Eccidio nazifascista di Vinca 24 agosto 1944

Giovanni, si ammazza?
– Ammazzane quanti ne vedi.

Il suono carnascialesco di un organetto accompagna in sottofondo le scene di un massacro. La mattina del 24 agosto 1944, gli abitanti di Vinca, un piccolo borgo ai piedi delle Alpi Apuane, tra la musica, il fragore delle mitragliatrici, le urla dei feriti e gli ordini secchi in tedesco, percepiscono nettamente dialoghi in italiano, con l’inconfondibile inflessione dialettale della zona.

Non era la prima volta che le truppe naziste si avvalevano di collaborazionisti fascisti, ma l’eccidio di Vinca è forse il primo caso attestato in cui gli uomini delle Brigate Nere competono in efferatezza con i tedeschi, partecipando direttamente all’azione.

La strage, giudicata dagli storici come fra le più crudeli per le modalità delle singole uccisioni e per gli episodi di sadismo contro i civili, va inserita nel più ampio quadro della repressione antipartigiana  attuata  nel  triangolo  compreso  fra  Appennino, Apuane e mar Tirreno nell’estate 1944, a ridosso del tratto occidentale della Linea Gotica.

La storiografia ha evidenziato diverse modalità di azione, riconducibili alle strategie di dominio e occupazione attuate dai tedeschi sul territorio ed essenzialmente riassumibili nelle due categorie delle stragi per rappresaglia e della più generica strategia del terrore. Le prime erano perpetrate come risposta a una particolare azione partigiana, ponendosi l’obiettivo di creare un distacco tra la Resistenza armata e la popolazione civile (il caso emblematico è quello delle Fosse Ardeatine, 335 morti); le stragi determinate dalla strategia del terrore, prevalenti per quantità di casi e vittime, perseguivano invece l’obiettivo della cosiddetta terra bruciata, ossia del cercare di compromettere le condizioni di esistenza di una Resistenza organizzata, eliminando fisicamente la popolazione civile dalla quale le formazioni partigiane traevano sostentamento (come nel rastrellamento di Marzabotto, circa 800 vittime).

I protagonisti

In quella che fu definita “la marcia della morte”, tra gli abitanti della Lunigiana e del territorio apuano si conteranno 1092 morti, di cui gli uomini adulti costituiscono solo il 36% del totale: le operazioni si susseguono in un ciclo continuo pianificato di distruzione, dal maggio/giugno al  settembre 1944, ad opera sia della Wehrmacht che della 16ª Divisione SS “Reichsfhürer”, in quel periodo di stanza nel Castello Malaspina di Fosdinovo con il 16° Battaglione comandato da Walter Reder.

La 16ª SS Panzer Aufklärung Abteilung (gruppo corazzato esplorante, chiamato anche battaglione ricognizione, AA16) di Reder si appoggia spesso, per le operazioni nella zona, alla Brigata Nera “Mai Morti”, accasermata a Carrara e capeggiata dal Generale Biagioni e dal Colonnello Lodovici; equipaggiati per la guerra antipartigiana con mitragliatrici leggere e pesanti, i paramilitari della Repubblica Sociale compiono anche azioni di spionaggio, riferendo poi al controspionaggio nazista.

Il Corpo Ausiliario delle Squadre d’Azione delle Camicie Nere era stato istituito da meno di due mesi, in parte per ragioni ideologiche (riportare il Partito Fascista Repubblicano all’attivismo combattente delle origini) e in parte per la necessità di avere un serbatoio di risorse umane di supporto nel controllo del territorio. Secondo il decreto istitutivo, l’arruolamento era riservato ai soli iscritti al Partito e del tutto volontario: successive circolari applicative specificarono tuttavia che l’iscrizione al PFR per gli uomini tra i 18 e i 60 anni di età non già soggetti ad altri obblighi militari era subordinata alla contestuale domanda di arruolamento nelle Brigate Nere (le divisioni provinciali del Corpo), in quanto “non merita l’onore di militare nel partito chi non si senta di servirlo in armi”, sottolineando inoltre “l’obbligo morale” da parte dei fascisti già iscritti al PFR ad arruolarsi.

Gli alleati nazisti non ripongono eccessiva fiducia nelle capacità militari delle Brigate e tendono a relegarle in azioni di mero affiancamento, spesso come guide o ausiliari; tuttavia, “il Monco chiamò e i Mai Morti risposero” e il 23 agosto 1944 il Maggiore Reder dispone che due plotoni di fascisti appoggino la 4ª e 5ª compagnia della AA16 nell’imminente rastrellamento nella zona di Vinca.

