A cavallo della paranoia

La paranoia nelle società, spesso, è stata creata a tavolino. Scelto il gruppo di persone da far temere e detestare, si tratta di svolgere una comunicazione martellante tesa a delegittimarlo, accusandolo di ogni misfatto e delle più inquietanti intenzioni maligne. Generati dei dubbi, occorre trasformarli in sospetti e far diventare l’allerta una paura. E questa spingerla verso la paranoia. A tal fine si deve rappresentare quel gruppo come un nemico del popolo. Quindi va descritto come subdolo, come segretamente sostenuto da potenti alleati e come intimamente intenzionato, o disponibile, ad affermare un sistema e una società da incubo. Così, si ottiene la paranoia: una paura irrazionale, mescolata con un’indignazione e un’ostilità viscerali verso i presunti traditori. I quali, a quel punto, non trovano più quasi nessuno disposto a credergli e neppure ad ascoltarli, quando si difendono.

La paranoia nutrita dalle fake-news del senatore repubblicano Joseph McCarthy

Il 9 aprile del 1950 il senatore repubblicano Joseph McCarthy tenne un discorso che si potrebbe collocare in un’ottima posizione all’interno di un’ipotetica classifica delle mosse politiche tese a seminare una paranoia popolare prefabbricata. Questo discorso costituì, infatti, un’efficacissima delegittimazione dell’avversario politico, mediante la strumentalizzazione delle preoccupazioni e delle frustrazioni collettive. Cosa disse Joe McCarthy di così potentemente corrosivo nei confronti del Partito Democratico, che governava gli Stati Uniti ininterrottamente dal 1932 (con i 4 mandati consecutivi di Franklin Delano Roosevelt come presidente, seguito da Harry Truman)? Disse una balla gigantesca. Cioè:

«Ho qui una lista di 205 persone, che sono note al Segretario di Stato per essere membri del Partito Comunista e che, nonostante questo, ancora lavorano al Dipartimento, formandone la politica».

Joe McCarthy non aveva alcuna lista di comunisti dipendenti del Dipartimento di Stato, Né, quindi, conosceva i nomi che sarebbero stati noti al Governo degli Stati Uniti, nella persona della sua seconda carica più importante, dopo quella del Presidente, il Segretario di Stato, Dean Acheson. Il quale, peraltro, era uno degli ideatori del Piano Marshall, della NATO e della Dottrina Truman, sul ruolo da protagonista degli USA nel contrasto all’espansione comunista nel mondo. Era tutto inventato ciò che aveva affermato McCarthy. Di reale non c’erano che illazioni non collegabili tra di loro e men che mai idonee a fornire la minima verosimiglianza razionale a quella spettacolare bugia [1].

La diffusione della paranoia attraverso la diffamazione e la distruzione della credibilità degli avversari.

Chiunque, in qualsiasi altro momento, avesse calunniato un governo che era legittimamente in carica, in virtù di una schiacciante vittoria elettorale, accusandolo senza prove di coltivare al proprio interno il tradimento e la sovversione, sarebbe stato sbugiardato, svergognato unanimemente e pubblicamente, pagando il prezzo del biasimo collettivo. Ma McCarthy non corse minimamente quel rischio [2]. Il clima politico e, soprattutto, la condizione emotiva del popolo americano lo mettevano al sicuro.

La “Guerra Fredda” e la “paura rossa”

Finita la Seconda Guerra Mondiale ebbe termine anche la collaborazione tra Unione Sovietica, da una parte, e Stati Uniti e Gran Bretagna dall’altra, ed iniziò la “Guerra Fredda”. Se questa si concretizzò in sofferenze inaudite, non soltanto per gli abitanti dell’U.R.S.S., ma anche tutti i popoli sottoposti alla sua dominazione, negli USA e nel resto dell’Occidente crebbero rapidamente i timori per l’avanzata comunista.

