Il 18 settembre del ’43 Mussolini annuncia da Radio Monaco la costituzione della RSI

Il 18 settembre 1943, da radio Monaco, Mussolini si rivolge alla nazione con un lungo discorso, il primo dopo la destituzione del 25 luglio, l’arresto e, pochi giorni prima, la liberazione a opera di un commando tedesco:

Italiani e italiane, dopo un lungo silenzio ecco che nuovamente vi giunge la mia voce e sono sicuro che voi la riconoscete. È la voce che vi ha chiamato a raccolta in momenti difficili, che ha celebrato con voi le giornate trionfali della Patria. Ho tardato qualche giorno prima di indirizzarmi a voi perché dopo un periodo di isolamento morale era necessario che riprendessi contatto col mondo.

Tanti lo avevano dato per morto, quasi nessuno sapeva dove si trovasse, se fosse libero o prigioniero e, in questo caso, nelle mani di chi, dato che l’armistizio dell’8 settembre ne aveva disposto la consegna agli alleati. In ogni caso, la sua improvvisa ricomparsa radiofonica, preannunciata in alcune città da automobili munite di altoparlanti, sorprende tutti: la voce non è più quella di un tempo e dà l’idea di un uomo provato dalle recenti vicissitudini, a dispetto dei contenuti belligeranti e rivendicativi del discorso, che pone le basi per la costituzione della Repubblica Sociale. Poche settimane prima, in prigionia, aveva apposto una dedica per un’ammiratrice firmandosi “Mussolini, defunto”.

Nessuna assunzione di responsabilità

Anche il contesto è ben diverso da quello che ne determinò l’ascesa. Nel settembre del ’43, il popolo che l’ex duce cerca d’infiammare nuovamente e mobilitare attorno a sé vive una condizione drammatica: l’Italia è sotto il fuoco incrociato di vecchi e nuovi alleati, il Regio Esercito allo sbando, monarchi e ministri fuggiti a Brindisi, con i ministeri presidiati dai soli funzionari amministrativi; tanto al nord, occupato militarmente dai tedeschi in un crescendo di violenze e razzie, come al sud, presidiato dagli alleati, regna un caos di macerie e devastazioni, gente affamata e senza tetto, profughi in fuga, militari di ogni schieramento incolonnati lungo le strade, disperati che cercano di nascondersi e i primi gruppi armati di ribelli che salgono sulle montagne.

Dai microfoni di Radio Monaco, Mussolini parla a lungo delle vicende degli ultimi due mesi. Comincia dal 25 luglio, da quel colloquio col re a villa Savoia in cui – dice – tutto era già stato deciso, fino all’umiliazione dell’arresto; racconta del trasporto in ambulanza sotto il pretesto di salvarlo da una congiura, degli andirivieni da una caserma di carabinieri all’altra, delle peregrinazioni nel corso della prigionia, da Ponza alla Maddalena e al Gran Sasso, per poi descrivere le fasi della sua liberazione.

Non è il regime che ha tradito la monarchia, ma è la monarchia che ha tradito il regime”: Mussolini attribuisce le sue sventure e quelle della nazione a Casa Savoia, “agente principale del disfattismo e della propaganda antitedesca”, artefice del colpo di stato avendo per “complice ed esecutore Badoglio, complici taluni generali imbelli e imboscati e taluni invigliacchiti elementi del fascismo”; accusa il re per aver autorizzato le trattative per l’armistizio e ingannato l’alleato tedesco, “smentendo anche dopo la firma che trattative fossero in corso”.

Il duce destituito annuncia quindi il suo ritorno a capo del movimento per instaurare uno stato che sarà “nazionale e sociale nel senso più alto della parola, sarà cioè fascista”; quel che prospetta, “nell’attesa che il movimento si sviluppi sino a diventare irresistibile”, prevede una serie di azioni precise, che confluiranno a breve nel programma della futura Repubblica di Salò:

Riprendere le armi a fianco della Germania, del Giappone e degli altri alleati; preparare la riorganizzazione delle forze armate attorno alla formazione della Milizia; eliminare i traditori, in particolar modo quelli che sino alle 21,30 del 25 luglio militavano nel Partito e sono passati nelle file del nemico; annientare le plutocrazie parassitarie e fare del lavoro il soggetto dell’economia e la base infrangibile dello Stato”.