I fatti

Il pretesto è l’uccisione di un ufficiale tedesco avvenuta pochi giorni prima nell’assalto a un automezzo in un’area controllata dai partigiani; un migliaio di soldati tedeschi, già distintisi nelle carneficine nell’Europa dell’Est ai danni di ebrei, slavi e zingari (lo stesso Reder vi aveva riportato la mutilazione di un braccio, da cui il soprannome), partono insieme a un centinaio di fascisti. Nelle parole di un testimone, undicenne all’epoca, “non erano ubriachi, né drogati, ma abituati a questo tipo di azioni. E non fu una rappresaglia come disse Reder al processo a Bologna. Sapevano che in paese c’erano solo donne e bambini, tanti vecchi e qualche maschio adulto. Che si salvò fuggendo ma per un motivo solo: che già sapeva cosa fosse successo a Sant’Anna settimane prima (ne abbiamo parlato qui). Eppure vennero su in mille, con quasi 100 mezzi. Portarono con sé anche un cannone, come se andassero veramente a combattere.”.

Secondo uno schema già visto, mentre alcune colonne accerchiano la zona, il grosso del plotone, guidato dai brigatisti neri lungo i sentieri che attraverso i boschi conducono al paese, per tutta la giornata uccide, saccheggia e brucia; ritiratisi per la notte, l’indomani i nazifascisti si ripresentano, cogliendo di sorpresa e finendo di sterminare i sopravvissuti intenti a seppellire i morti, estendendo poi il massacro alle località limitrofe, fino al 27 agosto. Le testimonianze sono agghiaccianti: cadaveri rinvenuti nudi, decapitati, impalati, un feto strappato dal ventre della madre, una neonata usata per il tiro al bersaglio in aria, il parroco fucilato a tradimento alle spalle mentre, muovendo da una zona sicura, tornava per proteggere i suoi compaesani; su tutto, aleggia il suono dell’organetto, dettaglio comune ad altre stragi nella zona, e le voci degli assassini che parlavano lo stesso dialetto delle loro vittime.

I morti accertati sono in totale 171, la maggior parte donne (95) e quasi metà bambini (di cui quattro fino a un anno e undici fino a dieci anni) e anziani, fra cui molti infermi e malati; di quelli che si sono trovati dentro il cerchio del rastrellamento, solo due si salvano. Nello straniante linguaggio del censimento post-bellico delle stragi nazifasciste, negli archivi della Resistenza l’eccidio di Vinca è classificato come rastrellamento o massacro eliminazionista.

L’accertamento delle responsabilità

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Viene compiuta una prima inchiesta statunitense, a cui segue una investigazione del SIB britannico: la strage di Vinca è tra i capi d’imputazione del processo a carico del generale della 16ª Divisione SS “Reichsfhürer” Max Simon (Padova, 1947), che viene condannato all’ergastolo.

Il 31 ottobre 1951 Walter Reder è condannato all’ergastolo dal Tribunale militare territoriale di Bologna per le stragi di Vinca e Marzabotto (Monte Sole), ma nel 1985 il Governo Craxi lo amnistia.

Sessantaquattro membri della Brigata Nera apuana guidata dal Generale Biagioni sono processati dal Tribunale di Perugia con l’accusa di “strage continuata” (che cumulava i reati commessi a Vinca e a Bergiola Foscalina): la sentenza emessa il 21 marzo 1950 esprime condanne severe (11 ergastoli), destinate tuttavia ad ammorbidirsi a causa dell’applicazione dell’amnistia; il Colonnello Lodovici è prosciolto per insufficienza di prove.

Nel 2009, il Tribunale Militare di Roma condanna all’ergastolo nove ex militari nazisti ancora in vita e riconosce la responsabilità civile della RFT, ma, come in altri casi analoghi, la Germania non concede l’estradizione né applica la pena, e nel 2012 la stessa Cassazione italiana sancisce l’inapplicabilità della richiesta di risarcimento.

Silvia Boverini

Fonti:
Corrado Benzio, “Le stragi del ’44 / Vinca: il Monco li chiamò. E i Mai Morti risposero”, 24/08/2014, http://iltirreno.gelocal.it;
www.wikipedia.org;
http://www.isrlaspezia.it;
www.straginazifasciste.it;
www.archividellaresistenza.it;
A. Domenici, “I cagnolini di Reder”, www.iet.unipi.it;
“Stragi naziste, da Marzabotto a Cefalonia: 8 ex militari sono ergastolani, ma la Germania non esegue le condanne”, 07/03/2017, www.ilfattoquotidiano.it

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