Alcuni eventi sensazionali destarono la preoccupata attenzione pubblica americana. Tra questi, parallelamente alla produzione della bomba atomica da parte dell’Unione Sovietica (ne abbiamo parlato in un post di Corsi e Ricorsi, dedicato a Sakharov), che poneva fine al monopolio americano sulle armi nucleari, il processo clamoroso a Julius ed Ethel Rosenberg, per tradimento (di cui abbiamo parlato nel post Quei Rosenberg fatti sedere sulla sedia elettrica per niente), e la condanna per spergiuro di Alger Hiss, un importante funzionario del Dipartimento di Stato, sospettato di “intelligenza con il nemico rosso”.

Parola d’ordine: delegittimare il New Deal

Già nel 1945 era “risorta” la Commissione per le attività antiamericane del Congresso degli Stati Uniti (House on Un-American Activities Committee – HUAC), istituita nel ’38 [3]. E molti repubblicani e alcuni democratici conservatori, nonché altre associazione e comitati smaccatamente reazionari, per screditare i democratici e soprattutto gli ideali e il pensiero progressista, che si era affermato a partire dal New Deal di Roosevelt, avevano iniziato a diffondere voci su infiltrazioni comuniste nelle agenzie governative, specie nel Dipartimento di Stato. Voci, però, che avevano un’eco assai ridotta, non riuscendo a scalfire significativamente la fiducia nel presidente Harry Truman e nella sua amministrazione.

Maggiore attenzione la destavano due autorevolissime figure. Il direttore dell’F.B.I., J. Edgar Hoover, il quale aveva dichiarato che non meno di 100.000 persone in America intendevano rovesciare il governo. E il cardinale Richard Spellman di New York, secondo il quale gli USA erano in un imminente pericolo di un colpo di Stato comunista. In ogni caso, nel novembre del ’46, i repubblicani ottennero per la prima volta dal 1928 la maggioranza sia al Congresso che al Senato.

Il tentativo dell’amministrazione democratica di battere la destra sul suo terreno: l’anti-comunismo

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Mentre l’opinione degli americani circa la loro insicurezza cresceva e astuti demagoghi alimentavano un subdolo un sentimento di paranoia incentrato sull’inevitabilità di una guerra nucleare con l’URSS e sull’idea di una vasta cospirazione di spie e di simpatizzanti comunisti, Harry Truman, in vista della campagna per la rielezione del ’48, corse al riparo. Cioè, in politica estera, proponendo di stanziare 227 milioni di dollari per prevenire in Italia il rischio dell’affermazione del Fronte Popolare (composto da comunisti e socialisti) alle elezioni politiche del 1948, le prime della neonata Repubblica, e ammettendo 18.000 profughi polacchi, ex militari perseguitati dal governo filosovietico. In politica interna, l’amministrazione Truman, cercando di arginare la paranoia, con la tattica del «far scappare il diavolo fuori dal Paese», varò il Federal Employees Loyalty and Security Act [4].

«Un’ondata di fascismo» sotto l’etichetta di “americanismo”

Eleonore Roosevelt, la vedova del presidente, disse:

«È stata una vera e propria ondata di fascismo, la più violenta e dannosa che questo Paese abbia mai avuto»,

Non aveva torto. Infatti, come nel caso del fascismo, l’affermazione della paranoia anticomunista si sviluppava sulla direttrice doppia della campagna di paura e d’odio, a base di falsità spudorate, e del rivolgersi alla pancia dell’elettorato. Con quest’ultima funzionava da sempre l’esaltazione del patriottismo, ma ancor di più portava voti il definirsi “veri americani” e il richiamarsi a qualcosa di indefinito, ma assai suggestivo, “l’americanismo[5].  Se “l’americanismo” funzionava come sentimento e come ideale di stampo positivo, di cui proporsi quali alfieri, la trasformazione degli avversari in nemici demoniaci serviva per manipolare la paranoia [6].

La crescente paranoia nel popolo americano

Nonostante l’inattesa vittoria schiacciante del democratico Harry Truman sul suo rivale repubblicano, nell’elezione presidenziale del novembre 1948, a gennaio del 1949 un sondaggio Gallup rivelava che:

  • l’83% degli americani era favorevole alla schedatura dei comunisti presso il dipartimento della Giustizia;
  • l’87% avrebbe voluto il licenziamento dei comunisti impiegati nelle industrie che lavoravano per la difesa;
  • l’80% era favorevole al giuramento di fedeltà dei leader sindacali.

