30 agosto 1918: attentato a Lenin e immediata risposta bolscevica

Prima di Lenin…

30 agosto 1918, Pietrogrado (oggi San Pietroburgo). Sono da poco trascorse le 10.00 della mattina, quando Moisej Solomonovič Urickij esce dal proprio ufficio. Non è ancora salito in macchina, e non ci salirà mai: “Un buco al posto dell’occhio sinistro”, causato dall’arma di un giovane cadetto militare, lo costringe per terra in un lago di sangue. Morirà poco dopo in ospedale.

Urickij era a capo della Čeka della propria città, il cui nome per esteso era Commissione Straordinaria: più precisamente, si trattava della polizia politica del tempo, antenata del più celebre KGB e dell’odierno FSB. Soprattutto, era da lungo tempo affezionato alla causa della Rivoluzione, legame che gli costò due volte l’esilio in epoca pre sovietica.

Lenin, venuto a conoscenza dell’omicidio a breve distanza di tempo, riconobbe la perdita che tale evento infliggeva alla Rivoluzione stessa, considerata anche la partecipazione del compagno bolscevico alla riunione in cui si decise di rovesciare il governo.

 

Lenin era invece a Mosca

Nonostante l’apprensione di chi lo circondava, l’allora Presidente del Consiglio dei commissari della Repubblica prestò fede ai propri impegni e tenne il comizio programmato presso una fabbrica di un quartiere popolare di Mosca. Al termine, si fermò a parlare con un gruppo di persone, mentre raggiungeva la macchina. Lenin, a differenza del compagno, riuscì a salire sul mezzo, ma solo dopo essere stato gravemente ferito alla testa con un’arma da fuoco. Fu portato al Cremlino, per poter godere della sicurezza che contraddistingueva il quartier generale sovietico, dove recuperò la salute solo parzialmente, non potendo usufruire della strumentazione medica di un ospedale. C’è chi sostiene che l’ictus che lo stroncò nel 1924 affondasse le sue radici in quei momenti.

Fanja Kaplan, questo il nome dell’attentatrice. Attivista anarchica fin dall’adolescenza, trascorse 11 anni di detenzione in vari luoghi, compresa una miniera siberiana, per un altro tentato omicidio contro l’allora impero zarista. Terminata la detenzione con la Rivoluzione di febbraio, si convertì alla causa socialista e combatté per essa. I duri conflitti tra bolscevichi e socialisti, che portarono anche allo scioglimento dell’Assemblea costituente, mostrarono a Kaplan la vera natura di Lenin: era un traditore della Rivoluzione. Questo il motivo alla base dell’attentato.

Il Terrore rosso

La rappresaglia dei bolscevichi per i due fatti fu violentissima. Cinquecento prigionieri di Pietrogrado furono giustiziati il giorno stesso; altri trecento morirono nel mese successivo; le piazze diventarono teatro di fucilazioni di ex ufficiali zaristi e socialisti rivoluzionari. In tutta la Russia scorreva il sangue dei nemici della rivoluzione, soprattutto di quelli senza armi: furono emesse 6185 condanne a morte. Chissà quanti morirono in realtà. Il Terrore Rosso era drammaticamente in atto.

Alessio Gaggero

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