ecc., ; mentre i bersaniani, per dire, si arrabbiano con quest’ultimo per la sua scelta di uscire dal PD e diventano ex bersaniani, procurando, magari, altrettanta soddisfazione ai renziani), e vi è l’altra che vede la rabbia dei militanti tradursi in una sfiducia generalizzata verso tutti, con relativo allontanamento dal PD e dal MDP; la linea obliqua è quella dei militanti pro-Renzi o pro-Bersani rancorosi rispettivamente verso Bersani (e gli altri fuoriusciti) o verso Renzi (e gli altri esponenti rimasti nel PD).

Appare non difficile prevedere che la rabbia della base verso il vertice possa essere ricambiata con la moneta (del vertice) del disprezzo, ma soprattutto che alimenti ulteriormente il fuoco del conflitto in corso.

Dunque, come quasi sempre avviene, anche in tal caso l’escalation conflittuale porta le parti a dare il peggio di sé: impegnate nello sforzo di prevalere sull’altro, vengono meno, senza accorgersene, anche ai valori e ai principi identitari (tolleranza, rispetto per l’altro e accettazione della sua diversità, disponibilità a difendere il diritto altrui ad esprimere idee ed opinioni dalle proprie, lotta al pregiudizio e allo stereotipo).

E, questo, sì, che può rendere incandescente una delle due linee verticali del conflitto di cui si scriveva prima. Non è insolito, infatti, che nelle situazioni conflittuali più le parti cercano di stimolare il consenso e la solidarietà di un pubblico ad esse vicino per legami, affetti, frequentazioni (amici, parenti, colleghi, ecc.), più risultano all’occhio di tale pubblico sgradevoli. In particolare, i loro tentativi di portare dalla propria parte i terzi, possono farle apparire a costoro ciniche e manipolative, rigide e ostinate, egoiste ed egocentriche, ottuse e rancorose, inacidite e puerili, autoreferenziali e vittimiste, bugiarde e deboli, inguaribilmente faziose e vendicative. In breve, quando ci troviamo in tali situazioni relazionali, finiamo con l’alienarci proprio le simpatie di molti di coloro di cui cerchiamo la vicinanza, la comprensione e la solidarietà.

Quando si sviluppa tale dinamica con il “pubblico” (nel caso di quanto accade a sinistra il pubblico, ovviamente, è quella parte dell’elettorato), cioè, quando, come detto, si compie un’estensione del conflitto in corso, le parti sperimentano un surplus di rabbia verso la controparte. Quindi, si stimola ulteriormente l’escalation conflittuale, producendo un continuo rilancio delle delegittimazioni.

Ciò può generare due conseguenze di rilievo:

  • un inarrestabile depauperamento del confronto sul piano dei contenuti, accompagnato da una reciproca attribuzione alla controparte di essere la causa di ogni male;
  • un’esaltazione degli aspetti etero e autodistruttivi del conflitto “a sinistra” che si ripercuote nella dialettica già esasperata con le altre forze politiche.

In conclusione, non soltanto per restare insieme occorre trovare punti di accordo e rispettarsi, ma anche per separarsi, sia quando si è genitori che quando si è politici. Poiché, i politici, come i genitori, tra le altre funzioni, hanno anche quella di tipo educativo: essere d’esempio.

Si tratta a volte di un peso e di una responsabilità psicologicamente soverchianti per i genitori, ed è lecito supporre che sia un compito di non facile assolvimento anche per i politici, ma, in entrambi i casi, fa parte del gioco, se si vuole tentare di giocare dignitosamente.

1 commento
  1. Giovanna Valenzano
    Giovanna Valenzano dice:

    Gli esempi che porti sono per me assolutamente puntuali e veritieri. Infatti chi fa parte di un partito si sente come un componente di una grande famiglia che ha gli stessi ideali, che desidera fare una parte del suo cammino insieme, cercando di migliorare questa società che è diventata molto egoista e dove gli individui pensano sempre solo a se stessi e al loro immediato interesse. Chissà se qualche sostenitore del PD riuscirà a far leggere queste considerazioni a qualche politico, ma soprattutto riuscirà a far loro presente che le continue liti e il denigramento dell”avversario” non porta da nessuna parte, anzi creano ancora di più sconcerto, delusione e smarrimento fra i componenti della famiglia (elettori), con il rischio di aumentare il già grande numero di astensioni alle prossime elezioni .

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