Il metodo di Goebbels

Il metodo con cui la destra americana operava, sembrava, in effetti, avere un crescente successo. Come osservò John F. Kennedy, all’epoca membro del Congresso, i repubblicani seguivano

«la linea di Hitler: per quanto grossa sia la bugia, ripetila abbastanza spesso e me masse crederanno che sia la verità».

In effetti, osservata da vicino, quella propaganda, tesa all’escalation della paranoia anticomunista, come altre declinate nel nostro Paese anche attualmente, seguiva con sistematicità lo schema descritto da Jospeh Goebbels (riportato nella nota [7]).

La paranoia e l’ignoranza

Nel corso della campagna per il Senato del 1950, ad esempio, il senatore democratico Claude Pepper, in corsa per la rielezione, essendo un noto ideologo del New Deal e un sostenitore determinato del Welfare State, era uno dei bersagli preferiti della destra che lo chiamava «Red Pepper» e lo definiva «il portavoce di Stalin al Senato». Il suo avversario, il repubblicano George Smathers, ne approfittò e, a corto di argomenti, sfruttò l’ignoranza e la paranoia popolare, dicendo che Pepper

era «un estrovertito» che aveva praticato «il nepotismo» con la cognata e «il celibato» prima del matrimonio e che la sorella lavorava su «un carro di Tespi» al Greenwich Village. Non da meno, fu Richard Nixon, che batté la candidata democratica liberal Helen Gaghan Douglas, definendola «compagna di strada dei comunisti» e «Pink Lady».

I fallimentari tentativi di sedare la paranoia assecondandola con moderazione

Uno degli effetti delle campagne di delegittimazione è che chi ne è oggetto non può infischiarsene. Deve reagire. Può farlo contrattaccando e sbugiardando i diffamatori seguaci delmetodo Goebbels” (nota 7). Oppure può tentare di attutire l’urto, facendosi interprete moderato delle istanze politiche, morali e sociali che la campagna di paura e odio sbandiera. I democratici al Congresso e al Senato, prevalentemente, optarono per questa seconda strada, come del resto faceva il presidente Truman. Il quale, in privato, definiva McCarthy

«un artista delle strombazzate pubblicitarie».

Il Tydings Committee e le bugie che il popolo americano si rifiutò di riconoscere

Così, quando, nel febbraio 1950, la maggioranza repubblicana istituì il Tydings Committee, un sottocomitato del Senate Foreign Relations Committee, deputato a svolgere «…uno studio completo ed esaustivo su quali siano gli individui traditori degli Stati Uniti che abbiano avuto o hanno un ruolo all’interno del Dipartimento di Stato», il Presidente del sottocomitato, il senatore democratico Millard Tydings, disse a McCarthy:

«Voi siete l’uomo che ha dato vita a queste udienze, e finché sarò coinvolto in questo comitato avrete una delle più complete indagini mai viste nella storia di questa Repubblica, fino a dove le mie capacità mi permetteranno».

I democratici speravano in tal modo di vanificare la propaganda denigratoria di cui erano fatto segno, ma non funzionò: quando Truman pose il veto alla legge McCarran, che prevedeva la schedatura dei comunisti e delle organizzazioni filocomuniste e l’internamento dei sospetti comunisti in caso di emergenza nazionale, la maggior parte degli americani disapprovò il presidente.

I fanatici del patriottismo cui non importa di minare la fiducia nella democrazia pur di fare carriera

Le udienze del Comitato Tydings durarono dall’apertura, l’8 marzo 1950, fino al 17 luglio dello stesso anno. E fu in tale periodo, il 9 di aprile che il senatore McCarthy dichiarò al Club delle Donne Repubblicane di Wheeling (West Virginia) di avere la lista dei 205 comunisti interni al Dipartimento di Stato e noti al Segretario di Stato, Dean Acheson. Come detto, era una bufala di proporzioni immense, propalata per cinico e spietato calcolo politico, ma la destabilizzazione che creava e la sfiducia che generava nelle istituzioni democratiche erano un regalo favoloso per l’Unione Sovietica.

