In Albania non portammo ordine, giustizia e pace

Cosa aveva fatto di male il governo dell’ Albania a quello dell’Italia? Niente. Quali erano i torti commessi dal suo popolo nei confronti di quello italiano? Nessuno. Però il 6 aprile del 1939, un anno prima di entrare in guerra al fianco di Hitler, l’Italia invase l’ Albania.

I trattati di amicizia con il Regno di Albania

Il Regno di Albania era stato un protettorato italiano temporaneo verso la fine della Prima Guerra Mondiale. Poi, con i trattati del 20 luglio e del 2 agosto del 1920, l’Italia aveva riconosciuto l’indipendenza e la piena sovranità dell’ Albania, ritirando le proprie truppe dal suolo albanese e conservando solo l’isolotto di Saseno, come garanzia del controllo militare italiano sul canale di Otranto. Ma con l’avvento al potere di Benito Mussolini, non solo per gli italiani, ma anche per gli albanesi iniziarono i guai.

Dal trattato segreto del 1925 all’inaccettabile patto del ‘39

Già nel ’25 Mussolini diede attuazione alle sue mire espansionistiche verso i Balcani interfacciandosi con Ahmed Zog, già primo ministro, divenuto presidente della neonata Repubblica albanese. Costui firmò una serie di accordi con l’Italia, tra cui anche un trattato miliare segreto in virtù del quale metteva a disposizione dell’Italia il suo territorio nel caso in cui Mussolini avesse mosso guerra alla Jugoslavia. Con la successiva (1933) trasformazione da parte di Zog della Repubblica in una monarchia, con lui stesso come sovrano, l’intensità dei rapporti con il governo di Mussolini crebbe ulteriormente [1]. Il 25 marzo del 1939 Mussolini mise ancor di più alle strette Ahmed Zog con una proposta di trattato irricevibile. Di fatto l’Albania doveva diventare una sorta di protettorato italiano e per di più l’art. 8 prevedeva, sia pur implicitamente (ma i funzionari albanesi degli Esteri e Zog se ne accorsero subito), una colonizzazione da parte dei cittadini italiani, che avrebbe reso gli albanesi dei soggetti di secondo livello a loro asserviti.

Il turno dell’ Albania

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Mussolini, in realtà, da tempo cercava una scusa per prendersi l’ Albania. Come per l’Etiopia (ne abbiamo parlato qui, all’interno di questa rubrica) si trattava di dare corso al suo sogno di ripristinare i fasti dell’Impero Romano. Inoltre, era frustrato dalla competizione con Adolf Hitler, che stava imponendo il proprio dominio o divorando territori a spese degli stati limitrofi, Austria e Cecoslovacchia incluse, senza patire conseguenze di rilievo da parte della comunità internazionale. Però, molte risorse italiane erano state destinate fino a quel momento non solo nell’occupazione criminale dell’Etiopia (l’abbiamo ricordata qui, qui e qui), ma anche dalla partecipazione alla guerra civile spagnola ( si veda questo post), perciò il duce nostrano preferì temporeggiare. Terminata quella guerra, il 6 aprile del ’39, però, venne il turno dell’Albania. Infatti, il 2 aprile, non avendo ricevuto risposta dall’Albania, il governo italiano ripresentò la proposta. Questa volta sotto forma di ultimatum, imponendo come scadenza il 6 aprile. Il giorno prima del termine il governo albanese rese nota la sua opposizione, seguito dal parlamento il giorno successivo. In quasi tutte le città dell’ Albania si ebbero manifestazioni nelle quali il popolo chiedeva di essere armato per combattere il nemico che stava per invadere la sua terra.

Da stato indipendente a Protettorato Italiano

Le truppe italiane ebbero gioco facile nell’impossessarsi del territorio albanese. L’operazione costò infatti soltanto 93 morti tra i 22.000 militari italiani, a causa di una resistenza armata improvvisata e inadeguata [2]. L’8 aprile i giornali italiani titolavano le loro prime pagine con esultanti dichiarazioni quali:

«Le armi dell’Italia in Albania recano l’ordine, la giustizia, la pace.»

Immediatamente fu costituito dagli italiani un governo fantoccio che, 6 giorni dopo (il 12 aprile) approvò una nuova Costituzione, in base alla quale l’ Albania cessava di uno stato indipendente diventando il Protettorato Italiano del Regno d’Albania, il cui trono veniva assegnato al Re d’Italia Vittorio Emanuele III.

La colonizzazione italiana

Subito Mussolini spedì 11.000 coloni dal Veneto e dall’Italia meridionale nelle zone di Durazzo, Valona, Scutari, Porto Palermo, Elbasani e Santi Quaranta. A costoro, un anno dopo, si aggiunsero altri 22.000 italiani spediti in Albania nell’aprile 1940 per modernizzare, a beneficio degli interessi italiani, inclusi quelli bellici, un Paese che a tutti gli effetti era diventato una colonia. Vennero, perciò, costruite infrastrutture, strade e ferrovie.