Come scriverà lo storico Denis Mack Smith, nel suo discorso Mussolini non contempla minimamente una qualsiasi sua personale responsabilità per la tragedia in atto: se l’Italia non era più uno stato indipendente, questo era dovuto non al fascismo, ma al re e ai diciannove gerarchi che lo avevano tradito.

Mussolini “parente povero” di Hitler

Tuttavia, al di là delle apparenze, è probabile che egli stia prendendo coscienza di essere divenuto a sua volta una semplice pedina in un gioco che ormai viene condotto sopra di lui: stanco, disilluso e sfiduciato, nell’incontro di Rastenburg, quattro giorni prima, avrebbe volentieri respinto la richiesta di Hitler di tornare a capo di un movimento e uno stato alleato del Reich nell’Italia del nord, ma, nonostante le dichiarazioni di amicizia e “fedeltà nibelungica”, il Führer aveva posto la questione in termini che non ammettevano un rifiuto.

La stessa vicenda della sua liberazione dalla prigionia, il 12 settembre, presenta parecchi aspetti di ambiguità. La sospetta spettacolarità della c.d. Operazione Quercia, con una decina di alianti tedeschi dalle ruote cingolate con filo spinato che atterrano in vetta al Gran Sasso; il detenuto che dalla sua stanza-prigione assiste alla scena e, quando capisce che i suoi liberatori sono tedeschi, si lascia sfuggire “Questa non ci voleva proprio”; gli ufficiali tedeschi incaricati da Hitler in persona della liberazione, Kurt Student e Otto Skorzeny, che fanno a gomitate per essere primi a porgere la mano al prigioniero; l’indecisione sul da farsi dell’ispettore generale Giuseppe Gueli, responsabile della sicurezza del duce deposto; la presenza del generale della Polizia Fernando Soleti, forse portato come ostaggio dai tedeschi, forse garante dell’operazione per conto di Casa Savoia; la deferenza con cui i carcerieri accompagnano Mussolini all’aereo tedesco che da Campo Imperatore lo condurrà prima a Pratica di Mare e poi in Germania; il bilancio complessivo dell’operazione, conclusa senza spargimento di sangue, ad eccezione di due militari italiani che, lungo il percorso, avevano tentato di segnalare od ostacolare il passaggio della colonna di mezzi tedeschi.

In considerazione di tutto ciò, diversi storici avanzano l’ipotesi che il capo del Governo Badoglio avesse segretamente “barattato” l’ingombrante prigioniero, cedendolo ai tedeschi in cambio dell’incolumità propria, della famiglia reale e del seguito di ministri e militari durante la c.d. “fuga di Pescara”; non esistono prove documentali in tal senso, solo indizi, come i posti di blocco tedeschi che sgomberarono le strade lungo il percorso dei fuggiaschi verso l’Adriatico, o il mancato sfruttamento dell’opportunità di prelevare l’ex duce dal luogo di detenzione, con una deviazione minima dal percorso verso Pescara, per condurlo con sé e consegnarlo agli alleati, come previsto dall’armistizio.

Comunque sia andata, il 14 settembre Mussolini è a Rastenburg, dal Führer. Così lo racconta il giornalista e scrittore Marco Innocenti:

Quando scende dall’aereo nel sole lungo dell’autunno, ha una faccia che fa paura, con gli occhi vuoti, lucidi, da vecchio, il collo avvizzito, il volto floscio e giallo, gli abiti che gli cascano addosso. Comincia l’ultimo capitolo di una storia che è vicina al capolinea e che si concluderà davanti ai mitra spianati dei partigiani il 28 aprile 1945. Hitler gli parla da padrone. Mussolini tace, il suo rapporto con il Führer è quello del parente povero. I bei tempi di Palazzo Venezia sono ormai lontani. Ora è un uomo stanco che sta per diventare servo.

Silvia Boverini

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Fonti:
www.wikipedia.org;
“18 settembre 1943: Mussolini da radio Monaco”, www.anpi-lissone.over-blog.com;
“12 settembre 1943, Operazione Quercia: la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso”, www.agenziacomunica.net;
www.sergiolepri.it;
D. Mack Smith, “Mussolini”, Rizzoli; M. Innocenti, “12 settembre 1943: Mussolini liberato”, www.ilsole24ore.com

 

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