Millard Tydings, infatti, al termine dei lavori, qualificò le accuse di McCarthy al Dipartimento di Stato come fraudolente e ingannevoli. E accusò a sua volta il senatore repubblicano di

«…confondere e dividere il popolo americano[…] a un livello ben maggiore di quello in cui speravano i comunisti stessi».

MCarthy, però, non ne risentì politicamente. Ormai il sentimento dominante nel popolo americano era dalla sua parte. Nel 1952 venne rieletto al Senato. C’era riuscito. E in tale veste, dal 1953, presiedette il sottocomitato investigativo Senate Committee on Government Operations. Ora poteva sperare di salire qualche altro gradino, magari anche quelli della Casa Bianca. Nel frattempo i repubblicani avevano ottenuto la presidenza degli Stati Uniti, grazie alla candidatura del generale Dwight Eisenhower, che aveva sconfitto il candidato democratico, Adlai Stevenson. Gradito all’ala sinistra del partito, era sgraditissimo agli anti-comunisti, che lo attaccarono definendolo un alleato di Mosca e lo demonizzarono con una ferocia simile a quella con cui avevano denigrato l’ex ministro dell’Agricoltura di Roosevelt, Henry Wallace, che nel ’48 si era dimesso dal partito Democratico, per fondare il partito Progressista, per conto del quale si era candidato alle presidenziali di quell’anno.

Una paranoia difficile da curare

Anche se le denunce costantemente sventolate da McCarthy erano non soltanto prive di prove ma palesemente false, nel loro contenere dati contrastanti sul numero dei funzionari governativi sovversivi, ancora nel novembre del ’53 il 46% dei cittadini riteneva che i repubblicani avrebbero dovuto sollevare nuovamente la questione della presenza dei comunisti nel governo durante gli anni dei governi Roosevelt e Truman. Nel mese di dicembre la maggioranza era ancora convinta che il più urgente provvedimento per il bene del Paese era la cacciata dei comunisti dal governo. E il 50% approvava McCarthy. Poi McCarthy perse buona parte del suo consenso popolare, ma il “maccartismo” durò più a lungo di lui. E, in qualche subdolo modo riemerse sotto la presidenza di Richard M. Nixon.

La paranoia come fabbrica di nemici e strumento di controllo

Del resto ancora nel ’54 solo il 29% degli americani disapprovava il maccartismo. E tra costoro erano pochi quelli appartenenti alle classi meno abbienti, per lo più schierati al fianco dei diffusori della paranoia. Inoltre erano filo-maccartiste buona parte della Chiesa Cattolica e delle comunità italiane e irlandesi, nonché di quella tedesca. Tra gli elettori democratici il dissenso verso il maccartismo non superava il 38% (il 39% era favorevole) e tra quelli repubblicani era appoggiato dal 69%. Per qualsiasi candidato, come confessò poi John Kennedy, opporsi fermamente al maccartismo equivaleva a compiere un suicidio politico. La gran parte degli americani, dunque, non pensava al fatto che le persone imprigionate erano ormai nell’ordine delle centinaia. Per loro, quei “rossi” se lo meritavano. Erano dei traditori, dei sovversivi. Non degli esseri umani come tutti gli altri. Erano sovversivi, traditori. Le vittime, nella mente e nel cuore di milioni di persone, diventavano carnefici. E la loro emarginazione era considerata sacrosanta.

Nessuna pietà per le vittime della paranoia

Decine di migliaia avevano perso il lavoro, semplicemente per il fatto di essere sospettate dalla HUAC, o da altri comitati reazionari, di simpatizzare con i comunisti? Ebbene, che problema c’era? Si trattava soltanto di comunisti. Se l’erano cercata! Anzi, il Paese era fin troppo indulgente nei loro riguardi. Soltanto una minoranza degli statunitensi si indignava per il fatto che liste di sospetti comunisti fossero presenti in quasi tutti gli ambiti lavorativi, nell’università e nelle amministrazioni statali, dove il controllo sconfinava nel parossismo, fino all’industria del cinema e quella della televisione [8].

