7 novembre 1944, battaglia di Piazza Lame a Bologna

Chi fosse giunto a Bologna, nell’autunno del 1944, avrebbe trovato la città con numerosi quartieri semidistrutti e in buona parte ancora ingombri dalle macerie, poiché i bombardamenti aerei anglosassoni si erano succeduti con ritmo e intensità sempre crescenti. La zona più colpita è quella di Porta Lame, dove non abita più alcun cittadino e quasi nessuno transita nei pressi degli imponenti ruderi di quello che era stato l’Ospedal Maggiore bombardato.

Fra le rovine dell’Ospedale si è insediato il Comando della 7ª Brigata Garibaldina (G.A.P.) e, fin da settembre, vi ha acquartierato circa 230 uomini, in previsione di una rapida avanzata alleata, con l’intento di occupare la città prima dell’arrivo degli eserciti angloamericani, impedendo le distruzioni nazi-fasciste dell’ultimo momento; altri 70 partigiani della stessa Brigata, tra cui cinque donne, occupano due edifici danneggiati poco distante, con un comando di base relativamente autonomo. All’interno delle basi la vita ha una disciplina rigidamente militare, con sentinelle, turni di guardia, sveglia, ritirata, rancio, in attesa delle direttive del CUMER (Commando Unico Militare Emilia Romagna); gli abitanti del quartiere contribuiscono agli approvvigionamenti e tutelano la segretezza del presidio. Gli occupanti sono armati di tutto punto: qualche tempo prima avevano assaltato un treno militare, procurandosi munizioni di ogni tipo, e nei sotterranei dell’Ospedale hanno nascosto anche alcuni mezzi di trasporto.

Secondo alcune ricostruzioni storiche, alla data del 7 novembre 1944 gli Alleati non avevano ancora anticipato il contenuto del proclama Alexander, mentre, secondo altre fonti, avevano già fatto sapere quanto avrebbero detto ufficialmente il 13 novembre con un annuncio radiofonico, cioè che l’avanzata alleata era in fase d’esaurimento e l’offensiva finale era rimandata alla primavera seguente.

Nelle basi bolognesi ai primi di novembre, quando si ha la sensazione precisa che il fronte incomincia a stagnare e che l’arrivo degli Alleati diventa di giorno in giorno meno probabile, la tensione degli uomini è grandissima; il crescente movimento delle Brigate Nere e dei tedeschi nella vicina zona di Porta Lame e le sparatorie che ogni tanto hanno luogo nei dintorni contribuiscono ad aumentare sempre più il nervosismo.

All’alba del 7 novembre, centinaia di militi fascisti delle Brigate Nere e soldati tedeschi della Feldgendarmerie iniziano un rastrellamento nell’area prospiciente Porta Lame; due soldati tedeschi, pare del tutto casualmente, entrano in uno degli stabili occupati dai partigiani e riescono a dare l’allarme prima di essere uccisi.

I nazifascisti accerchiano la zona e attaccano con armi leggere e pesanti, incontrando un inatteso fuoco di sbarramento, al quale rispondono con l’ausilio di cannoni e di un carro armato Tiger, richiamato dal vicino fronte; accanto a loro sono impiegati come incursori gli agenti del Reparto d’assalto della polizia (RAP). Si spara da tutti gli edifici compresi nell’area.

Nel tardo pomeriggio, i partigiani assediati, contando diverse perdite e minacciati dal crollo di una delle palazzine, riescono a superare l’accerchiamento, scappando attraverso il canale Navile con l’aiuto di fumogeni, e si allontanano verso altre basi del quartiere Bolognina, portando a spalla anche i feriti.

Alle 18,45 entrano in azione i combattenti in attesa tra le rovine dell’ospedale Maggiore, aprendo la seconda fase della battaglia. Renato Romagnoli “Italiano” descrive il clima d’attesa alla base dell’Ospedale Maggiore:

Tutti gli uomini erano in posizione di combattimento, ognuno nel posto previsto da presidiare […]. Man mano che passava il tempo, i  partigiani  si  innervosivano,  tutti  si  chiedevano  cosa  aspettasse  il  comando  a farci  sapere  le intenzioni,  a  darci  le  indicazioni  e  l’ordine  di  intervenire  a  fianco  dei  nostri  compagni accerchiati. Ma l’ordine tardava  e noi eravamo costretti a starcene immobili a guardare. […] Finalmente l’ordine arrivò: si attaccava alle sei e mezza del pomeriggio, al cadere delle prime ombre  della  sera.  Il  Comando  di  Brigata  con  l’appoggio  del  CUMER  aveva  nel  corso  della giornata elaborato un piano per dare battaglia.

