Riflessioni filosofiche: La mediazione dei conflitti e il concetto di applicazione.

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La mediazione dei conflitti usa delle tecniche, ma non è una tecnica.

Infatti, in questo post di Maurizio D'Alessandro, prendendo le mosse da Hans Georg Gadamer, il pensatore che più ha contribuito al recupero di Aristotele nell’ermeneutica del Novecento, giunge ad affermare:

«Non si nega che la mediazione dei conflitti si avvalga di tecniche ripetibili, insegnabili e, dunque, trasmissibili, ma solo che essa usa delle tecniche senza essere essa stessa una tecnica. Il mediatore, perciò, è tenuto a tenere sempre in conto il singolo caso particolare che non va posto acriticamente sotto una categoria “tecnico-scientifica”, ma messo in relazione a più valori, massime dell’azione, norme etc. affinché il singolo caso stesso non risulti soffocato da una "proceduralizzazione” dell’agire che tenga in considerazione più i temi - quali: conflitto, sistema giudiziario, mediazione - che non i vissuti di colui il quale quel conflitto sta vivendo e che deve essere tutelato dal desiderio del mediatore di strumentalizzare conflitti e confliggenti per fini propri e che sono estranei allo spirito di neutralità, libertà di scelta, accoglienza del conflitto che dovrebbero caratterizzare queste forme di pratica».

Ma occorre leggere il post, per comprenderne i passaggi e rifletterci sopra.

Figli e mediazione familiare: è giusto coinvolgerli?

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"Quale è il ruolo dei figli durante il conflitto tra i genitori?
I figli possono sembrare spettatori passivi rispetto alle discussioni che coinvolgono i genitori ma, la maggior parte delle volte, gli stessi vengono trascinati all’interno del conflitto e si trovano in una posizione molto
svantaggiata poiché lo subiscono e non possono avere “voce in capitolo” a riguardo.
Ecco perché appare evidente quanto sia importante il dialogo tra genitori e figli, in particolare modo quando la coppia si trovi ad affrontare un passaggio molto delicato quale quello della separazione.
E’ altrettanto evidente quanto questo risulti difficile, soprattutto in questa fase nella quale la coppia è prevalentemente impegnata a farsi la guerra e risulta, per la maggior parte delle volte, cieca nei confronti di quello che sarebbe bene per i figli."
Ci chiediamo, quindi, se sia giusto coinvolgerli, facendoli divenire parte attiva al percorso di mediazione familiare.

La mediazione familiare, tra obbligatorietà e dovere di informazione

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Ancora oggi la stragrande maggioranza delle coppie, in contenzioso per una separazione o un divorzio, non conoscono la mediazione familiare e le poche che l'hanno sentita nominare, ne ignorano la natura, le finalità e le modalità di svolgimento. In questo gli avvocati non sono abbastanza d'aiuto. Del resto è un dovere per l’avvocato informare il cliente in tema di mediazione civile e commerciale, come lo è farlo per la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita, ma nulla è invece previsto per la mediazione familiare, se non nel caso in cui si sia raggiunto un accordo a seguito di negoziazione assistita. 

Quindi, più che all'obbligatorietà della mediazione familiare, occorrerebbe pensare all'obbligatorietà della somministrazione di un'informazione corretta ed esaustiva.

La violenza sui social e la mediazione dei conflitti: una proposta di Social Media Conflict Management

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Come possiamo reagire alla tendenza crescente ad una comunicazione sempre più violenta sui social? Rispondiamo all’odio con un altro odio, che è frutto della paura e dell’angoscia suscitate dall'odio delle comunicazioni violente? Reagiamo con la violenza verbale alla violenza verbale? Demonizziamo chi, comunicando in modo violento, diffonde la violenza, finendo così anche noi con il contribuire alla demonizzazione altrui e alla legittimazione culturale della violenza? Oppure pensiamo alla de-escalation, cioè tentiamo di disinnescare le premesse della violenza, come, ad esempio, la de-umanizzazione dell'altro? Se la mediazione dei conflitti approdasse sui social (si potrebbe chiamarla Social Media Conflict Management), adempirebbe anche ad una funzione culturale: contribuirebbe a riabituarci a pensare (quindi anche a leggere e a ragionare) anche sui social. 

La mediazione e lo sviluppo delle comunità

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Analizzando le dinamiche del conflitto all'interno delle comunità, inclusi i temi della leadership basata sulla contrapposizione radicale, della demonizzazione dell’altro gruppo sociale e delle narrazioni mediatiche che la alimentano, Sara Mela riflette sulle possibilità dell'Ascolto e Mediazione dei Conflitti di contribuire allo sviluppo locale delle comunità.

I doveri di informazione del mediatore familiare

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Come si adempie in concreto al dovere di informazione? Daniela Meistro Prandi evidenzia il senso e gli aspetti pratici del primo colloquio informativo, mettendo il rilievo come essi abbiano in primo luogo un significato relazionale, coerentemente anche con un'impostazione la cui principale risorsa è l'ascolto empatico. In questa prospettiva ci si sofferma anche sul rapporto del mediatore familiare con gli altri professionisti.

La libertà della mediazione, tra “prassi” e “tecnica”

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Prendendo spunto dall'Orestea di Eschilo, si  svolgono delle considerazioni sulla funzione della mediazione "in una società sempre più arrabbiata" e sulla libertà di avvalersene: infatti, "se la polis, la città, lo stato, è il luogo in cui il cittadino esercita la propria libertà, come può uno stato obbligare il cittadino a seguire, un percorso contro la propria stessa volontà?" 

Il riconoscimento e la mediazione

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Se è vero che molto spesso alla base dell'innesco del conflitto c'è un vissuto di mancato riconoscimento, che non raramente dà luogo a reazioni comportamentali foriere di analoghi vissuti in capo all'altro, qual è il compito del mediatore rispetto a tale dinamica conflittuale? Stimolare il riconoscimento reciproco oppure porsi egli stesso come soggetto che fa sentire riconosciuti gli attori del conflitto? 

La mediazione familiare come relazione

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La mediazione familiare non è un mero intervento tecnico, non è una procedura: come altre professioni, è, in primo luogo, una relazione. Una relazione tra persone.

Il conflitto non ha genitori e il mediatore deve tenerne conto

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Come la sconfitta, così il conflitto non ha genitori perché tutte le parti pensano che è stato l’altra ad iniziare le ostilità, si percepiscono come coloro che lo subiscono ma non lo agiscono e perché sono convinti di reagire al comportamento ingiusto altrui. Come deve porsi il mediatore di fronte a quest’assenza di genitori del conflitto? Occorre che ne tenga conto, poiché la sua sottovalutazione può pregiudicare irrimediabilmente non soltanto l’andamento e l’esito del percorso, ma ancor di più e ancor prima, la relazione tra il mediatore e le parti.