Quando il conflitto crea una spirale di violenza senza fine

Un’altra dittatura della prima metà del ‘900 riempie la nostra rubrica: è la volta della Romania di Antonescu, macchiatasi anch’essa di atroci delitti. Quello che ricorre oggi, dopo 81 anni, vede la cattura e l’uccisione di oltre sessanta personalità politiche, come rappresaglia per un omicidio avvenuto in precedenza. Paradossalmente (o forse no), la vasta azione di vendetta non fu espressione di un ordine del despota: la Guardia di Ferro, infatti, agì in piena autonomia, con l’obiettivo di riscattare l’onore del proprio fondatore, ucciso due anni prima per ordine di Re Carlo II.

Quest’ultimo era un forte oppositore della Guardia, partito di estrema destra che prendeva anche il nome di Legione dell’Arcangelo Michele, mentre i suoi membri erano soprannominati Camicie verdi, in ragione della loro divisa. Il monarca, quando ancora ne aveva la possibilità, li mise dunque fuori legge e ne catturò il capo, Corneliu Zelea Codreanu. Ne ordinò altresì la morte, che per lungo tempo fu giustificata da un presunto tentativo di evasione. Quando però, due anni dopo, le Guardie di ferro vennero a conoscenza della verità (non ci fu alcuna tentata evasione), ebbero la possibilità di rivalersi sul nemico, allora molto indebolito.

 

Carlo II fu infatti costretto ad abdicare in favore del figlio il 6 settembre 1940, cosicché il generale Antonescu potesse essere proclamato conducător (equivalente al nostrano duce), assumendo su di sé i poteri di Capo di Stato e di Governo. Vice presidente del Consiglio era all’epoca Horia Sima, successore di Codreanu alla guida delle camicie verdi. Da oppressi a oppressori: senza aspettare il consenso del dittatore, la Guardia di Ferro condannò a morte i prigionieri ritenuti essere in relazione con l’assassinio del proprio fondatore.

Dal canto suo, Antonescu non prese bene questa decisione autonoma e il contrasto si trasformò in ribellione: il conducător fu costretto a chiamare l’esercito per reprimere, ancora un volta nel sangue, i moti d’insurrezione.

Alessio Gaggero

 

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