Iniziano i lavori di costruzione del muro di Berlino. È il 13 agosto 1961

La cortina di ferro che si materializza. Potremmo descrivere così quel tristemente noto muro che costò la vita ad almeno 133 persone tra il 1961 e l’89. Una demarcazione netta tra due visioni, due politiche, due mondi. Occidente e oriente, se vogliamo essere approssimativi. Comunismo e capitalismo. USA e URSS. E non solo, ovviamente.

Finita la seconda guerra mondiale la città di Berlino si trovava nel cuore di quella parte della Germania che era stata occupata dalle forze armate dell’Unione Sovietica. Erano stati i russi, infatti, che, dopo aver ricacciato fuori dai confini sovietici le armate di Hitler e di Mussolini che l’avevano invasa, a partire dall’Operazione Barbarossa, avviata il 22 giugno 1941 (l’abbiamo ricordata su questa rubrica, nel post L’abominevole Operazione Barbarossa), avevano incalzato le truppe tedesche fino a Berlino, arrivandoci prima delle forze anglo-francesi. Queste, sbarcate sulle coste italiane nell’estate del 1943, tra il 9 e il 10 luglio in Sicilia (si veda questo post ) e due mesi dopo aSalerno (l’abbiamo rievocato in questo post), erano state fermate dai nazi-fascisti lungo la cosiddetta Linea Gotica. Ma un anno dopo, il 6 giugno del 1944, avevano compiuto il determinante sbarco in Normandia (vi abbiamo dedicato il post Gli amici del 6 giugno). Dalle spiagge della Francia settentrionale, gli angolo-americani avevano preceduto alla liberazione dell’Europa Occidentale, che da cinque anni le truppe naziste avevano occupato. Ma l’avanzata verso la Germania era stata ostacolata dal fallimento di alcune operazioni – a partire dal disastro sanguinoso dell’Operazione Market Garden (si veda il post Il 17 settembre 1944 scatta la fallimentare operazione Market Garden) – e dal contrattacco tedesco alla fine del ’44 nelle Ardenne. Americani ed inglesi quindi, giunsero a Berlinoquando le armate di Stalin avevano appena vinto la battaglia di Berlino.

Conclusa la Seconda Guerra MondialeBerlino era divisa in quattro settori, ciascuno dei quali amministrato da Stati UnitiGran Bretagna, Francia e Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Il progetto iniziale di un’amministrazione congiunta tra queste quattro potenze fu, però, sgretolato dal passaggio della comune guerra contro il nazifascismo alla guerra tra l’Ovest capitalista e l’Est comunista, la cosiddetta Guerra Fredda. Per la prima volta il 24 giugno del 1948 la possibilità che si arrivasse ad un confronto militare tra USA e URSS era parsa orribilmente concreta (l’abbiamo ricordato nel post Il blocco di Berlino). Poi, la situazione si era stabilizzata in una condizione di tensione costantemente elevata.

I confini servono, come tanti strumenti umani, a facilitarci l’esistenza. Se sappiamo dove finisce lo spazio dell’uno e inizia quello dell’altro, e rispettiamo le volontà reciproche, il rischio di farsi male è minimo e non vi è bisogno di elevare barriere protettive. I muri si innalzano quando si ha paura: paura di perdere qualcosa, ad esempio. La DDR, e l’URSS più in generale, temeva forse di perdere la battaglia ideologica col nemico americano, che appariva così sfavillante agli occhi di chi viveva nella povertà della Germania Est. Così pensò di tenere legati a sé uomini e donne, un tempo liberi, che forse avrebbero preferito fuggire.

Certo, avevano ancora la libertà di affrontare i fucili dei soldati posti a guardia della striscia della morte: il muro, infatti, non rimase per sempre un semplice muro, ma diventò una voragine pronta ad inghiottire i più temerari, o i più disperati. La notte tra il 12 e il 13 agosto 1961 furono posati i primi metri di filo spinato, ma già dopo un paio di giorni arrivarono le forme di cemento, e Berlino Ovest diventò anche fisicamente un’enclave sovietica: tutt’intorno, il territorio apparteneva alla Repubblica Democratica Tedesca, così come la parte orientale di Berlino; il resto della città era formalmente diviso tra Americani, Inglesi e Francesi, i quali conservavano la possibilità di scambi di uomini, merci e informazioni con i rispettivi territori di influenza lontani dalla capitale.

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Dunque, il muro divideva, o meglio, isolava: 155 km di cemento giravano intorno a quell’atollo di occidente, terra emersa nel mare orientale. La striscia della morte si costituì, però, un anno più tardi, quando fu eretto un ulteriore muro, per rendere la fuga pressoché impossibile. Naturalmente, numerose case furono rase al suolo per far posto a quell’opera di capitale importanza, e i rispettivi abitanti si dovettero trasferire. Il perfezionamento di quel carcere a cielo aperto proseguì per molti anni, come a scandire il progressivo allontanamento dei due blocchi. Parlando di generazioni, siamo dunque giunti alla terza, che vide la luce nel 1965 e si caratterizzò per quel tubo posto in cima alle lastre di cemento, su cui i Berlinesi riuscirono a sedersi solo nel 1989. La quarta generazione preso avvio dieci anni dopo la precedente, e a quel punto la striscia della morte giustificava in pieno il proprio nome: recinzioni, fossati anticarro, cecchini appostati sulle torri di guardia, bunker e un camminamento illuminato tutt’intorno. Era davvero fondamentale non permettere ulteriori defezioni dall’idea di mondo che motivava i Russi e i loro alleati.

Un evento, inizialmente politico e militare, che ebbe enormi ricadute sulla società, berlinese e globale, non può non essere stato affrontato da letteratura, filmografia e da tutti gli strumenti a disposizione della società civile. Di questa profusione di contributi, fa piacere ricordarne due, forse non particolarmente rappresentativi, ma che danno conto delle emozioni e dei sentimenti che il muro indusse allora nelle persone che l’hanno, a vario titolo, affrontato: Il ponte delle spie, film girato nel 2015 da Steven Spielberg e interpretato da Tom Hanks; I giorni dell’eternità, romanzo di chiusura della Trilogia del Secolo di Ken Follett.

Alessio Gaggero

 

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