Lo sfruttamento dell’ Albania

Durante il periodo della stabilizzazione del regime fascista, nel paese vi furono molte rivolte e scioperi degli operai che lavoravano nelle aziende italiane sorte in Albania. Gli operai richiedevano migliori salari, rivendicavano migliori condizioni di lavoro e una riduzione delle tasse. Inoltre, sentivano il peso della discriminazione, visto che le autorità italiane accordavano un trattamento di favore ai lavoratori italiani rispetto agli operai di nazionalità albanese.

L’ Albania e «le reni della Grecia»

Ma oltre alle loro più immediate finalità economiche, tali opere avevano anche un altro significato. Per Mussolini l’ Albania non era soltanto un altro lembo di terra altrui da aggiungere ai domini italiani. Era anche un grimaldello per spalancare la porta ad una, a lungo pregustata, ben più vasta espansione nei Balcani. Un anno dopo, infatti, il ruolo assegnato da Mussolini all’ Albania divenne chiaro: era la base da cui muovere alla conquista della pacifica Grecia. Non per caso si trovavano in Albania fin dal 1939 circa 100.000 soldati italiani.

I bagni di sangue in Albania per soffocare la resistenza

La guerra di Grecia, però, rivelò tutta la cialtronaggine del regime fascista e la debolezza militare italiana. Anziché “rompere le reni alla Grecia“, come aveva solennemente annunciato Mussolini, i greci non solo resistevano, ma ricacciavano gli attaccanti italiani da dove erano partiti: l’ Albania. I partigiani albanesi non tardarono a prenderne atto e a farsi coraggio. Ma le truppe di occupazione italiane, come fecero poi in altre parti dei Balcani e come già avevano mostrato in Etiopia e in Spagna, non esitarono a dimostrarsi capaci di una criminale brutalità contro i civili. Rastrellamenti e razzie, impiccagioni e uccisioni arbitrarie, incendi di villaggi e devastazione dei campi e delle greggi.  Tra i tanti vergognosi bagni di sangue, si possono ricordare quelli del luglio ‘43, allorché vennero rasi al suolo 80 villaggi e fu commesso l’eccidio di Mallakasha. Questo sarà ricordato come la “Marzabotto albanese”.

Rappresaglie, fucilazioni, impiccagioni, torture, deportazioni e campi di concentramento

In realtà, la popolazione albanese aveva già riconosciuto il volto spietato dell’occupazione, ancor prima che l’Italia entrasse nella Seconda Guerra Mondiale, al fianco della Germania nazista. Il 2 giugno del 1939, a meno di due mesi dall’invasione, era stato costituito il partito fascista albanese, sottoposto direttamente allo stesso Mussolini. Il giorno dopo un decreto aveva imposto a tutti i dipendenti pubblici di giurare fedeltà al re d’Italia e ai suoi discendenti, pena la sospensione dal lavoro. Inoltre, già il 12 maggio 1941, la fucilazione del giovane operaio albanese Vasil Laci, autore del fallito attentato contro il Re Vittorio Emanuele III, a Tirana, aveva provocato una rivolta popolare contro gli invasori italiani. L’esercito, le milizie fasciste e il governo collaborazionista albanese immediatamente avevano reagito con cruente e numerose rappresaglie sulla popolazione civile.

Stupisce poco, quindi, che oltre alle centinaia di civili uccisi nell’episodio di Mallakasha, gli italiani arrestassero, torturassero, impiccassero in piazza, deportassero nelle carceri di Bari e Brindisi o rinchiudessero nei campi di concentramento presenti sul territorio albanese chiunque fosse, anche solo vagamente, sospettabile di simpatizzare con i partigiani o con gli oppositori politici.

Alberto Quattrocolo

 

[1] Già si era verificato una sorta di colonizzazione sotterranea in ambito finanziario e petrolifero, ma a partire dall’agosto del ’33, la penetrazione italiana si si ebbe anche sul piano culturale: divenne obbligatorio l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua in tutte le scuole del regno.

[2] Il Re Zog e il suo governo ripararono in Grecia.

Fonti

Davide Conti, L’occupazione italiana dei Balcani. Crimini di guerra e mito della «brava gente» (1940-1943), Odradek, Roma,  2008.
Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa (1940-1943), Bollati Boringhieri, Torino, 2003.

https://razzismocolonialevenezia.wordpress.com/2017/01/11/loccupazione-italiana-dellalbania/

http://www.storiaxxisecolo.it/Resistenza/resistenzaeuro9.htm

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