I vari distaccamenti partigiani circondano le forze nemiche nei pressi del cassero di Porta Lame, infliggendo notevoli perdite; la battaglia infuria fino a notte inoltrata soprattutto attorno al piazzale di Porta Lame, dove i nazifascisti da assedianti si ritrovano assediati, e finiscono col ritirarsi.

Quella di porta Lame è ricordata come la più importante battaglia tra partigiani e nazifascisti all’interno di una città, in tutta la guerra: la più grande per la quantità di forze impegnate da fascisti e tedeschi, per la durata (tutta una giornata, dalle 6 alle 23), per le armi impiegate (come un cannone da 88 e una mitragliera pesante a due canne), per il volume di fuoco; è anche la prima occasione in cui alle donne viene riconosciuto lo stesso diritto di combattere degli uomini. Nel  resto della città, tuttavia, la gente comune non ha la percezione della gravità dello scontro: al di fuori del perimetro di accerchiamento la vita continua come gli altri giorni, rumori di spari e cannonate non costituivano una novità.

“Il Resto del Carlino”, all’epoca esplicitamente filofascista, dà notizia della battaglia in una mezza colonna in cronaca locale, definendo i partigiani come “fuorilegge”,  “senzapatria”  e  “criminali” e intitolando l’articolo “Ardimentosa e decisa azione contro bande di fuori-legge”; l’edizione straordinaria de “L’Unità”, invece, dedica l’intera (e unica) pagina all’avvenimento, sotto il titolo “A Bologna i patrioti sbaragliano centinaia di banditi delle SS tedesche e delle Brigate Nere. Molte decine di nemici morti ed altrettanti feriti sono rimasti sul terreno dell’aspra battaglia”.

Altrettanto contrastante, presso le diverse fonti, è la valutazione circa il numero delle forze in campo e dei caduti. I partigiani contano 12 morti e 15 feriti; sul fronte opposto, secondo il rapporto del questore Fabiani i fascisti avrebbero avuto 11 caduti e 2 i tedeschi, mentre, da un rapporto del commissariato di polizia della zona Galliera, risulta che i caduti fascisti sarebbero stati 18 e quelli tedeschi 15.

Tra i caduti partigiani, si ricorda il tenente Samuel Schneider, pilota sudafricano di origine ebraica, sepolto al cimitero di guerra alleato di Faenza: abbattuto in agosto con il suo aereo sopra le campagne a nord di Bologna, era stato tratto in salvo e nascosto da alcuni contadini della zona; messo in contatto con la Resistenza, di fronte all’alternativa tra essere riaccompagnato oltre le linee nemiche o restare a combattere in loco, l’aviatore aveva scelto di unirsi ai partigiani bolognesi, col nome di battaglia “Gianni”.

In seguito alla mancata insurrezione dell’autunno ‘44, si registrano diversi episodi di rappresaglia nei confronti dei partigiani: infiltrazioni di agenti di polizia, delazioni, la scoperta di altre basi che provocano numerose perdite tra i reparti della 7ª GAP. L’avanzata attraverso la pianura Padana subisce una battuta d’arresto, che durerà fino alla primavera del 1945, quando una nuova offensiva alleata sfonderà in maniera definitiva la linea Gotica, portando alla liberazione di tutto il Nord Italia.

Oggi, a ricordo di quell’evento, presso Porta Lame sono visibili due statue di giovani partigiani, forgiate – per ironica nemesi – con il bronzo fuso dalla statua equestre di Benito Mussolini che durante il fascismo dominava sullo stadio comunale. Oltre ad esse una lapide commemorativa ricorda i nomi dei caduti dello schieramento partigiano e il grido di battaglia partigiano “Garibaldi combatte!”.

Silvia Boverini

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Fonti:
www.wikipedia.org;
www.storiaememoriadibologna.it;
www.resistenzamappe.it;
www.storiaxxisecolo.it;
“La vera storia di Schneider, aviatore eroe a Porta Lame”, www.corrieredibologna.corriere.it;
www.bibliotecasalaborsa.it;
www.badigit.comune.bologna.it

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