1993, strage di via de’ Georgofili a Firenze

Ne capite qualcosa di politica voi? No! È bene allora che ci portiamo dietro un po’ di morti, così si danno una mossa.
(Giuseppe Graviano, capomafia palermitano)

All’1,04 del 27 maggio 1993 un ordigno montato su un furgone Fiat Fiorino bianco e composto di 250 chili di tritolo, T4, pentrite e nitroglicerina esplode a Firenze in via dè Georgofili, un antico vicolo a pochi passi da piazza Signoria. La deflagrazione, cui segue un incendio, distrugge la Torre dè Pulci, sede dell’Accademia dè Georgofili, e sventra il centro storico della città. Nell’attentato perdono la vita la custode dell’Accademia, Angela Fiume, suo marito Fabrizio Nencioni, le loro bambine Nadia e Caterina e lo studente di architettura Dario Capolicchio. Decine di altre persone rimagono ferite, tra cui la giovane Francesca Chelli, che assiste impotente alla morte del suo compagno Dario, arso vivo.

Molti altri palazzi vengono danneggiati: la Galleria degli Uffizi, Palazzo Vecchio, la Chiesa dei Santi Stefano e Cecilia al Ponte Vecchio e l’Istituto e Museo di Storia della Scienza, oltre a numerose opere d’arte conservate in quegli edifici. Enorme anche il danno economico: per ricostruire la torre, riparare la chiesa e il complesso degli Uffizi e restaurare le opere rovinate, saranno spesi più di 30 miliardi di lire.

Gli abitanti, feriti e sconvolti, si precipitano in strada mentre giungono i primi soccorsi. Per qualche ora si pensa a una fuga di gas, ma all’alba diviene chiaro che l’evento ha una matrice diversa: il gigantesco portone di legno massiccio di un palazzo vicino è stato completamente scardinato e nel cortile c’è il motore del Fiorino, scagliato a distanza dall’esplosione; i vigili, rimuovendo le macerie, portano alla luce un enorme cratere di forma ellittica, largo quasi 5 metri e profondo un metro e mezzo. Si inizia a parlare di attentato: l’ingente quantità di esplosivo impiegato e la sua composizione, simile a quella usata l’anno precedente a Palermo per uccidere il giudice Borsellino, indirizzano le indagini verso la pista mafiosa.

La mattina successiva, con due telefonate anonime all’Ansa di Firenze e Cagliari, la “Falange Armata” rivendica la strage; per capire di chi si tratti occorre fare un passo indietro. Nel gennaio del ‘92 si era concluso il maxi-processo di Palermo, iniziato nel 1986 e istruito dal pool antimafia di Antonio Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per la prima volta aveva trovato applicazione l’articolo 416 bis, il carcere duro per i reati di stampo mafioso, ed erano stati comminati 19 ergastoli, 2665 anni totali di reclusione e multe per 11 miliardi di lire, con le condanne in contumacia anche di Totò Riina e Bernardo Provenzano, latitanti.

Dopo le sentenze di Palermo, l’organo direttivo dei boss di Cosa Nostra più potenti decide di dare inizio a una catena di attentati, rivendicandoli con il nome di “Falange Armata”. I fatti di Firenze sono da inquadrarsi all’interno di una strategia più ampia, con la quale la mafia mira a incutere timore nell’opinione pubblica, ricattare lo Stato e imporsi come suo interlocutore diretto, in particolare per farsi approvare alcune richieste (il famoso “papello” di Ciancimino), tra le quali l’annullamento del 416 bis e la revisione della sentenza del maxi-processo. Nel biennio ‘92-93 numerosi eventi criminosi possono inscriversi in questo disegno: i falliti attentati ai danni di personalità di spicco, gli omicidi Lima e Salvo, le stragi di Capaci e via d’Amelio, gli attentati a Firenze, Roma e Milano, il fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma.

Il pentito Giovanni Brusca ha spiegato che fino al luglio del ’92 gli obiettivi di Cosa Nostra erano sempre stati uomini delle istituzioni e mai si era pensato a un attacco al patrimonio artistico e storico. Fu un oscuro personaggio, Paolo Bellini, estremista nero, assassino, ladro di quadri e di oggetti di antiquariato, informatore dei carabinieri e probabile collaboratore dei servizi segreti, a far comprendere ai mafiosi che l’attacco ai tesori d’arte avrebbe potuto piegare lo Stato: “Se tu a Pisa vai a togliere la torre, è finita Pisa”, ovvero, ucciso un giudice o un poliziotto questi viene sostituito, ma distrutta la torre di Pisa va distrutta una cosa insostituibile con incalcolabili danni per lo Stato. E proprio in questa ottica e a conferma di un disegno criminoso volto a condizionare il funzionamento degli istituti democratici e la vita civile del Paese, seguendo le medesime modalità esecutive, la mafia fa seguire alla strage di via de’ Georgofili quella al Padiglione di Arte Contemporanea a Milano, il 27 luglio, e, il giorno successivo, a distanza di cinque minuti, gli attentati ai danni della Basilica di San Giovanni e della chiesa di San Giorgio a Velabro a Roma.

Nel ‘94 la Procura di Firenze acquisisce tutte le indagini sugli attentati di Roma, Firenze e Milano, condotte dal procuratore capo Pier Luigi Vigna e dai sostituti procuratori Fleury, Chelazzi e Nicolosi, basandosi soprattutto su analisi di tabulati telefonici e sulle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia. Nel ’98 le prime sentenze della Corte d’Assise di Firenze affermano la colpevolezza di molti nomi eccellenti di Cosa Nostra, tra cui Provenzano e Messina Denaro, e due anni dopo saranno condannati per i medesimi fatti anche Totò Riina e Giuseppe Graviano, le cui posizioni erano state stralciate dal processo principale. Nel 2011, grazie alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, condannato nel ’98 e divenuto collaboratore di giustizia dieci anni dopo, sono condannati per la strage di Firenze ulteriori uomini di Cosa Nostra, tra cui il palermitano Francesco Tagliavia.