Né la maggioranza era preoccupata per il fatto che chiunque non fosse corrispondente al conformismo dominante rischiava una denuncia anonima come comunista e, quindi, un’inchiesta basata sulla presunzione di colpa.

Contro le libertà costituzionali e contro ogni ragionevolezza

Non aveva alcun rilievo il fatto che il partito Comunista Americano, anche al momento del suo apogeo, corrispondente all’affermarsi del nazi-fascismo in Europa (ma prima del patto Ribbentrop – Molotov), non fosse mai stato che un partito di nicchia, con un numero di iscritti e di militanti insignificante. Del resto, secondo il pensiero dominante, l’omosessualità, ad esempio, era sinonimo di comunismo. Come lo erano i movimenti per i diritti civili, le critiche al consumismo, il pacifismo, le analisi sociologiche sul disagio sociale, il pensiero liberal, i romanzi e i film, o le opere teatrali, di denuncia, e ogni forma di messa in discussione dell’ “american way of life”. Con buona pace dei principi sanciti dalla Costituzione, comitati spontanei di cittadini e organizzazioni varie effettuavano incursioni nelle biblioteche e nelle librerie per mettere all’indice autori e testi “sovversivi(peraltro, già schedati, come i loro lettori, dall’FBI). Vennero considerati sospettabili di contenere una celata propaganda filo-comunista,  alcuni romanzi noir di Horace McCoy, capolavori come Furore (The Grapes of Wrath) di John Steinbeck , e furono perseguitati (anche dall’FBI) romanzieri e commediografi di successo come Norman MailerArthur Miller, Lillian HellmanDashell Hammett e Bertolt Brecht. Venivano tacciati come radicali o simpatizzanti comunisti perfino personaggi pubblici improbabili come Albert Einstein, Bertrand Russell e la stessa Eleonore Roosevelt. E, se la Commissione per i libri di testo dello Stato dell’Indiana bandiva Robin Hood, perché «rubava ai ricchi e dava ai poveri», e i rapporti Kinsey finivano nel mirino, perfino a Charlie Chaplin, che aveva la cittadinanza inglese, il ministero della Giustizia americano aveva negato il permesso di rientrare negli USA.

Non per nulla “maccartismo” e “caccia alle streghe” divennero nel secolo scorso sinonimi.

Alberto Quattrocolo

[1] Di fatto McCarthy non disponeva di nomi di persone definibili come filosovietiche o comuniste. Le sue “prove” per l’inesistente lista provenivano dagli elenchi dei fascicoli riguardanti il grado di lealtà del Dipartimento di Stato  – si veda più avanti nel testo e nella 4) il riferimento al Federal Employees Loyalty and Security Act -, dai quali questi nomi erano stati cancellati.

[2] Già in passato, durante la campagna elettorale per il Senato degli Stati Uniti, le aveva sparate grosse contro i suoi avversari (ad esempio, rinfacciando a Robert M. La Follette Jr., noto repubblicano progressista, di non avere combattuto nella Seconda Guerra Mondiale, anche se all’epoca dell’attacco giapponese alla base di Pearl Harbour, costui aveva già 46 anni). Così come nel suo primo giorno da senatore, quando aveva convocato una conferenza stampa per proporre di far cessare un lungo sciopero dei minatori del carbone, arruolandoli forzatamente nell’esercito, così da poterli sottoporre alla corte marziale in caso di rifiuto a riprendere il lavoro.

[3] Dal ’47, sotto la presidenza di J. Parnell Thomas, raggiunse le vette della visibilità prendendo di mira soprattutto Hollywood, dove lavoravano molti artisti europei costretti a emigrare negli States dopo l’avvento del nazismo (ne abbiamo parlato in moli post, inclusi quelli su Spencer Tracy, Richard Widmark e Paul Newman). Tra i membri della Commissione mosse i primi passi, il deputato della California, Richard M. Nixon.

