1943, Nola: primo eccidio di militari italiani da parte dei nazisti dopo l’8 settembre

Nella data di oggi, il mondo commemora eventi luttuosi che, in epoche diverse, hanno cambiato il corso della storia; tuttavia, la storia attraversa altresì i piccoli centri, e anche la cittadina campana di Nola ha avuto il suo 11 settembre, nel 1943, a pochi giorni dall’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e le forze alleate (si veda il post 8 settembre 1943, giorno dell’armistizio di Cassibile, su questa rubrica, Corsi e Ricorsi). Si tratta di un avvenimento poco noto, a lungo rimosso dalla memoria collettiva, forse perché frutto e testimonianza imbarazzante della confusione seguita al mutato assetto delle alleanze nel conflitto mondiale in corso: nel colpevole ritardo con cui furono diramate dall’alto le nuove regole d’ingaggio, non furono poche le situazioni in cui l’incertezza determinò perdite umane, tra i militari e nella popolazione, e, in buona misura, l’eccidio di Nola è attribuibile a questo.

Ciò che accadde settantasei anni fa è considerato il primo atto di rappresaglia nazista in Italia contro l’esercito italiano dopo l’8 settembre; una strage per anni dimenticata, “rispolverata” grazie ai membri di un’associazione culturale locale, che, nell’aprile del 1997, ricevettero una missiva da un testimone oculare presente a Nola come soldato, Ugo Tebaldini:

Ho ancora impressi negli occhi i loro volti e la loro disperazione anche se sono passati quasi cinquantaquattro anni; mai nessuno ha parlato di questo crimine di guerra. Non credo di essere il solo testimone oculare, che ancora oggi si sveglia di soprassalto nella notte rivivendo il terrore di quel giorno. Qualcuno mi può aiutare a ricordare quei poveri ufficiali?”.

In quei giorni di settembre, in Italia non si combatte solo sulle montagne partigiane: a Napoli e provincia ci sono scontri fra italiani e tedeschi, in cui anche i civili combattono contro gli ex alleati. L’eccidio di Nola va in­quadrato in uno scenario più ampio in cui entra in campo anche la popolazione e presenta tre elementi tipici della violenza nazista: la rappresaglia contro i mi­litari, l’uccisione di civili, la pratica dell’esposi­zione dei cadaveri.

Al momento della comunicazione dell’avvenuto armistizio, la Campania è presidiata dal XIX Corpo d’Armata, al comando del Generale Pentimalli, le cui forze in campo sono sparpagliate, male attrezzate, povere di mezzi di trasporto e spesso costituite da reparti ai depositi e territoriali, mentre le forze del Reich a contatto sono quasi esclusivamente costituite da unità combattenti del XIV Corpo d’Armata tedesco, tra cui la Divisione “Hermann Göring”.

Le truppe tedesche, preparate all’ipotesi di fuoriuscita italiana dall’Asse Roma-Berlino, si muovono immediatamente in base al piano Achse per neutralizzare il Regio Esercito e occupare il territorio: dove sono più forti, s’impossessano dei nodi ferroviari e stradali, delle centrali di collegamento e dei comandi, degli stabilimenti militari, degli aeroporti e dei porti, catturano gli ufficiali, disarmano i reparti e ne avviano a casa gli effettivi; dove si sentono inferiori in forza, usano l’astuzia e tattiche più concilianti, si concentrano in massa per calare successivamente sui vari obiettivi. Nella sola notte tra l’8 e il 9 settembre, occupano il posto di avvistamento dei Camaldoli, l’aeroporto di Montecorvino Rovella, la batteria di Vietri sul Mare.

Sul fronte italiano, i presidii, stremati da mesi di bombardamenti anglo-americani, non più sorretti e guidati dai capi, nell’attesa di ordini dal Centro, cadono l’uno dopo l’altro, storditi, stanchi, sfiduciati.

Nel pomeriggio del 10, l’ufficiale di collegamento presso la Divisione “Göring” presenta al comandante del XIX Corpo d’Armata, in Napoli, la richiesta tedesca della consegna delle armi; il Generale Pentimalli non aderisce, ma cerca di salvare l’onore delle armi:

Se i tedeschi si impegnano a non commettere atti di violenza contro la popolazione civile, io farò tenere le truppe nelle caserme”.