Già nel ’94 lo stesso pool di magistrati fiorentini apre un secondo filone d’indagine parallelo, per accertare le responsabilità negli attentati del ‘93 di eventuali suggeritori o concorrenti esterni all’organizzazione mafiosa, i cosiddetti “mandanti occulti”: “Cosa Nostra è divenuta compartecipe di un progetto disegnato e gestito insieme ad un potere criminale diverso e più articolato, dando vita a quello che ben può definirsi “potere criminale integrato” […]. Gli investigatori hanno notato che le sottili valutazioni sugli effetti di una campagna terroristica e lo sfruttamento del conseguente condizionamento psicologico non sembrano il semplice frutto della mente di un criminale comune, sia pure mafioso: si riconosce in queste operazioni di analisi e valutazione una dimestichezza con le dinamiche del terrorismo e con i meccanismi delle comunicazioni di massa e anche una capacità di sondare gli ambienti politici e di interpretarne i segnali. Si potrebbe pensare ad una aggregazione di tipo orizzontale in cui ciascuno dei componenti è portatore di interessi particolari.”. Vengono iscritti nel registro degli indagati anche esponenti politici, tra cui Silvio Berlusconi e Marcello dell’Utri, ma nel 2008 la Procura di Firenze, in assenza di ulteriori risultati investigativi, archivia l’inchiesta.

Le indagini sugli attentati del biennio ’92-93 gettano luce su uno scenario ancor più complesso. La motivazione della sentenza di primo grado del processo del ’98 ritiene sufficientemente provati i contatti tra Vito Ciancimino (ex sindaco di Palermo e riconosciuto interlocutore di Cosa Nostra) e il ROS, basandosi sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Brusca, del generale Mario Mori e del capitano De Donno, i quali sostennero di avere preso l’iniziativa per riuscire a catturare qualche latitante e cercare di impedire altre stragi: la sentenza afferma esplicitamente che si trattò di una “trattativa”. Nel 2011 il collegio giudicante di Firenze, nel condannare una quindicina di boss per la strage di via dei Georgofili, dedica cento pagine della motivazione della sentenza esclusivamente al movente degli attentati in continente e alla trattativa tra uomini di stato e mafiosi. Si legge nella prima pagina: “Una trattativa indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des. L’iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia”.

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L’inchiesta sulla trattativa, avviata a Firenze, viene trasferita alle Procure di Caltanissetta e Palermo e conduce al rinvio a giudizio per dodici imputati, tra cui i capimafia Riina e Provenzano, ma anche gli ex ufficiali del ROS Mori e Subranni, i senatori Dell’Utri e Mannino, accusati di attentato a un corpo politico. L’ex ministro dell’Interno Mancino risponde per falsa testimonianza, mentre Giovanni Conso, Adalberto Capriotti e Giuseppe Gargani sono accusati di aver dato false informazioni ai pubblici ministeri. Il 20 aprile 2018 viene pronunciata la sentenza di primo grado, con la quale vengono condannati a dodici anni di carcere Mori, Subranni, Dell’Utri, Cinà, a otto anni De Donno, a ventotto anni il boss Leoluca Bagarella; sono prescritte, come richiesto dai pubblici ministeri, le accuse nei confronti di Giovanni Brusca, e viene assolto Nicola Mancino.

Al netto delle condanne (non definitive) e del controverso dibattito sulla trattativa presso le istituzioni e la società civile, il processo mette anche in luce il ruolo assunto da forze politiche emergenti nei primi anni Novanta, su tutte Forza Italia e le “leghe autonomiste” siciliane, nel proporsi come nuovi referenti istituzionali per i clan mafiosi dopo lo scompiglio politico causato dall’inchiesta Mani Pulite.

Qualche anno fa, in occasione della laurea di Francesca Chelli, ferita nell’attentato di Firenze, la madre Giovanna, presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime di quella strage, ebbe a dire:

Questa laurea di mia figlia è la rivincita su quei 300 chili di tritolo usato sulla pelle di innocenti per nascondere ancora una volta le miserie di chi ha dato alla mafia la possibilità di andare in Parlamento.

 

Silvia Boverini

Fonti: www.it.wikipedia.org; W. Fortini, “Prima e dopo la strage dei Georgofili: Palermo, Capaci e poi gli attentati a Roma e Milano”, http://www.toscana-notizie.it; www.strageviadeigeorgofili.org; F. Selvatici, “Così la mafia colpì Firenze. Georgofili, storia di una strage”, https://firenze.repubblica.it; G. Maggiani Chelli, “Strage via dei Georgofili, la sentenza d’appello conferma: trattativa ci fu”, www.ilfattoquotidiano.it; A. Pacini, “La strage di via dei Georgofili”, http://www.cosavostra.it; G. Pellini, “Cosa successe a Firenze 23 anni fa. La strage di via dei Georgofili e la «Falange Armata»”, https://left.it; A. Pettinari, “Strage dei Georgofili, 25 anni dopo si riparte dai ”mandanti esterni”” e L. Baldo, “Strage dei Georgofili: una verità (ancora) a metà”, www.antimafiaduemila.com; www.ilpost.it; www.interno.gov.it

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