[4] Questo programma di fedeltà degli impiegati federali fece diventare, da un giorno all’altro, “sospetti” ben 2.500 dipendenti pubblici, cui fu richiesto di sottoporsi ad uno speciale procedimento ispettivo di sicurezza.

[5] Il termine era già stato usato dal repubblicano Warren G. Hardings, che lo aveva usato vittoriosamente nella sua corsa alla presidenza del 1920. Quando fu chiesto al repubblicano Boise Penrose il significato di “americanismo”, la risposta fu: «Che mi venga un accidente se lo so! Ma state certi che gli porterà un sacco di voti».

[6] Questa trovava alimento in fatti reali, quali: il colpo di Stato comunista in Cecoslovacchia (lo abbiamo ricordato rievocando la morte di Jan Palach), che rafforzava il controllo sovietico nell’Europa orientale; la fisiologica lentezza con cui il Piano Marshall portava la ripresa economica nell’Europa occidentale, facendola percepire come vulnerabile alla seduzione comunista; la vittoria di Mao in Cina contro le forze nazionaliste di Chang Kai-shek, ritiratosi a Formosa.

[7] Joseph Goebbels (di cui abbiamo parlato nel post Goebbels, Fritz Lang e la propaganda cinematografica nazista), dal 1933 al 1945 Ministro della Propaganda del Terzo Reich, fissò alcuni principi per la propaganda. Il Principio della semplificazione e del nemico unico: è necessario adottare una sola idea, un unico simbolo. E, soprattutto, identificare l’avversario in un nemico, nell’unico responsabile di tutti i mali. Il Principio del metodo del contagio: riunire diversi avversari in una sola categoria o in un solo individuo. Il Principio della trasposizione: caricare sull’avversario i propri errori e difetti, rispondendo all’attacco con l’attacco. E se non si possono negare le cattive notizie, ne vanno inventate di nuove per distrarre. Il Principio dell’esagerazione e del travisamento: trasformare qualunque aneddoto, per piccolo che sia, in minaccia grave. Principio della volgarizzazione: tutta la propaganda deve essere popolare, adattando il suo livello al meno intelligente degli individui ai quali va diretta. Quanto più è grande la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale da realizzare. La capacità ricettiva delle masse è limitata e la loro comprensione media scarsa, così come la loro memoria. Principio di orchestrazione: la propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentarle sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto. Senza dubbi o incertezze. “Una menzogna ripetuta all’infinito diventa la verità”. Il Principio del continuo rinnovamento: Occorre emettere costantemente informazioni e argomenti nuovi (anche non strettamente pertinenti) a un tale ritmo che, quando l’avversario risponda, il pubblico sia già interessato ad altre cose. Le risposte dell’avversario non devono mai avere la possibilità di fermare il livello crescente delle accuse. Principio della verosimiglianza: costruire argomenti fittizi a partire da fonti diverse, attraverso i cosiddetti palloni sonda, o attraverso informazioni frammentarie. Principio del silenziamento: passare sotto silenzio le domande sulle quali non ci sono argomenti e dissimulare le notizie che favoriscono l’avversario. Principio della trasfusione: svolgere la propaganda sempre a partire da un substrato precedente, si tratti di una mitologia nazionale o di un complesso di odi e pregiudizi tradizionali. Si tratta di diffondere argomenti che possano mettere le radici in atteggiamenti primitivi. Principio dell’unanimità: portare la gente a credere che le opinioni espresse siano condivise da tutti, creando una falsa impressione di unanimità.

[8] Per quanto riguarda la lista nera di Hollywood, si stima che più di 300 tra attori e registi furono allontanati dall’industria cinematografica e addirittura dagli stessi Stati Uniti.

Fonti

Andrea Barbato, Come si manipola l’informazione, Editori Riuniti, Roma, 1996

Robert Dalleck, John Fitzgerald Kennedy, una vita incompiuta, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, 2004

Sciltian Gastaldi, Assalto all’informazione. Il maccartismo e la stampa americana, Lindau s.r.l., Torino, 2004.

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