In tale situazione, con i militari italiani di fatto confinati nelle caserme, si inquadrano i fatti di Nola, dove erano di stanza il 12° e 48° Deposito di Reggimento di Artiglieria divisione fanteria. Inaspettatamente, forse su iniziativa personale, gli uomini dell’equipaggio di un autoblindo tedesco in transito nella piazza antistante la caserma Principe Amedeo bloccano tre ufficiali italiani, pretendendo la consegna delle armi: i militari italiani affacciati alle finestre della caserma e alcuni civili notano la discussione animata in atto, coinvolgendo altri due soldati e un carabiniere di passaggio. I tedeschi aprono il fuoco e, nello scontro che segue, accorrono ulteriori militari e civili italiani; sul campo rimangono due morti tedeschi, per cui il Colonnello de Pasqua, resosi conto di quelli che potevano essere gli ulteriori sviluppi, decide di inviare a parlamentare il Tenente Odoardo Carrelli, ma mentre questi si muove verso i tedeschi issando bandiera bianca, una raffica di mitragliatrice lo uccide; il bilancio finale per gli italiani è di due militari e un civile caduti, oltre a diversi feriti.

Il giorno seguente, 11 settembre, un reparto tedesco armato di tutto punto, con autoblindo, carri armati, artiglieria e autocarri carichi di soldati, si presenta alla caserma Principe Amedeo e viene fatto entrare senza incontrare resistenza: infatti, il Sottocapo di Stato Maggiore del 19° Corpo d’Armata, dal quale dipendeva la truppa di Nola, aveva poco prima comunicato che i tedeschi andavano in giro per le caserme in cerca di carburante e che occorreva accoglierli senza ostilità, anche nel caso in cui avessero fatto ricorso a uno spiegamento di forze a scopo intimidatorio.

A causa di quest’errata interpretazione delle reali intenzioni dei tedeschi, mentre all’esterno la caserma viene accerchiata dai carri armati, all’interno gli ufficiali disarmati sono facilmente catturati e uomini, armi e mezzi cadono in mano nemica. Tutti i presenti nella caserma sono fatti uscire sul piazzale esterno, dove si procede alla fucilazione sommaria di dieci ufficiali presi a caso.

Dopo l’eccidio, i militari di truppa e i sottufficiali sono lasciati in libertà, mentre i sessanta ufficiali superstiti sono deportati in ostaggio fino al 13 settembre, e poi liberati con l’ingiunzione di non ripresentarsi alla Principe Amedeo, cosa che non sarebbe stata comunque possibile poiché l’11 stesso tutte le caserme erano state militarmente occupate, saccheggiate e distrutte dai tedeschi.

Con tragica ironia, quella stessa mattina del giorno 11 era finalmente giunto agli alti comandi l’ordine del Generale Roatta di applicare la “Memoria 44”, stabilendo che da quel momento, in qualsiasi località o circostanza, qualsiasi truppa italiana doveva comportarsi in confronto dei tedeschi come contro un nemico dichiarato. Ma per i militari di Nola era troppo tardi.

Le vittime dell’eccidio hanno ottenuto riconoscimenti postumi: al tenente Enrico Forzati è stata conferita la medaglia d’oro al valor militare per essersi offerto al plotone d’esecuzione al posto di un commilitone; gli altri nove ufficiali hanno ricevuto la medaglia di bronzo al valor militare alla Memoria; il civile Giuseppe de Luca, ucciso nello scontro del 10 settembre, è stato riconosciuto Partigiano Combattente Caduto.

La memoria pubblica dell’eccidio è presente solo dal 1997 ed è frutto degli sforzi dell’associazione “Amici del Marciapiede” e di alcuni parenti dei caduti.

Silvia Boverini

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Fonti:
Testimonianza del Maggiore Nicoletti, www.storiedimenticate.wordpress.com;
Gen. P. Manzi, “L’eccidio di Nola”, www.ancrsoave.it;
www.straginazifasciste.it;
G. Chianese, “I massacri nazisti nel Mezzogiorno d’Italia”, www.italia-resistenza.it;
“La strage rimossa”, www.centroimpastato.com; U. Santino, “La strage rimossa. Nola, 11 settembre 1943”, Di Girolamo Editore, 2016;
A. Liguoro, “Nola, cronaca dall’eccidio”, Infinito edizioni, 2013.

 

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